di Giovanni Giovannetti
Il filmato di Lorenzo Blone sulla fiaccolata balùba di sabato 15 febbraio a Pavia non ha commento, e per questo è molto bello. Dopo averli ascoltati, faccio “Buuuuuh” e “uh-uh-uh” al senatore Gian Marco Centinaio per le spaziali cazzate che spara e plaudo la “provocazione” del Matteo Salvini di salire alle consultazioni del Quirinale insieme al sindaco di un Comune terremotato, un presidente di Provincia e uno di Regione. Per il resto i legaioli sono ancora lì a minchiarla su “terroni” e immigrazione. E già che loro sono onesti e gli immigrati ladri e tutti i soldi vanno al sud e non a loro, allora dicano al "loro" presidente in Asm Pavia Giampaolo Chirichelli di restituire il bottino in pubblici denari su cui ha lungamente e indebitamente lucrato; e lo dicano anche al Boni, al "Trota", al Bossi, al Brignardì, al Belsito, al Bonet e a qualche altro loro coinquilino forse conosciuto al Cafè de Paris in via Veneto di Roma ladrona. A rinfrescare la dubbia memoria ai Centinaio, ai Ciocca, ai Fracassi, ai Salvini, ai Mura, ai Mognaschi e ai quattro gatti convenuti l'altro ieri in corteo, concorra la riproposta di questo paragrafo dal mio Comprati e venduti. Ha per titolo Ladroni a casa nostra (ogni riferimento a fatti e persone è puramente reale).
L’architetto pugliese Michele Ugliola è un padano “doc”. Lo arrestano nel luglio 2011 per una storia di tangenti a Cassano d’Adda e per un giro di fatture false intorno all’area Falk di Sesto San Giovanni. Ugliola già conosce la galera; l’ha provata ai tempi di “Mani Pulite”, quando era socialista, dopo una tangente urbanistica pagata nel 1996 a Giovanni Terzi, assessore comunale di Bresso. Parla, racconta di maniglie unte e di cifre a sei zeri versate ai piani alti del Pirellone, somme che avrebbe consegnato – insieme al cognato Gilberto Leuci – ad esponenti del Pdl e della Lega nord: assessori regionali come Franco Nicoli Cristiani (Pdl, Ambiente; arrestato il 30 novembre 2011 con in tasca una mazzetta da 100.000 euro, tornato in libertà dopo 86 giorni e confessioni esaustive) e come il leghista assessore all’Urbanistica Davide Boni tramite il suo capo di gabinetto nonché ex commissario della Lega nord a Pavia Dario Ghezzi. Mazzette elargite in questo caso dall’immobiliarista Luigi Zunino: «Zunino mi versava delle somme che comprendevano da un lato il mio compenso professionale per l’attività di progettazione tecnica che effettivamente prestavo, e dall’altro le somme richieste dai politici». Sulle parcelle Ugliola indica «la somma complessiva di 1.850.000 euro, di cui 800.000 dovevano essere retrocesse a Boni e Ghezzi». Sovra-fatturazioni, «così da ottenere la somma per la tangente da retrocedere». Tutto questo per agevolare gli insediamenti residenziali e commerciali di Zunino a Milano Rogoredo, all’ex Falk di Sesto e a Pioltello.
L’imprenditore veronese Francesco Monastero (Inwex srl) opziona alcuni terreni alle porte di Pavia nel comune di Albuzzano: 217.000 metri quadri su cui edificare l’ennesimo ipermercato, comprensivo di parco acquatico. Si rivolge allora alla Tema Consulting di Ugliola (notoriamente affidabile «in questi affari») che, per suo conto, avrebbe versato 200.000 euro all’assessore verdelega Boni (e 100.000 se li terrà «per il disturbo»), insieme alla promessa di altri 600.000. Comincia ad insinuarsi l’ipotesi di un “sistema Lega”. E il partito? Per Bobo Maroni «la pistola fumante non c’è. Boni non si tocca»; per Roberto Castelli «i magistrati possono prendere cantonate»; per Umberto Bossi «Boni rimane al suo posto» già che «la Lega non ha mai preso tangenti...» E le mazzette che lui stesso ritirava a Ravenna dai Ferruzzi? E i 200 milioni del tangentone Enimont, al bar Doney di “Roma ladrona” nel 1993? (per quella bustarella il Senatùr è stato condannato in via definitiva a 8 mesi). E la mazzetta di 15.000 euro all’assessore al Bilancio di San Michele al Tagliamento, il leghista David Codognotto, nel 2010? E Mauro Galeazzi? L’assessore di Castel Mella finì in manette nel 2011 insieme al collega di partito Marco Rigosa, per aver intascato 22.000 euro volti a oliare la pra- tica di un centro commerciale sopra un’area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale. Solo per citarne alcuni.
