martedì 10 gennaio 2017

Parte il processo interno ai capi: “Così diventiamo incomprensibili”

M5S
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Nuovo colpo all’ala pragmatica. Il sospetto che Grillo abbia subìto la decisione
 
Forse non è elegante ma mai come oggi i 17 europarlamentari 5 Stelle si sentono cornuti e mazziati. Gli è stato calato dall’alto e a loro insaputa un accordo di cui non sapevano nulla e dalla mattina alla sera sono stati traslocati dal gruppo anti-europeista per eccellenza di Nigel Farage (Efdd) a quello liberista e filo europeista dell’Alde.
Per 36 ore hanno dovuto, a bocca storta, recitare la favoletta dell’«accordo tecnico ma mai politico» per riuscire a contare di più tra Bruxelles e Strasburgo. Hanno dovuto fare i salti mortali per trovare una giustificazione al fatto che già il 6 gennaio, due giorni prima l’annuncio di Grillo del cambio di campo, Grillo e Casaleggio avevano firmato un accordo di matrimonio con tanto di divisione di beni e doveri (tra cui l’appoggio dei 17 voti 5 Stelle per l’elezione di Guy Verhofstadt alla presidenza del Parlamento europeo). Una fatica boia.
Perché stavolta non si trattava di parlare di sfumature di grigio ma di giustificare una scelta simile a quella di Razzi e Scilipoti quando nel 2010 lasciarono Idv e garantirono per due voti la maggioranza al governo Berlusconi. Una fatica del tutto inutile.
Alle sei del pomeriggio, dopo una riunione infuocata tra i 17 eurodeputati e Casaleggio calato in fretta e furia a Bruxelles per calmare le acque e Grillo in collegamento skype, i 5 Stelle sono rimasti in mezzo al guado. «Grazie, non se ne fa di nulla. I 5 Stelle non possono entrare nel nostro gruppo, troppe divergenze» ha chiuso Guy Verhofstadt.
Si verifica così la profezia dell’ortodosso Carlo Sibillia, ex membro del Direttorio che domenica aveva detto: «I 5 Stelle in Alde? Meglio soli che male accompagnati». Ecco, finisce proprio così: i 5 Stelle finiscono tra i noniscritti (che equivale a zero azione politica) ma, assicura il totem del blog obbligato a reagire allo schiaffone di Verhofstadt, «lavoreremo per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il Ddm (Direct Democracy Movement)».
Intanto, da qui ai prossimi mesi, sono destinati a non toccare palla. L’alt di Verhofstadt nasce dalle pressioni del suo gruppo che per 36 ore ha alzato muri contro l’ingresso dei 5 Stelle. Ma anche dalle barricate interne, degli ortodossi e dei duri e puri del Movimento. Ieri pomeriggio buona parte dei 17 eurodeputati erano «molto contrariati». E c’è voluto molto sangue freddo per andare alla riunione con il giovane Casaleggio tra i più convinti del cambio di campo.
Sempre più autonomi rispetto a certi diktat sull’asse Roma-Milano, gli eurodeputati 5 Stelle aveva inghiottito molto male il fatto di aver saputo direttamente dal blog domenica mattina che avrebbero cambiato gruppo. L’hanno chiamato «il golpe della Befana». Giuseppe Brescia e Fabio Massimo Castaldo hanno manifestato tutti i loro dubbi. Ma la decisione era già stata presa e anche ratificata dal voto on line. Solo per non restare spiazzati hanno dovuto recitare poco convinti la linea calata dall’alto: «Non è una scelta politica ma una scelta tecnica. In base ai regolamenti del parlamento europeo ci dobbiamo accompagnare con qualcuno, cioè un gruppo, per contare qualcosa. Questo non vuol dire condividere il programma di Alde ». Alle 18 e 30 è cambiato tutto. E, se possibile, lo smacco è ancora più duro dell’arresto di Raffaele Marra, ex braccio destro di Virginia Raggi.
Il totem del blog corre ai ripari come può: «L’establishment ha fermato l’accordo con Alde». Ma all’interno e sulle chat parte il processo interno. Questa volta proprio ai capi, al garante politico Beppe Grillo e allo stratega della comunicazione Davide Casaleggio.
Un deputato europeo, un ortodosso alla Fico e e alla Lombardi, accetta di parlare dietro anonimato. «Ero contrario prima, ora sono furioso per la figuraccia che abbiamo fatto», dice. Si chiede cosa ci sia dietro «l’attivismo di Beppe nell’ultima settimana», prima la svolta etica per cui l’avviso di garanzia non deve causare dimissioni (detto anche la norma salva-Raggi), poi l’attacco ai giornali che «dovranno essere giudicati dal tribunale del popolo», domenica la piroetta Farage-Alde. Tenta un paio di risposte: togliere l’attenzione da Roma; la voglia di contare veramente di più e dimostrare di non temere alleanze di tipo tecnico a volte necessarie per governare.
Forse c’è un po’ di tutto questo dietro la figuraccia europea dei 5Stelle. L’eurodeputato omette di elencare i vantaggi economici che il passaggio in Alde avrebbe comportato (tre milioni e mezzo ogni legislatura per ciascun gruppo). Non è un dettaglio. Ma soprattutto riflette sul fatto che quello di ieri è «l’ennesimo ceffone all’anima pragmatica del Movimento»: quella che farebbe di tutto per andare a governare, la corrente di Di Maio e Di Battista. E del giovane Casaleggio.
Il dubbio, che fatica anche a prendere forma nelle parole, è che «anche Grillo abbia subìto la farsa di oggi». E allora il processo interno avrebbe soprattutto un imputato: Casaleggio jr.

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