“Credimi! Ti sto mentendo”, così sul Web si manipola la realtà
Il libro di Ryan Holiday svela il meccanismo perverso dell'informazione su internet, mera illusione di verità
“Il Web” mente quasi sempre. Nella migliore delle ipotesi non verifica quanto afferma e si vende al miglior offerente. Rilancia le notizie più clamorose per ottenere Page View. Non aggiorna in maniera sistematica le informazioni. Rettifica in modo debole e lo fa quando ormai una bugia si è diffusa. Il web – e quanti lo utilizzano – è ad alto rischio manipolazione da parte di chi sa confezionare notizie ad hoc per siti e blogger di ogni tipo. E’ questa, in sintesi, l’analisi che Ryan Holiday fa dello strumento Internet e del suo utilizzo da parte di chi sa sfruttarlo al meglio, nel libro Trust me, I’m Lying, edito in Italia per i tipi Hoepli (“Credimi! Sono un bugiardo“).
A capo della comunicazione di American Apparel, Holiday racconta il presente e il passato del suo mestiere, svelando retroscena e trucchi usati per veicolare online (e non solo) informazioni e messaggi che altrimenti con difficoltà avrebbero raggiunto i media principali e le televisioni statunitensi.
Quello di Holiday, però, è anche un libro che mette a nudo i punti deboli – e finora irrisolti – del Web, a partire dalla velocità e dalla necessità di far fruttare l’attività dei blogger: i blog sono milioni e chi scrive oggi ha bisogno di pubblicare un elevato numero di contenuti in poco tempo, in modo da generare più Page view possibile e guadagnare attraverso le inserzioni pubblicitarie. Eppure, sottolinea Holiday, l’uomo – il lettore – ha ancora una fiducia recondita in ciò che legge, nel significato alto della scrittura, il tutto manipolato ad arte dalla link economy: l‘illusione che l’esistenza di un rimando online ad un altro sito possa essere una fonte attendibile. Si crede che se l’ha detto qualcun’altro, allora quella data informazione sia vera, senza soffermarsi sul fatto che “la fonte” possa aver copiato e incollato chissà da dove. Un tempo, aggiunge l’autore, i professori vietavano assolutamente la citazione di fonti online da parte degli alunni nei lavori di classe, oggi questo non accade più e nessuno sembra più rendersi conto della poca affidabilità delle pubblicazioni in rete.
In questo senso, Holiday svela anche un difetto clamoroso ma spesso rivenduto come un pregio da parte di chi osanna il web: la rettifica e la possibilità di aggiornare continuamente un post: “I post possono essere aggiornati, dicono; è questo il bello di internet. Ma per quanto ne so, non c’è alcuna tecnologia che invii avvisi a tutti quelli che hanno linkato l’articolo menzognero o a tutti quello che l’hanno letto. E non ci sarà mai”. Per chi legge un post, infatti, la notizia è e si manifesta nel momento in cui quell’articolo viene letto. Difficilmente una persona – complice il poco tempo a disposizione e l’elevata mole di informazioni che ogni giorno il web ci scarica addosso – tornerà a controllare eventuali aggiornamenti. “Dal 2010 – aggiunge Holiday – la pagina di Wikipedia sulla Guerra in Iraq ha accumulato più di 12mila modifiche [...] sebbene 12mila modifiche diano collettivamente come risultato un ritratto coerente e preciso della guerra, non è questo ciò che ha visto la maggior parte delle persone che nell’ultima metà di questo decennio ha letto le voci di wikipedia. Molti di loro non fruiscono il prodotto finito [...] La verità è che, per quanto internet consenta di scrivere i contenuti in maniera iterativa, non è in questo modo che il pubblico li consuma. Ognuno di norma, vede e legge qualcosa una volta sola – un’istantanea dell’intero processo – e da ciò trae le proprie conclusioni“.
Il tutto in un circolo vizioso per cui chi scrive non ha tempo per verificare, pena la mancata pubblicazione di articoli che potrebbero generare Page View, e chi legge – di contro – si illude che l’articolista abbia fatto il fact checking: nella migliore delle ipotesi avrà invece fruito di un contenuto parziale, magari rettificato di lì a poco ma quando ormai il lettore non potrà più rendersene conto per cambiare idea.
Questo meccanismo, spiega in modo molto efficace Holiday, scatta grazie a titoli efficaci, – in Italia potremmo fare il caso di Beppe Grillo che, su Facebook (dove ha oltre un milione di Like), comunica notizie in modo parziale salvo poi rimandare al clic sul suo blog – a contenuti virali che, come una slavina, è impossibile fermare una volta che sono stati lanciati in rete. Ed è questo stesso meccanismo, minato alla base da molti dei punti deboli di cui sopra, che avvelena i media tradizionali: nelle redazioni, infatti, il personale è ridotto all’osso e ci si affida agli “scoop” scritti dai blog i quali però, a loro volta, spesso pubblicano senza controllare troppo la veridicità delle informazioni ricevute, pena la perdita di Page View. Nel libro Holiday snocciola decine di casi pratici.
Il cortocircuito è una mole di informazioni spesso parzialmente vere e poco verificate, costruite ad arte da chi invece ben conosce i punti deboli del Web e “confeziona” pseudonotizie pronte per essere rilanciate in rete. Se, ad esempio, l’intento è quello di fare le cosiddette “Black PR“, sarà sufficiente diffondere una notizia parzialmente vera tramite siti minori, in attesa che i media mainstream la riprendano: è solo questione di tempo. Ai blogger, di contro, non sembrerà vero di avere materiale (rivenduto come) originale da pubblicare e useranno formule e perifrasi per evitare la querela ma pubblicare. “Le notizie false – scrive Holiday – non si limitano a ingannarci. Il problema dell’irrealtà e degli pseudoeventi non risiede soltanto nel loro essere irreali, bensì nel fatto che non rimangono irreali. Per quanto esistano essi stessi in qualche limbo tra realtà e finzione, il dominio in cui vengono fruiti e in cui generano reazioni è indubbiamente reale. Riportati al pubblico come notizie, tali eventi contraffatti subiscono un processo simile al riciclaggio di denaro sporco: da banconote inutilizzablil diventano soldi puliti con cui possiamo comprare cose vere. Come scriveva Walter Lippmann, le notizie formano una sorta di pseudoambiente, ma le nostre reazioni a tale ambiente non sono affatto preudoazioni, bensì azioni reali”.
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