Che dire poi del “cerchio magico” bossiano e del finanziamento pubblico alla Lega: 19 milioni di euro in quattro anni, indebitamente utilizzati per le spese private «di soggetti che nulla hanno a che vedere con il partito» oppure elargiti a politici e associazioni «senza alcun documento giustificativo»: l’ex tesoriere Matteo Brigandì (327.000 euro), Umberto Bossi (48.500), i figli Riccardo (156.000) e Renzo (8.400), l’infermiera del Senatùr Mira Fidanza (107.000), il suo autista Aurelio Locatelli (75.000), la segretaria Daniela Cantamessa (58.000). Fra gli altri, ne hanno beneficiato anche Rosy Mauro (16.000) e Bruno Mafrici (33.696). Un altro ex tesoriere, Francesco Belsito, avrebbe effettuato «prelievi ingiustificati per almeno un milione e 389mila euro». Per le mani dell’imprenditore veneto Stefano Bonet sarebbero infine transitati nientemeno che 4.500.000 euro.
Su un altro fronte, si segnala il caso del consulente regionale lombardo Corrado Paroli, militante del Carroccio e genero dell’ex capogruppo leghista in regione Stefano Galli, remunerato 10.000 euro di media al mese per dei semplici volantinaggi.
Ma torniamo alle temerarie operazioni finanziarie di Bonet, incarcerato il 24 aprile 2013 per associazione a delinquere, truffa e riciclaggio insieme all’ex tesoriere lumbàrd nonché ex sottosegretario alla Semplificazione amministrativa Francesco Belsito (per il tesoriere, associazione a delinquere e truffa), pizzicato a manovrare fatture false e quattrini di dubbia provenienza in un iperbolico intreccio tra Romolo Girardelli detto “l’ammiraglio” (vicino alla ’ndrina dei De Stefano) e i siciliani Rinzivillo. Lui, nell’orbita del commercialista Pasquale Guaglianone detto Lino, già tesoriere dei Nar (i Nuclei armati rivoluzionari, movimento eversivo di destra) incarcerato nel 1987 per associazione sovversiva e oggi titolare della M.G.I.M. con sede a Milano in via Durini 14, la società che – oltre a manovrare conto-mafie – ha curato l’acquisto di preziosi e il trasferimento in Tanzania e a Cipro di oltre 6 milioni d’euro verdelega.
Orbene, il 9 novembre 2004 vede la luce Multiservizi, una società a capitale misto pubblico-privato controllata al 51 per cento dal Comune di Reggio Calabria (sindaco era Giuseppe Scopelliti), mentre il 33 per cento finisce via via nelle fauci di fiduciari e società riconducibili alle ’ndrine De Stefano e Tegano. È lo scandalo che il 9 ottobre 2012 ha portato allo scioglimento del Comune reggino.
In Multiservizi figurano Giorgio Laurendi e Michelangelo Tibaldi. Dal 2008 direttore operativo è Pino Rechichi (l’«anima imprenditoriale» della cosca Tegano) incarcerato il 5 aprile 2011 per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Archi. Tutti quanti chiedevano consigli al sedicente avvocato Bruno Mafrici (non figura iscritto all’albo), un mediatore d’affari già consulente personale del viceministro Belsito: «In tale contesto – si legge nella Relazione della Commissione d’accesso al Comune di Reggio Calabria – non può non evidenziarsi la convergenza di una serie di interessi societari all’indirizzo di Milano, via Durini n. 14, ovvero non può non rilevarsi lo stretto collegamento tra il Tibaldi Michelangelo Maria e i nominati Mafrici Bruno Giovanni, Guaglianone Pasquale e Laurendi Giorgio».
Si chiude il “cerchio magico”. Tra le carte e i file sequestrati a Guaglianone, la Dia di Reggio Calabria ha infine trovato una società di investimenti immobiliari – la Coast Service – riconducibile ai Rinzivillo di Gela e allo stesso Belsito.
