Guidi: «Fatta a pezzi per un niente
Con la politica ho chiuso»
L’ex ministra dopo la richiesta di ’archiviazione di Tempa rossa: ora penso a mio figlio. «Non c’era nulla in quella intercettazione. È finito tutto in una bolla di sapone»
Le luci della ribalta l’hanno prima esaltata, poi sfregiata politicamente e nel profondo. E adesso che potrebbe uscirne a testa alta, festeggiando la richiesta di archiviazione dell’inchiesta Tempa Rossa e rivendicando pubblicamente «buona fede e correttezza al servizio del Paese», Federica Guidi si tiene alla larga da registratori e telecamere: «Sono stata fatta a pezzi e costretta alle dimissioni — si sfoga in privato —. E per cosa? Non c’era nulla in quella intercettazione. Non ero nemmeno indagata. E infatti, è finito tutto in una bolla di sapone».
«Ho sofferto troppo»
Nel passaggio dalla Procura di Potenza alla Procura di Roma lo scandalo giudiziario e mediatico su petrolio lucano, corruzione e traffico di influenze illecite, si è sciolto come il ghiaccio di questi giorni gelidi. L’impianto accusatorio del caso che la scorsa primavera fece tremare il governo Renzi non ha retto e il pm Roberto Felici ne ha chiesto l’archiviazione. Dunque niente reati, nessuna associazione a delinquere, anche se l’allora compagno della ministra, Gianluca Gemelli, è dipinto nelle carte romane come un «soggetto intraprendente, interessato alle opportunità derivanti da Tempa Rossa». Un tipo apparso ai giudici spregiudicato e millantatore, che però, «al di là di censurabili atteggiamenti, non emerge abbia mai richiesto compensi per interagire con esponenti del governo». E allora? La telefonata incriminata tra Guidi e Gemelli, l’emendamento alla legge di Stabilità che la ministra si impegnava a far approvare per sbloccare un impianto nel potentino, il nome della Boschi che spuntava nell’intercettazione? Niente di penalmente rilevante. E ora che è tutto finito, Federica non brinda. L’amarezza prevale sul sollievo: «Ho sofferto troppo. E adesso che mi sono ripresa la mia vita, mi interessano solo mio figlio, la famiglia e l’azienda. È stata dura, non voglio parlare di questa esperienza incredibile, non voglio saperne più nulla e non leggerò una riga che parli di me».
«Non leggo di me sui giornali»
Per tranquillizzare gli amici l’imprenditrice nata a Modena nel 1969 si dice «felice di aver riconquistato l’anonimato». E a chi le suggerisce di parlare per recuperare immagine e dignità, risponde che non ha motivo «di essere riabilitata». Con la politica ha chiuso. E per quanto il «doppiopesismo» del Pd a suo tempo le fece male, non intende accendere polemiche: «È stata una cosa brutale, ma è andata». L’imperativo è difendersi, proteggere il piccolo Gianguido. Tutelare la Ducati Energia, dove è tornata a lavorare al fianco del padre Guidalberto, per tanti anni vicepresidente di Confindustria. La chiamano in tanti, le porgono complimenti che non sembra gradire: «Faccio soprattutto la mamma. Sono serena, ma non so se questa ferita potrà mai rimarginarsi. Non nego che a livello umano le conseguenze sono state profonde e nemmeno una bella notizia come l’archiviazione può farmi piacere». Per questo evita con cura di incrociare il suo nome stampato sui giornali: «Quando si parla di me non li apro. Ho sviluppato una sorta di ipersensibilità per quella vicenda, una tale idiosincrasia che non mi interessa nemmeno chiuderla. Servirà ancora tempo, perché tutto questo possa decantare». Il suono di quelle due parole, Tempa Rossa, è un ciak che aziona nella sua testa il film di quei giorni. La bufera politica. Le opposizioni che attaccano. Il M5S che presenta la mozione di sfiducia. La maggioranza e il Pd che le gettano addosso una coperta di sospetti e silenzio, rimproverandole sottotraccia di non aver rivelato di che pasta fosse fatto l’uomo che, nei giorni della bufera, disse di considerare «a tutti gli effetti mio marito».
Quando Renzi disse: «Guidi è indifendibile»
Il 31 marzo Matteo Renzi, in missione negli Usa, fa trapelare attraverso i collaboratori il suo stato d’animo: «Guidi è indifendibile, ha commesso un errore e si deve dimettere. I tempi sono cambiati. Chi sbaglia, va a casa». Scaricata dal premier Federica lascia la poltrona su cui si era seduta il 22 febbraio 2014, inseguita dalle accuse di conflitto di interessi. L’addio, in una lettera al Corriere, è amaro: «La mia è anche una scelta umana, che mi costa, ma che ritengo doverosa per i principi che hanno ispirato sempre la mia vita».
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