Come ho già avuto modo di dire, la metà dei miei conoscenti vota Movimento 5 stelle, e spesso con loro ho avuto discussioni feroci. Regolarmente le discussioni ruotano attorno ai punti del programma del Movimento che sono in qualche modo affini al mio pensiero. Sei d’accordo con il ritiro dall’Afghanistan, con il reddito di cittadinanza, con il blocco della Tav, l’ecologia eccetera? Sì. Ti piacciono gli altri vecchi parrucconi? No. Come ti sembrano i candidati dei 5Stelle per parlamento e il senato? A parte un paio di fascisti e di idioti, direi che mi paiono brave persone. E ALLORA? Dove sta il problema?
Il problema, per me, sta nel manico. E’ in Grillo. Non pretendo di fare una fine analisi politica, come sapete ho fatto le scuole basse, e neppure di avere l’arguzia di Gramellini e i suoi fondi, ma cerco di spiegarmi ugualmente. Grillo incarna tutto quello che per me è deteriore nella politica. Chiede di essere seguito, di essere ascoltato, di essere obbedito, invece di condividere, ascoltare, decidere con gli altri. Grillo dice di essere il portavoce di un movimento, il suo megafono, ma la realtà è il contrario. Sono i militanti del movimento 5 stelle a essere i megafoni di Grillo. Certo, lui prende istanze che vengono dal basso, ma in base alle proprie inclinazioni, ai propri gusti personali, alla propria coscienza. Pesca le lotte in base ai propri criteri e le modalità di lotta in base al suo buonsenso. Quando ieri spiegava di essere sceso in campo perché voleva fare qualcosa per il nostro Paese, io credo che dicesse la verità. Il problema è: chissenefrega.
Chissenefrega di quello che vuol fare Grillo o perché lo fa. Sarà tuttalpiù un elemento di discussione nella sua famiglia o tra i suoi amici, ma non può essere il programma di una compagine che si presenta alle elezioni (certo, Berlusconi lo ha fatto prima di lui), e tantomeno di un movimento. Perché il pensiero di un movimento, è, appunto, la sintesi del pensiero di una moltitudine, non la moltiplicazione del pensiero di un singolo.
Mi spiego meglio. Anche se adesso sto in casa a giocare con le parole, per almeno una dozzina di anni ho fatto militanza politica. A sinistra, nei movimenti di base, antinucleari, per il diritto alla casa, i centri sociali. E ho imparato soprattutto una cosa da questa esperienza: che la democrazia è una rottura di palle. Per prendere una decisione devi discutere, poi discutere ancora, e ancora. Devi cercare di convincere quelli che non la pensano come te, oppure convincere quelli che la pensano QUASI come te per avere una maggioranza, sopportare le chiacchiere dei deficienti (o che ti sembrano deficienti), delle teste di legno (o che ti sembrano…) , dei provocatori (idem), di quelli che parlano solo per parlare perché quello dell’assemblea è l’unico momento della loro vita in cui si sentono un pochino importanti. E poi, una volta presa la decisione, per attuarla devi discutere ancora, mentre quelli che non sono d’accordo cercano per lo più di boicottarti. E se fai parte di una qualche organizzazione stratificata sul piano nazionale, allora la discussione prima la fai nella tua sede, poi in un qualche coordinamento più grande dove tutto si rimette in gioco, poi in quella più grande ancora e così via. Si perde un sacco di tempo e non è detto che vincano le idee migliori: ci sono quelli che solo perché parlano bene riescono a tirare dalla loro parte gli indecisi anche se le loro idee sono idiote. Tantissimo tempo consumato, strappato alla vita. E magari non sarai tu ad aver in mano il megafono al prossimo corteo. Anzi, dovrai stare a fare il servizio d’ordine o a spillare la birra al concerto di autofinanziamento.
Ma non c’è un’alternativa. Perché quello che esce da tutte quelle parole è il pensiero di un movimento ed è straordinariamente potente, può davvero cambiare il mondo. E guardate che questa cosa non è patrimonio solo della sinistra. E’ così in tutti i movimenti di base. Poi, certo, i movimento si reificano in partiti e nascono le prime oligarchie. Finchè altri movimenti non si formano in seno al partito proprio per scalzare le oligarchie, i partiti terminano la loro spinta propulsiva, cessano di essere vettori di cambiamento e diventano elementi di conservazione.