Tornando a Pavia, dal 19 ottobre 2011, per due anni il Consiglio di amministrazione Asm guidato dal leghista Giamapolo Chirichelli si è illecitamente raddoppiato gli emolumenti in forma di “rimborsi spese” mensili, estendendo il benefit al direttore generale Claudio Tedesi: una decisione che spettava all’ignara Assemblea dei soci, e non al Cda. La delibera non prevede “pezze giustificative”, ma la semplice sottoscrizione di un “report di trasferta”. Sono a parte altri benefit. Conti alla mano, in meno di due anni il presidente Chirichelli si è rimborsato 52.500 euro (30.000 euro il consigliere Luca Filippi). E sono denari dei contribuenti, poiché Asm è controllata al 95,7 per cento dal Comune di Pavia.
Non è tutto. 17 aprile 2013: il Consiglio di amministrazione di Asm al completo (il presidente, il suo vice Marco Bellaviti e i consiglieri Luca Filippi, Alberto Pio Artuso e Matteo Mitsopoulos) «all’unanimità dei presenti» delibera di concedere agli amministratori della controllata centopercento Asm Lavori Luca Filippi, Maurizio Lazzari e Antonino Longo «un premio per il buon lavoro svolto nell’anno 2012» (un risicato utile netto di esercizio di 3.750,38 euro) «pari a euro 30.000 per il presidente Filippi e 10.000 per ogni amministratore»: 13 volte l’attivo di bilancio. E dire che, stando alle norme sulle società partecipate da enti locali, gli eventuali premi legati all’utile di bilancio vanno riconosciuti «in misura ragionevole e proporzionata». Poco più di un dettaglio, a fronte del consigliere d’amministrazione Asm Luca Filippi sorpreso nel deliberare 30.000 cucuzze quale premio al presidente di Asm Lavori… Filippi Luca. Dal 2011 al 2013, Asm Lavori ha registrato un attivo di bilancio complessivo per 75.000 euro, e premi per 105.000.
In seguito sono emersi altri pubblici esborsi altrettanto illeciti, poiché il presidente Chirichelli e il direttore generale Tedesi da poco incarcerato avrebbero lucrato anche con la carta di credito aziendale. Alle diarie a forfait e ai premi dovremmo dunque sommare quest’altra indebita appropriazione, denari solo in parte restituiti all’azienda (ma non erano passati alforfait per darsi «un tetto»?). Dall’ottobre 2011 a oggi Chirichelli avrebbe usato la carta di credito Asm «per un importo complessivo di euro 11.679,25 così suddiviso: anno 2011, euro 1.129,06; 2012, euro 5.458,97; 2013 euro 5.091,25». Ma – ahi ahi ahi – dal compenso forfetario risultano detratti solo 5.947,73 euro.
Quanto a Tedesi, tra l’ottobre 2011 e l’agosto 2013 avrebbe fatto uso della carta per un ammontare di 32.978,85 euro a fronte di un benefit forfetario dichiarato in “soli” 18.000 euro.
Padroni o padrini a casa nostra? A Pavia destò scalpore e vasta eco nazionale quel flirt tra il capo della ’Ndrangheta lombarda Pino Neri e Angelo Ciocca, “mister 18.910 preferenze” alle Regionali 2010. Il leghista Ciocca avrebbe negoziato con l’avvocato tributarista calabro-pavese l’acquisto di un lussuoso appartamento in centro, a un prezzo singolarmente vantaggioso. Ma l’affare non si farà. Resta il fatto che i due si conoscevano, come documenta un video della Polizia, che riprende Ciocca in compagnia di Neri, Antonio Dieni (imprenditore edile di Sant’Alessio nonché “braccio politico” di Neri) e Francesco Rocco Del Prete, l’“uomo delle cosche” alla cui candidatura alle recenti Comunali «si era interessato anche Ciocca». L’assessore provinciale e futuro consigliere regionale, in una intercettazione del 22 giugno 2009, viene confidenzialmente chiamato «Angelo» dal capo della ’Ndrangheta lombarda.
