7/10/2014
Un Paese di indebitati: 164 miliardi di crediti inevasi
Dai mutui alle rate, il mercato dei crediti deteriorati non conosce crisi e fa gola ai fondi esteri
Il diavolo si nasconde nei dettagli e a volte pure in sigle apparentemente innocue. Npl - si pronuncia enpiel, all’inglese – è una di queste. Dietro questo acronimo, infatti, si nasconde la montagna dei non performing loan, altrimenti detti crediti deteriorati. O, se gli eufemismi non vi piacciono, i debiti non pagati dalle famiglie e dalle imprese.
Una montagna, dicevamo. A fine 2013, l’ammontare complessivo degli Npl italiani era pari a circa 164 miliardi di euro. Tanto per dare ordini di grandezza, più del 15% di tutto l’ammontare dei crediti deteriorati europei, oltre l’8% del Pil italiano. Stiamo parlando di circa 20-30 miliardi di credito al consumo – i pagamenti a rate della lavatrice o delle vacanze, ad esempio – di 60/70 miliardi di debiti delle piccole e medie imprese verso le banche e di 55 miliardi circa legati ai mutui ipotecari.
«Mettendo insieme sofferenze, crediti incagliati o ristrutturati, arriviamo a 300 miliardi, una cifra devastante» ha recentemente dichiarato al Sole 24 OreRiccardo Serrini, amministratore delegato di Prelios Credit Servicing, una realtà attiva nel settore del recupero crediti, che di quei 160 miliardi ne ha in gestione circa otto. Prelios è una delle 1.406 imprese attive nel comparto del “recupero crediti”, settore che dall’inizio della crisi finanziaria, nel 2008, è letteralmente esploso. Dalle 19.172 pratiche che queste imprese hanno gestito nel 2007 si è passati alle 38.923 del 2013. In soldoni, in sette anni queste realtà sono passate dall’avere in mano 15 miliardi di crediti da recuperare a circa 49 miliardi del 2013. Recuperandone, in percentuale, sempre meno.
Nella differenza tra i 160-170 miliardi totali e i 49 miliardi gestiti dalle imprese del recupero crediti italiani, c’è tutto il resto. Ci sono le grandi banche che hanno in pancia un bel po’ di crediti deteriorati – 27 miliardi la sola Intesa Sanpaolo – e, soprattutto ci sono i grandi fondi che arrivano dall’estero come Anacap, Fortress, Active Capital, Alvarez & Marsal e Kkr che stanno rastrellando crediti deteriorati in tutto il mondo. Tra gli italiani più attivi c'è anche un player bancario emergente come Banca Ifis che negli ultimi anni attraverso la sua area Npl ha in portafoglio 750mila posizioni che analizza e gestisce con il brand Credifamiglia, e i suoi cento consulenti del credito. La mission, spiegano dalla banca, è quella di gestire queste posizioni in modo «sostenibile ed etico».
Soprattutto, però, c’è un mercato in crescita, tanto fiorente quanto pericoloso: la cinese Shoreline Capital Management, per dire, ha recentemente stimato che nei prossimi dieci anni ci potranno essere almeno 100 miliardi di dollari di Npl appetibili per fondi e società di investimento. L’Italia è uno dei piatti più ricchi, per questi operatori: le nostre banche stanno infatti cercando da mesi di liberarsi dei loro crediti deteriorati in vista degli stress test della Bce tuttora in corso ed è di qualche mese fa la notizia che Alvarez & Marsal e Kkr hanno firmato con UniCredit e Intesa Sanpaolo un memorandum d’intesa per – testuale - «sviluppare e realizzare insieme una soluzione innovativa finalizzata a ottimizzare le performance e massimizzare il valore di un selezionato portafoglio di crediti in ristrutturazione attraverso la gestione attiva degli asset e l'apporto di nuove risorse finanziare». In molti hanno pensato che questo accordo fosse il primo passo per la creazione di una «bad bank» italiana, sul modello di quella spagnola, che accolga tutti i crediti in sofferenza delle banche italiane.
«Otto anni fa era un mercato cui i grandi operatori nemmeno si volevano avvicinare ». ha raccontato a Linkiesta Carmine Evangelista, amministratore delegato di Az Holding, una delle più interessanti, realtà italiane operanti nel settore, da poco entrata nel programma Elite, propedeutico alla quotazione, di Borsa Italiana. Un ingresso avvenuto quasi in contemporanea con la quotazione di Cerved, altro gigante in ascesa del recupero crediti italiano: «Az dalla Borsa non cerca denaro, ma una valorizzazione istituzionale del progetto – spiega Evangelista - . Serve per affrancarci dal sospetto con cui il mercato ci guarda, anche se non violiamo la privacy di nessuno, né tantomeno le regole».
Az Holding, che nasce come agenzia investigativa, si occupa principalmente del reperimento delle informazioni che aiutano chi deve recuperare il credito a capire come deve comportarsi con un debitore. In altre parole, non acquista crediti, ma li fa recuperare ad altri e fa service per istituti che hanno in portafoglio degli Npl da gestire. «È un mercato emergente, ma molto difficile – spiega ancora Evangelista – di solito si recupera l’8% di quel che è dovuto. Due anni fa il prezzo di un ticket (l’unità di conto degli Npl, ndr) era del 2% sul totale del debito, mentre oggi arriva anche al 5%». Il motivo, ovviamente, è la crescita della concorrenza: «Oggi se ho un credito che vale 100, lo pago 4 e incasso 8, mettendoci mediamente dai cinque ai sette anni».
Le chiavi della competizione sono chiare: puntare sulla qualità del credito e delle informazioni e industrializzare il processo di recupero, riuscendo a fare economie di scala. In altre parole: è sempre più un mercato per pesci grandi, che si possono permettere di pagare meglio i crediti e di prendersi quelli migliori: non è un caso, del resto, che il 60% del fatturato complessivo delle imprese associate a Unirec – la Confindustria del recupero crediti – l’abbiano realizzato il 13% delle imprese, quelle con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro. Se i grandi riescono a fare massa, insomma, i piccoli vanno in crisi: il 96% delle imprese del settore che presenta perdite di bilancio ha meno di 5 milioni di euro di fatturato. Il loro destino? Essere mangiati. O, peggio, finire dall’altra parte del tavolo, quella del debitore.
Il mercato sta crescendo, nel frattempo, e continuerà a crescere: «Oggi su 22 milioni di persone che lavorano in italia, ci sono 2 milioni di debitori in sofferenza - continua Evangelista – e nel frattempo, la qualità del credito continua a scendere: ogni volta che le banche prestano cento euro, sanno che tre di essi andranno perduti». Insomma, il futuro è radioso per chi maneggia patate bollenti. C’è chi dice che già sta nascendo un mercato secondario degli Npl, in cui chi li acquista li mette in un cassetto e aspetta a rivenderli al mutare del quadro economico complessivo. Altri già parlano del grande uso dei big data – soprattutto quelli desumibili dai social network - per costruire il profilo dei debitori: «già esistono, peraltro, strumenti sofisticati in grado di profilare il debitore da un punto di vista socio-economico e comportamentale attraverso il suo comportamento su internet».
Tuttavia, la questione chiave, secondo Carmine Evangelista, è un’altra: «Il debitore – spiega- non è più un pollo da spennare, ma un cliente da conservare e rimettere in pista, un soggetto cui restituire valore. Se le banche non lo capiscono e smettono di ascoltarlo il mercato del credito alle famiglie e alle piccole imprese si sposterà altrove. Social lending e crowdfunding oggi sono ancora fenomeni di nicchia, ma a questi segnali deboli bisogna prestare attenzione».
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