Voi potete dirmi che questi sono sofismi, e ancora una volta mi rendo conto della povertà della mia capacità espositiva. Scrivo gialli, capite, portate pazienza. Vedete, quello che voglio dire è che la democrazia è la sostanza dei movimenti, non la forma esteriore. Prendiamo una delle parole d’ordine del movimento 5 stelle, che è quella del No alla Tav. Il No alla Tav non è nato da uno che si è svegliato una mattina e ha detto: ragazzi, adesso blocchiamo i lavori. E’ successo che della gente che abita nei paesi limitrofi ai lavori si è preoccupata per la propria salute e per lo sperpero di denaro pubblico, ha cominciato a vedersi, ha cominciato a discutere il da farsi.
E anche lì ci sarà stato il coglione che avrà detto mettiamoci una cintura di dinamite, e il provocatore che avrà detto il treno è progresso fingendo di non capire che non tutti i treni sono uguali. Ci sarà stato quello che credeva alle scie chimiche, ai rapimenti alieni, ai Maya. Ma con pazienza quelli che si sono riuniti per sere e sere, dedicando fette enormi della loro vita, hanno deciso di fare presidi e blocchi, hanno cercato di portare alla ribalta nazionale il concetto di No Tav, hanno costruito un movimento vero. Adesso chiunque può salire su un palco e dire No Tav, adesso è facile. Ma senza di loro non sarebbe stato possibile.
Oppure prendiamo il reddito di cittadinanza. Sapete da quanti anni se ne discute? Almeno dalla fine degli anni ottanta. Sicuramente l’ha elaborato qualche economista o qualche filosofo come ricaduta del postfordismo, uno di questi era Toni Negri, ma poi è diventato il perno della discussione di molti gruppi, gruppi che hanno cominciato ad andare in giro e a parlarne quando Grillo ancora faceva spettacoli distruggendo a martellate i computer perché alienanti. Ve le ricordate le “tute bianche” ? Ecco, parlavano di reddito di cittadinanza. Cercavano di renderlo una cosa concreta nelle loro vite, masticavano il concetto, lo elaboravano, ne discutevano e alla fine lo affinavano, lo rendevano vivo. E se prima di loro non ci fossero state le lotte degli interinali francesi, il concetto non sarebbe mai stato elaborato.
Chiariamoci, non voglio dire che se qualcuno elabora un concetto qualcun altro non possa utilizzarlo. Anzi, prego, accomodatevi, basta che rispettiate le sue origini. E rispettiate anche il fatto che per trasmettere quel concetto qualcuno si è preso botte e galera. Una galera che adesso lo rende inadatto, magari, a essere nelle vostre liste.
Quello che voglio dire è che un partito dove la linea è dettata da una sola persona, dove la comunicazione discende invece che circolare, non sarà mai in grado di elaborare alcunché. E’ come un club dove devi rispettare delle regole per poter accedere, una religione. Perché sono le religioni quelle dove non puoi mettere in discussione contenuti e regole, dove non vi è nemmeno lo strumento per discutere contenuti e regole. E anche se quasi tutte le religioni hanno qualcosa di buono, anche se molti preti fanno volontariato e sono delle brave persone, non le voterei.
Come ho già avuto occasione di dire, io chi vota Grillo lo capisco. Lo capisco perché è incazzato, perché si sente incapace di contare qualcosa, di influire sulla casta, di far sentire la propria voce. E’ stufo di politiche che parlano di massimi sistemi ma che stranamente non parlano mai di lui o di lei quando vengono licenziati, quando fanno un lavoro precario, quando devono chiudere il loro negozio o andare dallo strozzino per pagare il mutuo. E la colpa è di chi non gli ha dato ascolto, di chi gli ha chiuso la porta in faccia, di chi non ha saputo rinnovare i sindacati perché comprendessero le nuove forme del lavoro e del mercato.
