venerdì 13 giugno 2014

Un articolo che un giornalista dovrebbe leggere prima di scrivere qualsiasi cosa.

Le sostituzioni di Mauro e Mineo sono legittime

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Le recenti decisioni dei gruppi parlamentari del Partito democratico e di Per l'Italia disostituire in commissione Affari costituzionali i senatori Mineo e Mauro con i rispettivi capigruppo Zanda e Romano sta scatenando in queste ore vivaci critiche da parte di coloro che le ritengono senza mezzi termini un intollerabile abuso di potere, atto a reprimere il legittimo dissenso espresso da entrambi i senatori in questione sul progetto governativo di riforma del Senato.
Eppure basterebbe andarsi a leggere il regolamento del Senato per comprendere che tutto quanto accaduto non solo è pienamente legittimo ma risponde pienamente al dettato costituzionale. Ad inizio legislatura, infatti, non sono i senatori a scegliere a quale commissione parlamentare appartenere. Sono piuttosto i gruppi parlamentari che, dandone comunicazione alla Presidenza del Senato, provvedono a designare i propri rappresentanti nelle singole commissioni permanenti (art. 21.1 reg. Sen.).
Si è membri di una commissione, dunque, non per libera scelta di ogni singolo parlamentare, ma perché si è designati dal gruppo parlamentare d'appartenenza e di cui si è in commissione, come dice il regolamento, rappresentanti, espressione che vale ad evidenziare il forte legame che intercorre tra parlamentare e gruppo d'appartenenza.
Tale disciplina regolamentare è perfettamente conforme alla lettera della Costituzione, secondo cui le Commissioni deve essere "composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari" (art. 72, comma 3). Per Costituzione, quindi, le Commissioni (tanto più quando si sostituiscono all'Aula e deliberano direttamente su progetti di legge) devono essere delle "mini-assemblee", composte di modo che vi sia una corrispondenza proporzionale tra i rapporti di forza numerica esistenti tra i gruppi parlamentari presenti in Aula e quelli presenti in commissione.
Diversamente, si correrebbe il rischio che la maggioranza in Aula sia minoranza in commissione e viceversa. Lo stesso si può dire per i rapporti tra maggioranza e minoranza all'interno di ciascun gruppo parlamentare.
Il regolamento tutela tale corrispondenza proporzionale tra Aula e commissione in due modi: da un lato permettendo ai senatori che non appartengono ad una commissione di partecipare comunque alle sue sedute, ma privandoli del diritto di voto; dall'altro lato, consentendo ai gruppi "per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, di sostituire i propri rappresentanti in una commissione, previa comunicazione scritta al presidente della commissione stessa" (art. 31.2 reg. Sen.). 

Tale sostituzione può avvenire
 non solo per motivi personali ma anche politici, laddove per l'appunto il dissenso di uno o più senatori rispetto alla posizione assunta dalla maggioranza del gruppo alteri i rapporti di forza sia all'interno del gruppo, sia di conseguenza all'interno dell'Assemblea.
Il confronto in commissione è confronto non tra singoli parlamentari ma tra rappresentanti dei gruppi (e non a caso, come detto, il regolamento qualifica così i componenti delle commissioni). Il che non significa reprimere il dissenso ma evitare che, per circostanze fortuite (il fatto ad esempio che i senatori dissenzienti nel gruppo si ritrovino in maggioranza in commissione) questo possa pesare politicamente di più in commissione di quanto effettivamente valga in Assemblea, con la conseguenza che si possa respingere in sede referente un progetto che invece riscuote il consenso della maggioranza del gruppo in Assemblea.
Il dissenso avrà legittimamente tempo e modo di esprimersi nella sede più consona e prestigiosa, e cioè in Aula. Sarà lì che si capirà se esso effettivamente sarà maggioranza o no. Non in commissione.

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