Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all'attacco del premier per paura di diventare irrilevanti
Pubblicato: 11/03/2014 16:54 CET | Aggiornato: 11/03/2014 16:54 CET
Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n'è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all'angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l'antica concertazione.
Allora viene quasi automatico chiamare "nuovo" Pd il partito guidato da Renzi comeil new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal labour.
Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: "Non ragioniam di lor, ma guarda e passa". La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.
Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l'unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. "Il perire della Cgil - ha detto - corrisponde al perire nostro". Il segretario della Cisl attacca "i populisti della politica"e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono "essere diversi sì, ma non avere l'esigenza di staccarsi - ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato".
E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: "Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri". Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l'austero Mario Monti - che comunque li convocava anche se a cose già fatte - piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.
Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione 'privilegiata', è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.
Tanto che Camusso rispedisce al mittente l'accusa di "antichità": "Devo dire - ha spiegato - che per chi si è presentato al Paese con l'idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria". "Nella nostra memoria - ha aggiunto il segretario della Cgil - penso che di governi che si sono presentati nella logica dell'attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse". "Ma in realtà - ha continuato - con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni". La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.