Il problema, però, è che troppa rabbia, troppo livore, per quanto giustificati, alla fine rendono ciechi. Ti portano a gridare che è ora di finirla con la casta, che è giusto, ma anche che è ora di finirla con i sindacati, che è un delirio fascista. Ti spingono a mandare a fare in culo il giornalista prezzolato da un milione di euro l’anno, ma anche a invocare la chiusura dei giornali, a far cacciare degli operatori sfigati, molti dei quali precari o cococo, da sotto un palco. Ti portano in piazza a stare con gli altri, che è meraviglioso, ma anche ad acclamare il salvatore, l’uomo della provvidenza a dire che lo ami, a baciargli il mantello, che è una cosa tremenda, umiliante anche solo per chi vede.
Comunque sia, care e cari, fate un po’ quel cazzo che volete. Magari sbaglio io, come dice la canzone che vi metto sotto. Magari è quello che ci meritiamo. Avremo, temo, modo di riparlarne.
PS
Solo tre cose leggendo i vostri commenti, che vi ringrazio di avere postato. La prima è che il reddito di cittadinanza NON è il sussidio di disoccupazione. Come ho spiegato più sopra non sono un teorico, ma la differenza è che il reddito di cittadinanza ti viene erogato perché, in una società postfordista, la tua creatività e il suo stesso esistere sono produttivi e il reddito di cittadinanza è la retribuzione di questa produttività “di base” diciamo. (per capirci, tu produci anche solo ascoltando la radio, perché in base al numero degli ascoltatori la pubblicità di quella radio viene pagata. O, facendo un altro esempio, produci anche usando Facebook, perché poi Facebook viene quotato in borsa in base al numero dei suoi utenti). Il reddito di cittadinanza permette inoltre di liberare energie e creatività, perché non sei più costretto a dedicare tutte le tue energie a sopravvivere. Che mi risulti, per lo più in Europa dove esiste esiste il sussidio di disoccupazione. Seconda cosa, sulla No Tav. Sono convinto che vi siano esponenti 5 Stelle che partecipano alle lotte No Tav, per lo meno lo spero (anche se, una volta presa una condanna per manifestazione non autorizzata o blocco stradale immagino non possano più candidarsi, viste le regole che equiparano qualsiasi condanna). Quello che volevo mettere in luce, però, è il fatto che se il Movimento no Tav esiste è perché è stato costruito e creato dal basso, in modo orizzontale, non deciso da qualcuno in piedi su un palco. E’ la differenza tra una lotta di popolo e un movimento truppe. Terza cosa, chi dice che intanto dà una spallata poi tornerà volentieri a votare tra sei mesi, non tiene conto del disastro economico che sei mesi di non governo potrebbero portare al nostro paese. Buona fortuna, Italia.
Il problema, per me, sta nel manico. E’ in Grillo. Non pretendo di fare una fine analisi politica, come sapete ho fatto le scuole basse, e neppure di avere l’arguzia di Gramellini e i suoi fondi, ma cerco di spiegarmi ugualmente. Grillo incarna tutto quello che per me è deteriore nella politica. Chiede di essere seguito, di essere ascoltato, di essere obbedito, invece di condividere, ascoltare, decidere con gli altri. Grillo dice di essere il portavoce di un movimento, il suo megafono, ma la realtà è il contrario. Sono i militanti del movimento 5 stelle a essere i megafoni di Grillo. Certo, lui prende istanze che vengono dal basso, ma in base alle proprie inclinazioni, ai propri gusti personali, alla propria coscienza. Pesca le lotte in base ai propri criteri e le modalità di lotta in base al suo buonsenso. Quando ieri spiegava di essere sceso in campo perché voleva fare qualcosa per il nostro Paese, io credo che dicesse la verità. Il problema è: chissenefrega.
Chissenefrega di quello che vuol fare Grillo o perché lo fa. Sarà tuttalpiù un elemento di discussione nella sua famiglia o tra i suoi amici, ma non può essere il programma di una compagine che si presenta alle elezioni (certo, Berlusconi lo ha fatto prima di lui), e tantomeno di un movimento. Perché il pensiero di un movimento, è, appunto, la sintesi del pensiero di una moltitudine, non la moltiplicazione del pensiero di un singolo.
