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Carceri: servono una riforma, indulto e amnistia
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Sull’emergenza carceri, sebbene i due decreti governativi abbiano un effetto “deflattivo” sul sovraffollamento che si realizzerà gradualmente, il governo non è stato capace di agire sui grandi numeri, che rendono la detenzione «inumana e degradante», come ci ha detto e ribadito l’Europa. Ecco perché i Radicali italiani, dopo la marcia di Natale, insistono: «Come ha chiesto il presidente della Repubblica, ci vuole un provvedimento di amnistia e indulto», spiega a Linkiesta la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini. «Altrimenti ogni riforma, anche la migliore non potrà funzionare. E non solo per il sovraffollamento penitenziario. Con quasi dieci milioni di procedimenti pendenti (civili e penali, ndr), i tribunali sono obbligati, a discapito dell’obbligatorietà dell’azione penale, a prescrivere 500 processi all’anno a causa della loro durata. E la condanna esecutiva della Cedu, la Corte dei diritti dell’uomo, a fine maggio del 2014, sarebbe un pessimo biglietto da visita per l’inizio del semestre europeo italiano».
Carceri, aprite quelle celle, anzi no
Nel luglio del 2013 il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha inviato in tutti gli istituti di pena una circolare per chiedere di applicare una «sorveglianza dinamica», ossia meno improntata sul controllo e più orientata verso la rieducazione per rendere più dignitosa l’esecuzione della pena, «con modalità più rispondenti alle prescrizioni della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, rilanciando l’attività trattamentale». Optando per un regime aperto durante il giorno nelle sezioni di media sicurezza anche per permettere, nelle celle più sovraffollate, di trovare gli agognati 4 metri quadrati di spazio per ogni detenuto. Si tratta di una misura minima per evitare di continuare a perpetrare quella che Marco Pannella chiama «flagranza criminale», ossia espiazioni di pene inumane e degradanti. Eppure, come ha rilevato Ristretti Orizzonti, una sorta di Big Data sulle carceri italiane, ciò non è ancora avvenuto in 80% degli istituti di pena.
Totale dei detenuti presenti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2013
(Fonte Ministero della Giustizia)
(Fonte Ministero della Giustizia)
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Sergio Paleologo
La riforma mancata del lavoro in carcere
Secondo il decreto estivo introdotto dal ministero della Giustizia, si deve implementare il lavoro delle carceri, ma si tratta di una riforma ancora da applicare, si spera, nel 2014. Come spiega bene il Decimo rapporto sulle carceri dell’Associazione Antigone: «Al 30 giugno lavoravano 11.579 detenuti, il 17,5% dei presenti. Una percentuale bassa, ma che sarebbe ancora più bassa se non si ricorresse al frazionamento. Dove un tempo lavorava un detenuto, ricevendo un compenso dignitoso, oggi lavorano in due, per fare una rotazione. Ce ne sono altri 2.148 che lavorano per datori di lavoro (cooperative o aziende) ma solo 1266 fuori dal carcere. Quasi tutti in Veneto, Lombardia, in Lazio. Negli altri istituti il lavoro è inesistente.
Il giallo sui dati delle presenze
Il precedente decreto svuota-carceri estivo (quello approvato a dicembre deve essere convertito in Parlamento entro febbraio) avrebbe portato la popolazione penitenziaria da 67mila a 64mila, ma bisogna considerare che ogni anno, fra Natale e Capodanno, almeno mille detenuti escono per permessi premio. Infatti a fine anno del 2012 erano 65mila. Quindi per ora la diminuzione sarebbe di soli mille detenuti. Pochi, considerato che la capienza è di 37mila posti, poiché molte strutture penitenziarie sono inagibili. E poi ora la «conta» finale di tutti i detenuti si fa alle cinque di pomeriggio per poter inviare più velocemente i dati al Dap, ma in questo modo si truccano i numeri, perché non si contano quelli che rientrano alla sera, perché semiliberi o assenti di giorno per lavori all’esterno. Morale, nonostante la buona volontà del guardasigilli, il dramma del sovraffollamento non è stato né sarà risolto a colpi di decreti. E la condanna europea di maggio del 2014 è alle porte.
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Sergio Paleologo
Foto tratta dal webdoc Insidecarceri realizzato da Next New Media e l’associazione Antigone
Giustizia (mancata) . La sfida rimandata sine die.
Mancano all’appello tutte le riforme più importanti. Nonostante la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, abbia scritto una relazione sul messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere, per avviare un dibattito sulle riforme richieste dal capo dello Stato, non è mai stato messa all’ordine del giorno una discussione in Aula sul drammatico e urgente appello del presidente della Repubblica. Nella relazione, che Linkiesta ha recuperato, si descrive una panoramica su carceri e giustizia, con una sintesi delle riforme mai esaminate.
La riforma più importante, che ha conseguenze sul sovraffollamento carcerario e il numero rilevante dei detenuti in attesa di giudizio (24.744) riguarda la custodia cautelare che, nelle intenzioni del legislatore, deve essere maneggiata con più cura e ponderazione. E’ stata approvata in commissione Giustizia e finalmente approderà in aula l’8 gennaio, ma la presidente della commissione Giustizia, teme modifiche ed emendamenti da entrambi gli schieramenti per via «degli steccati ideologici». Forza Italia cercherà un aiutino per Silvio Berlusconi, mentre il Pd sarà condizionato dalle posizioni meno garantiste.
E infatti ora il premier Letta ha annunciato che nel primo Cdm dell’anno si esaminerà un decreto apposito che vaglierà l’ipotesi di avere un collegio di tre giudici per decidere se applicare o meno la custodia cautelare. Un progetto che sta facendo perdere i lumi della ragione a Marco Travaglio, ma che vorrebbe essere una risposta, seppur parziale, alle richieste del capo dello Stato sulla riforma della Giustizia. E anche alle considerazioni del primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo che, prima di lasciare il suo incarico nel giugno scorso, ha sottolineato come
E infatti ora il premier Letta ha annunciato che nel primo Cdm dell’anno si esaminerà un decreto apposito che vaglierà l’ipotesi di avere un collegio di tre giudici per decidere se applicare o meno la custodia cautelare. Un progetto che sta facendo perdere i lumi della ragione a Marco Travaglio, ma che vorrebbe essere una risposta, seppur parziale, alle richieste del capo dello Stato sulla riforma della Giustizia. E anche alle considerazioni del primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo che, prima di lasciare il suo incarico nel giugno scorso, ha sottolineato come
«L’elevato numero dei detenuti non definitivi siano un sintomo dello squilibrio del processo italiano.
Uno squilibrio fra la gravità indiziaria e la motivazione per la custodia cautelare».
Il ddl parlamentare sulla custodia cautelare in carcere prevede anche un accenno di riforma processuale perché propone la soppressione dei procedimenti con imputati irreperibili (ce lo chiede l’Europa, che ha aperto anche una procedura di infrazione sui costi inutili dei processi con imputati in contumacia).
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