E ancora: che ci faceva il neo-consigliere regionale Angelo Ciocca a Gambolò un mercoledì del luglio 2009, in compagnia di Carlo Chiriaco e del chiacchierato consigliere comunale pavese Dante Labate? (per Chiriaco, Labate era «come un fratello»). I tre sono in visita al sistema di depurazione finlandese Clewer, testato gratuitamente da Fortuny Agua Italia a Gambolò; sistema (costo 300.000 euro) di cui Chiriaco sembra mirare alla “promozione”, sottoponendolo all’attenzione anche di altre Amministrazioni della provincia. Le cronache del tempo sovrappongono l’affaire depurazione con l’altro business dei pannelli fotovoltaici al cadmio, raccontato in parallelo dall’informativa Ticinum dei Ros di Milano – dal gennaio 2011 è agli atti dell’inchiesta Infinito – affare in divenire, che vedrebbe coinvolti ben altri “lomellini”: l’architetto di Mortara Franco Varini (con cui l’ex direttore sanitario dell’Asl pavese pensava di acquisire a Pavia l’area Enel lungo le mura spagnole) e il capo della Curtiriso nonché socio di maggioranza di Euricom, l’intraprendente Francesco Sempio. Il tutto sotto la benedizione dell’onorevole Giancarlo Abelli.
E perché l’assessore all’Urbanistica e cugino di Ciocca, l’altrettanto leghista Fabrizio Fracassi, insensibile al ridicolo, si è schierato in difesa della lottizzazione abusiva di Green Campus al Cravino? (le 326 “residenze universitarie” che abbiamo ritrovato impunemente in vendita anziché in affitto a studenti). Di nuovo al Cravino: Carla Marcella Casati e Arturo Marazza – altro parente alla lontana dell’assessore Fracassi – avevano venduto quei terreni, quel progetto, quelle autorizzazioni, quelle convenzioni (e chissà che altro) alle sette società consorelle nella cordata Green Campus. E alcuni di loro li abbiamo già incontrati lungo la Vigentina, nell’affaire Carrefour: il direttore dei la- vori Gian Michele Calvi (consorte di Carla Marcella) e un campione in compravendite come è il Marazza: il primo quale direttore dei lavori; l’altro, al solito, intento a comprare e vendere terreni (alcuni suoli agricoli intorno all’area su cui ora sorge l’ipermercato vennero acquistati nel dicembre 2001 da Pietro Guagnini – già membro della commissione edile –, da Augusto Pagani – ex assessore della Giunta leghista di Jannaccone Pazzi – e dal Marazza, soci nella Vernavola srl, per 120 milioni di lire e rivenduti subito dopo alla società Gs per 830 milioni).
E perché mai il dirigente comunale all’Urbanistica Angelo Moro (voluto in quel posto dallo stesso Fracassi ovvero da Ciocca e dagli amici degli amici Ettore Filippi e Luigi Greco) dopo aver indotto il Consiglio comunale a deliberare l’illecita lottizzazione di Montemaino in pieno Parco della Verna- vola (poi annullata dal Tar), non pago, ha inteso sostituirsi allo stesso Consiglio nell’autorizzare una – peraltro illegale – variazione di destinazione d’uso a Punta Est? E la domanda non è retorica.
C’è dell’altro, ahinoi: beffardamente l’hanno chiamata «equilibrata e non invasiva riqualificazione della zona». La «zona» è San Lanfranco, un quartiere di Pavia; al solito, la «riqualificazione» è altro inutile cemento: 300 appartamenti per 940 abitanti sopra un’area di pregio, accanto alla basilica romanica. Un’area detta “di trasformazione” dalla Giunta comunale e dall’assessore Fracassi, che un tempo era pompiere («mai più costruzioni al di fuori del già edificato») mentre, raggiunta la cadréga di assessore all’Urbanistica, lo abbiamo ritrovato piromane. Niente più spadoni puntati alla giugulare della Giunta «calce e martello», niente più denunce (a parole) della profanazione del sacro suolo padano.
Tra i balùba Mezzebarbe, una domanda fatica a trovare una equilibrata e non elusiva risposta: a Pavia – città, si diceva, che conta quasi 3.000 appartamenti “sfitti” e 1.400 invenduti; città che registra un ampio fabbisogno di alloggi popolari; città deindustrializzata che in trent’anni ha perso decine di migliaia di abitanti – a questa città, servono davvero nuove case per sciùri?
(Comprati e venduti, Effigie 2013, pp93-103)