Mi spiego meglio. Anche se adesso sto in casa a giocare con le parole, per almeno una dozzina di anni ho fatto militanza politica. A sinistra, nei movimenti di base, antinucleari, per il diritto alla casa, i centri sociali. E ho imparato soprattutto una cosa da questa esperienza: che la democrazia è una rottura di palle. Per prendere una decisione devi discutere, poi discutere ancora, e ancora. Devi cercare di convincere quelli che non la pensano come te, oppure convincere quelli che la pensano QUASI come te per avere una maggioranza, sopportare le chiacchiere dei deficienti (o che ti sembrano deficienti), delle teste di legno (o che ti sembrano…) , dei provocatori (idem), di quelli che parlano solo per parlare perché quello dell’assemblea è l’unico momento della loro vita in cui si sentono un pochino importanti. E poi, una volta presa la decisione, per attuarla devi discutere ancora, mentre quelli che non sono d’accordo cercano per lo più di boicottarti. E se fai parte di una qualche organizzazione stratificata sul piano nazionale, allora la discussione prima la fai nella tua sede, poi in un qualche coordinamento più grande dove tutto si rimette in gioco, poi in quella più grande ancora e così via. Si perde un sacco di tempo e non è detto che vincano le idee migliori: ci sono quelli che solo perché parlano bene riescono a tirare dalla loro parte gli indecisi anche se le loro idee sono idiote. Tantissimo tempo consumato, strappato alla vita. E magari non sarai tu ad aver in mano il megafono al prossimo corteo. Anzi, dovrai stare a fare il servizio d’ordine o a spillare la birra al concerto di autofinanziamento.
Ma non c’è un’alternativa. Perché quello che esce da tutte quelle parole è il pensiero di un movimento ed è straordinariamente potente, può davvero cambiare il mondo. E guardate che questa cosa non è patrimonio solo della sinistra. E’ così in tutti i movimenti di base. Poi, certo, i movimento si reificano in partiti e nascono le prime oligarchie. Finchè altri movimenti non si formano in seno al partito proprio per scalzare le oligarchie, i partiti terminano la loro spinta propulsiva, cessano di essere vettori di cambiamento e diventano elementi di conservazione.
Voi potete dirmi che questi sono sofismi, e ancora una volta mi rendo conto della povertà della mia capacità espositiva. Scrivo gialli, capite, portate pazienza. Vedete, quello che voglio dire è che la democrazia è la sostanza dei movimenti, non la forma esteriore. Prendiamo una delle parole d’ordine del movimento 5 stelle, che è quella del No alla Tav. Il No alla Tav non è nato da uno che si è svegliato una mattina e ha detto: ragazzi, adesso blocchiamo i lavori. E’ successo che della gente che abita nei paesi limitrofi ai lavori si è preoccupata per la propria salute e per lo sperpero di denaro pubblico, ha cominciato a vedersi, ha cominciato a discutere il da farsi.
E anche lì ci sarà stato il coglione che avrà detto mettiamoci una cintura di dinamite, e il provocatore che avrà detto il treno è progresso fingendo di non capire che non tutti i treni sono uguali. Ci sarà stato quello che credeva alle scie chimiche, ai rapimenti alieni, ai Maya. Ma con pazienza quelli che si sono riuniti per sere e sere, dedicando fette enormi della loro vita, hanno deciso di fare presidi e blocchi, hanno cercato di portare alla ribalta nazionale il concetto di No Tav, hanno costruito un movimento vero. Adesso chiunque può salire su un palco e dire No Tav, adesso è facile. Ma senza di loro non sarebbe stato possibile.
Oppure prendiamo il reddito di cittadinanza. Sapete da quanti anni se ne discute? Almeno dalla fine degli anni ottanta. Sicuramente l’ha elaborato qualche economista o qualche filosofo come ricaduta del postfordismo, uno di questi era Toni Negri, ma poi è diventato il perno della discussione di molti gruppi, gruppi che hanno cominciato ad andare in giro e a parlarne quando Grillo ancora faceva spettacoli distruggendo a martellate i computer perché alienanti. Ve le ricordate le “tute bianche” ? Ecco, parlavano di reddito di cittadinanza. Cercavano di renderlo una cosa concreta nelle loro vite, masticavano il concetto, lo elaboravano, ne discutevano e alla fine lo affinavano, lo rendevano vivo. E se prima di loro non ci fossero state le lotte degli interinali francesi, il concetto non sarebbe mai stato elaborato.
