Una proposta
18 febbraio @ 18.33
JACOPO BARIGAZZI
Nomine PubblicheCi sono
600 poltrone da riempire in aziende pubbliche. Perché non possiamo usare il
sistema del Cabinet Office inglese dove tutti gli interessati, uomini e
donne, inviano il curriculum? Forse non risolve tutti i problemi, ma almeno
evita che si tessa la tela nell'ombra.
Seicento poltrone da riempire sono così tante che
da settimane il potere nazionale vive un fremito. Da Eni a Fintecna, da Enel a
13 società del gruppo Fs, la cifra che compone la “carica dei 600”, come
soprannominata dal Sole 24 Ore, la si desume da un semplice calcolo: da metà
aprile alla fine di giugno giungono a scadenza 49 consigli di amministrazione e
60 collegi sindacali. Se si calcolano 6 poltrone per ogni collegio decisionale
ecco che si arriva a un totale di 654 posti. Si capisce dunque il fremito che
percorre la razza padrona, quella di manager, boiardi e servitori che spesso
sanno poi trovare il modo di ringraziare la politica che li ha premiati. Un
fremito tale che da giorni si ipotizza che quello delle nomine pubbliche sia
stato uno dei punti su cui è scivolato Enrico Letta, il temporeggiatore, che
nella mappa del potere capitolino subirebbe anche l'indebolimento del potente
zio Gianni. dato in discesa dopo il siluramento di Antonio Mastrapasqua che
doveva a proprio a lui, allo zio, la poltrona dell'Inps. E si parla anche di
nuovi patti di potere che si tessono nell’era Renzi.
Ma tutto questo è parte di quel potere fatto di
ombre e nebbie che interessa al retroscenista ma che non cambia
la governance di un Paese. Perché, se vogliamo stare sul pratico, allora
dobbiamo porci un problema di metodo. Chiedendo che queste nomine vengano fatte
col sistema del Cabinet Office inglese dove tutti gli interessati, uomini
e donne (rispettando la novità delle quote di genere), possano inviare il
loro curriculum per partecipare alla selezione. Londra ha usato questo metodo
per scegliere perfino il governatore centrale. Poi, certo, siamo tutti
abbastanza scafati da sapere che anche in quel caso la nomina di Mark Carney
era già decisa, ma almeno quello che era all'epoca numero uno della Bank of
Canada dovette farsi avanti e ufficializzare in pubblico il suo interesse a
traslocare armi e bagagli nella seconda banca centrale più antica al mondo.
Senza tessere nell'ombra.
D'altra parte quando, pochi anni fa, Carney ebbe
uno scontro furibondo con Jim Dimon, numero uno di JP Morgan, fu
il secondo che, su richiesta di Lloyd Blankfein di Goldman Sachs, dovette
chiedere scusa al primo. Il conflitto fra quelli che sono ritenuti i due
migliori banchieri al mondo, che portò alla capitolazione di Dimon, è citato
come uno degli episodi più simbolici della rivincita del potere pubblico su
quello privato dopo le sbornia degli anni '80. Non vogliamo attribuire una
valenza redentrice alla semplice mossa di rendere trasparenti le candidature.
Ma forse, anche questo, sarebbe un modo per cambiare verso.
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