lunedì 15 dicembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Assemblea Pd, il fondatore dell'Ulivo Arturo Parisi d'accordo con il rottamatore dell'Ulivo Matteo Renzi (VIDEO)

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PARISI



"Noto un certo richiamo nostalgico, ma l'Ulivo non è un santino, è stato mandato a casa dai nostri errori e noi realizziamo le sue promesse" ma "abbiamo perso 20 anni". Il segretario del Partito democratico Matteo Renzi, nei suoi interventi all'assemblea nazionale del Pd, ha riservato una stoccata a chi, qualche giorno fa, evocava l'Ulivo.
Professor Parisi, nelle ultime settimane e anche all'assemblea Pd di oggi si sentono diversi richiami alla stagione dell'Ulivo. Civati cerca di farsene interprete, in una visione di sinistra-centro. Renzi sostiene invece di stare realizzando quelle riforme- elettorali e costituzionali che erano al centro delle tesi uliviste. Qual è la sua opinione?
“È una prova ulteriore che, nonostante il passare degli anni, il progetto dell'Ulivo rappresenta ancora un discrimine dentro quella fase della storia della repubblica che abbiamo chiamato "seconda repubblica". La sua condivisione o il suo rifiuto è un criterio ancora attuale per ricostruire gli eventi e definire le diverse posizioni. Questo soprattutto per la perdurante attualità delle risposte che nel progetto dell'Ulivo erano contenute in riferimento alla sfida del passaggio ad una democrazia governante che era stata aperta dalla introduzione del maggioritario seguita ai referendum istituzionali dei primi anni '90. Siamo ancora lì. Da una parte chi resiste e vorrebbe tornare indietro alla democrazia parlamentare fondata sulla delega ai partiti, dall'altra chi si batte per il rafforzamento dell'esecutivo e della democrazia dei cittadini. Da una parte chi lavora per il bipolarismo più o meno bipartitico, dall'altra chi coltiva la nostalgia del multipartitismo garantito dalla legge proporzionale. Da una parte la battaglia degli ulivisti per l'unità del centrosinistra e la trasformazione di quello che era nato come occasionale cartello elettorale in un partito. Dall'altra la resistenza dei partiti per la difesa della loro autonomia e la riduzione della coalizione ad un taxi da prendere solo per assecondare la nuova legge elettorale e dal quale scendere una volta arrivati in parlamento".
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Ritiene che il giudizio molto severo del premier sugli ultimi 20 anni, anche per quanto riguarda il centrosinistra e le sue politiche, sia condivisibile? 
"Che si sia perso tempo è fuori discussione. E che in questa perdita di tempo siano state determinanti le divisioni interne al centrosinistra e il prevalere della componente che mise fine nel 1998 all'Ulivo lo è altrettanto. Non è all'Ulivo che è imputabile il ritardo di questi anni. Esso è invece l'esito della resistenza al suo progetto, nel migliore dei casi il frutto dello stallo prodotto tra le due linee contrapposte. Ha fatto bene Renzi a chiarirlo nelle conclusioni. L'Ulivo del quale parlava non è quello della superficiale nostalgia, ma quello della dura realtà. Da questo punto di vista l'Ulivo è il segno che abbiamo dato ad un sogno durato solo pochi anni, e il nome dato ad una battaglia che gli ulivisti hanno ripreso senza sosta lungo tutto il ventennio, nonostante le sconfitte, senza arrendersi mai. Il ventennio che oggi qualcuno vorrebbe definire dell'Ulivo e ieri chiamava di Berlusconi è tuttaltro che alle nostre spalle. La battaglia di oggi è la continuazione di quella di ieri. Basterebbe pensare che il Berlusconi col quale è stato stretto un patto costituente è lo stesso del '94. Indebolito ma tuttavia ancora determinante. E dentro i due principali campi si affrontano ancora le due logiche contrapposte".
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Parlare oggi di Ulivo è dunque una operazione nostalgica, come dice il segretario? 
"Mi sembra che Renzi denunci questa operazione più come strumentale che come nostalgica. Più precisamente mi sembra alludere a chi per poter agitare questa nostalgia in modo strumentale preferisce evocare l'Ulivo in modo mitologico senza chiamare in causa le responsabilità personali di chi quel progetto osteggiò nella realtà. Questo per evitare di dividere il fronte che si oppone in questo passaggio alla segreteria e alle riforme". 
Vede nella idea del Pd come Partito della Nazione, che ha in mente Renzi e nello stesso patto del Nazareno, dei rischi per la tenuta del bipolarismo?
"Non certo nel Patto in quanto tale. Come scrivemmo, nella prima riga della prima scheda del programma dell'Ulivo in vista delle elezioni del '96, le regole fondamentali, furono infatti state infatti da noi pensate fin dall'inizio come "un patto da scrivere assieme". E assieme significava allora come oggi, assieme a Berlusconi. Il problema è nel caso il contenuto del patto. A questo si aggiunge il problema posto dalla rottura oggettiva dell'assetto bipolare a causa della presenza di forze che sfuggono a questa logica come il M5S. Debbo tuttavia aggiungere che da questo punto di vista il premio di maggioranza a favore del partito che superi il 40% e diversamente la previsione del doppio turno rappresentano una garanzia. Detto questo per quel che riguarda i rischi per la tenuta del bipolarismo, lo stesso non direi per altri aspetti e in particolare per il mancato riconoscimento del diritto dei cittadini di eleggere i propri rappresentanti. La soluzione che sembra profilarsi sembra infatti per più versi inaccettabile. Anche per quel che riguarda la ridefinizione del Pd come partito della nazione non vedo in sè rischi particolari. A parte la formula che evoca un concetto più legato alla tradizione della destra che mi indurrebbe a preferire per il Pd la definizione di "partito della repubblica" leggo la proposta come traduzione della istanza implicita in ogni partito a vocazione maggioritaria perchè rivolga a tutti la propria proposta di governo". 
"Dire partito piglia-tutti non significa tuttavia dire a tutti quello che ognuno vuole, ridursi a mero partito acchiappavoti indistinguibile dagli altri partiti acchiappavoti che competono con lui per la vittoria elettorale. Rivolgersi a tutti non alleggerisce infatti dalla necessità di rivolgerci innanzitutto alla parte della quale siamo dalla storia caricati della rappresentanza, e dal compito di avanzare una nostra proposta elaborata a partire dai nostri valori e da una specifica analisi della società. Dire partito piglia-tutti significa dirsi partito di tutti, non più partito di una classe anche se classe generale come aspirava un tempo ad essere la classe operaia. Seppure è vero che la regola maggioritaria spinge naturalmente verso un assetto tendenzialmente duale va detto che se di partiti "della nazione" non ce ne sono almeno due la democrazia è a rischio. Il passo da un unico partito della nazione, ad un partito unico della nazione è infatti breve".

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