Chiariamoci, non voglio dire che se qualcuno elabora un concetto qualcun altro non possa utilizzarlo. Anzi, prego, accomodatevi, basta che rispettiate le sue origini. E rispettiate anche il fatto che per trasmettere quel concetto qualcuno si è preso botte e galera. Una galera che adesso lo rende inadatto, magari, a essere nelle vostre liste.
Quello che voglio dire è che un partito dove la linea è dettata da una sola persona, dove la comunicazione discende invece che circolare, non sarà mai in grado di elaborare alcunché. E’ come un club dove devi rispettare delle regole per poter accedere, una religione. Perché sono le religioni quelle dove non puoi mettere in discussione contenuti e regole, dove non vi è nemmeno lo strumento per discutere contenuti e regole. E anche se quasi tutte le religioni hanno qualcosa di buono, anche se molti preti fanno volontariato e sono delle brave persone, non le voterei.
Come ho già avuto occasione di dire, io chi vota Grillo lo capisco. Lo capisco perché è incazzato, perché si sente incapace di contare qualcosa, di influire sulla casta, di far sentire la propria voce. E’ stufo di politiche che parlano di massimi sistemi ma che stranamente non parlano mai di lui o di lei quando vengono licenziati, quando fanno un lavoro precario, quando devono chiudere il loro negozio o andare dallo strozzino per pagare il mutuo. E la colpa è di chi non gli ha dato ascolto, di chi gli ha chiuso la porta in faccia, di chi non ha saputo rinnovare i sindacati perché comprendessero le nuove forme del lavoro e del mercato.
Il problema, però, è che troppa rabbia, troppo livore, per quanto giustificati, alla fine rendono ciechi. Ti portano a gridare che è ora di finirla con la casta, che è giusto, ma anche che è ora di finirla con i sindacati, che è un delirio fascista. Ti spingono a mandare a fare in culo il giornalista prezzolato da un milione di euro l’anno, ma anche a invocare la chiusura dei giornali, a far cacciare degli operatori sfigati, molti dei quali precari o cococo, da sotto un palco. Ti portano in piazza a stare con gli altri, che è meraviglioso, ma anche ad acclamare il salvatore, l’uomo della provvidenza a dire che lo ami, a baciargli il mantello, che è una cosa tremenda, umiliante anche solo per chi vede.
Comunque sia, care e cari, fate un po’ quel cazzo che volete. Magari sbaglio io, come dice la canzone che vi metto sotto. Magari è quello che ci meritiamo. Avremo, temo, modo di riparlarne.
PS
Solo tre cose leggendo i vostri commenti, che vi ringrazio di avere postato. La prima è che il reddito di cittadinanza NON è il sussidio di disoccupazione. Come ho spiegato più sopra non sono un teorico, ma la differenza è che il reddito di cittadinanza ti viene erogato perché, in una società postfordista, la tua creatività e il suo stesso esistere sono produttivi e il reddito di cittadinanza è la retribuzione di questa produttività “di base” diciamo. (per capirci, tu produci anche solo ascoltando la radio, perché in base al numero degli ascoltatori la pubblicità di quella radio viene pagata. O, facendo un altro esempio, produci anche usando Facebook, perché poi Facebook viene quotato in borsa in base al numero dei suoi utenti). Il reddito di cittadinanza permette inoltre di liberare energie e creatività, perché non sei più costretto a dedicare tutte le tue energie a sopravvivere. Che mi risulti, per lo più in Europa dove esiste esiste il sussidio di disoccupazione. Seconda cosa, sulla No Tav. Sono convinto che vi siano esponenti 5 Stelle che partecipano alle lotte No Tav, per lo meno lo spero (anche se, una volta presa una condanna per manifestazione non autorizzata o blocco stradale immagino non possano più candidarsi, viste le regole che equiparano qualsiasi condanna). Quello che volevo mettere in luce, però, è il fatto che se il Movimento no Tav esiste è perché è stato costruito e creato dal basso, in modo orizzontale, non deciso da qualcuno in piedi su un palco. E’ la differenza tra una lotta di popolo e un movimento truppe. Terza cosa, chi dice che intanto dà una spallata poi tornerà volentieri a votare tra sei mesi, non tiene conto del disastro economico che sei mesi di non governo potrebbero portare al nostro paese. Buona fortuna, Italia.
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