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Dispersione scolastica a livelli record e fondi per combatterla più che dimezzati in appena cinque anni. L'Europa ci bacchetta, la politica giura di volere combattere la piaga degli studenti che abbandonano precocemente gli studi ma il dato italiano resta uno dei maggiori di tutta l'Europa a 28 nazioni. E i fondi stanziati dalla contrattazione integrativa per arginare il fenomeno che, stando agli economisti di tutto il mondo, blocca lo sviluppo economico e rallenta l'uscita dalla crisi si sono talmente assottigliati da non incidere quasi più. Da un lato i numeri sugli early school leavers forniti dalla banca dati Eurostat  -  i giovani 18/24enni che non hanno ancora conseguito il titolo di studi superiori, e per questa ragione vengono annoverati tra i dispersi  -  e dall'altro le cifre stanziate quest'anno dal ministero dell'Istruzione per "le scuole collocate in aree a rischio, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica".

I primi descrivono una situazione che non ha bisogno di molti commenti. In Italia i giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che nel 2013 erano ancora fermi al diploma della scuola media rappresentavano il 17 per cento del totale. Un dato che tradotto in numeri grezzi rappresenta oltre 720mila giovani con uno scarso livello di istruzione che rappresentano una forza lavoro poco qualificata. Il confronto con gli altri partner europei ci colloca in fondo alla classifica, prima soltanto di Turchia, Spagna, Malta, Islanda, Portogallo e Romania. Ma il raffronto con le nazioni leader del vecchio continente - Germania in testa  -  ci umilia: il nostro 17 per cento di dispersi è lontanissimo dal 12,4 del Regno Unito, il 9,9 per cento della Germania e il 9,7 della Francia, già al di sotto del target (pari al 10 per cento) di Ue 2020. Ma l'Italia è anche il paese industrializzato che riesce a limare meno la percentuale dei dispersi nel tempo. Francia, Germania e Regno Unito hanno fatto molto meglio di noi, in altre parole.

I secondi, i fondi per combattere la fuga di alunni dal sistema scolastico italiano, in appena cinque anni, sono stati ridotti a meno di metà di quelli previsti nel 2009/2010. La nota pubblicata lo scorso 7 ottobre dal ministero dell'istruzione non fa mistero della situazione. "Le risorse a disposizione per l'anno scolastico 2014/2015 per le scuole collocate nelle aree a rischio educativo, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica sono determinate in 18.458.933 euro. Tale somma  -  recita laconica la circolare di viale Trastevere  - , che rappresenta un'ulteriore diminuzione rispetto agli anni precedenti, impegna maggiormente gli uffici scolastici regionali nelle azioni di selezione e distribuzione delle risorse, al fine di ottimizzare l'utilizzo e la coerenza rispetto alle finalità istitutive di tale misura, nella direzione di favorire l'integrazione e il rientro in formazione di tutti gli studenti a rischio".
Appena cinque anni prima, la somma stanziata dal ministero dell'Istruzione per la stessa finalità era di 53.195.060 euro. In poche parole, quest'anno per favorire l'integrazione scolastica degli alunni stranieri  -  che nel frattempo sono aumentati di 150mila unità  -  e favorire il rientro in formazione di oltre 700mila ragazzi che hanno abbandonato gli studi le scuole possono contare su un terzo dei fondi previsti cinque anni fa. Il taglio patito dal capitolo di spesa in questione è stato del 65 per cento. Così, il blocco del contratto degli insegnanti, da cui dipende lo stanziamento sulle aree a rischio ha avuto pesanti ripercussioni oltre che sulla paga degli insegnanti e del personale Ata, anche sugli alunni più deboli, che necessitano di un insegnamento personalizzato, per i quali occorrono risorse aggiuntive. Risorse, che in questo momento mancano.