domenica 14 dicembre 2014

Chi come me non è iscritto ad alcun partito si può permettere di criticare o elogiare chi gli pare. Ma se si vive all'interno di un partito deve essere leale. E se il 99% di quello che viene votato negli organismi democratici non l'ho convince forse ha sbagliato partito.

Matteo Renzi furioso con la minoranza Pd: "Non voglio obbedienza ma siate leali, fatelo per gli iscritti al partito"

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RENZI

Renzi conosce gli umori della minoranza e all'assemblea di questa domenica si rivolgerà direttamente ai dissidenti con parole simili a queste: "Non chiedo obbedienza, ma pretendo lealtà. Non per me, ma per la cucina della festa dell'Unità, per l'iscritto che prende ferie nella settimana delle elezioni, per la giovane precaria che spera in noi". E poi sarà ancora più duro: "Chi vuole cambiare segretario può aspettare fino al 2017, quando ci sarà il congresso. Chi vuole cambiare governo può aspettare il 2018, quando ci saranno le elezioni. Ma chi vuole cambiare il Paese non perda un solo giorno e venga a darci una mano". E intorno a questi concetti che il premier-segretario vuol mettere all'angolo la minoranza.
Il premier ha messo nero su bianco il documento che presenterà e che metterà ai voti. Un documento con l’elenco delle riforme e soprattutto con le date entro le quali dovranno essere approvate. A questo punto l’Assemblea si esprimerà e il voto – per Renzi – dovrà impegnare tutti. “Al Paese non possiamo più dare questo spettacolo. Non si può dire una cosa per poi farne un’altra. In questo modo perdiamo credibilità”, avrebbe detto nel pomeriggio ai suoi. 
Un passaggio del suo discorso potrebbe essere dedicato anche ai bilanci del partito: Renzi punterà sul taglio delle spese che lui ha messo in atto mettendolo a confronto con le gestioni precedenti. Ma soprattutto il premier dirà che non vuole rivendicare meriti per sé, "non voglio coccarde. Ma vorrei ricordarvi dell'impresa che noi insieme abbiamo fatto, che voi avete fatto. Avete preso un partito che aveva non vinto in Italia e lo abbiamo trasformato nel partito più votato d'Europa".
All'assemblea si arriva dopo un nervoso andato in scena alla Camera. “Non se ne può più di questi balletti”. Il clima che si respira a Palazzo Chigi è di forte irritazione. Tra i renziani e la minoranza Pd ormai soffiano venti di battaglia, se non addirittura di scissione. Ci sarà la resa dei conti? 
“Oggi parliamo del Papa e della scuola”, ha replicato Renzi ai cronisti prima di entrare nella sede del Pd per intervenire a un convegno sulla riforma scolastica. “Di tutto il resto ne parleremo in Assemblea”. Dove il premier-segretario non farà sconti a nessuno, viene raccontato in ambienti parlamentari a lui vicini, mentre la minoranza dem è in rivolta. Per capire che aria tira, basti pensare che Massimo D’Alema, reduce da uno scontro con il sottosegretario Graziano Delrio, non parteciperà all’assise. In un clima di minacce di sanzioni, spiegano fonti vicine all’ex premier, “è impossibile discutere di politica e ragionare sulla crisi e sul merito delle riforme proposte dal governo”.
La minoranza arriva all’assemblea in ordine sparso. Pippo Civati lancia il suo Patto repubblicano dal centro di Bologna e parla ormai apertamente di scissione: “Se Renzi continua così alle prossime elezioni non saremo con lui, nascerà un partito di sinistra. Più che di scissione parlerei della presa d’atto di una differenza”. 
Nelle altre aree della minoranza prevale "l'amarezza". "La nostra linea è che si sta nel Pd senza se e senza ma", dice Alfredo D'Attorre, che spiega di parlare a nome di tutta l'aria più critica dei bersaniani. Stefano Fassina usa parole ancora più dure: "Vedo un premier in difficoltà che cerca alibi per andare a elezioni anticipate. Sento parlare di 'imboscate' e di 'giochetti' per la volontà di delegittimare chi ha opinioni diverse". Anche Rosi Bindi, protagonista della battaglia sulle riforme, è molto preoccupata: "Vorrei ascoltare dal premier un discorso improntato sulla responsabilità". Anche per lei i toni usati negli ultimi giorni, in particolare dal vicesegretario del Pd, Deborah Serracchiani, sono "allarmanti".

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