venerdì 13 giugno 2014

Ed ha ragione Renzi. Non vi è più tempo. fate le riforme che la gente ha chiesto e basta.

Matteo Renzi dà il benservito a Mineo e gli autosospesi: "Il tempo delle mediazioni è finito, no all'anarchia"

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poteri a Raffaele Cantone, commissario anti-corruzione che si dedicherà a vigilare sulle ‘sporcizie’ dell’Expo, assumendo i poteri dell'autorità di controllo sui contratti pubblici e commissariando gli appalti ritenuti illeciti dalla magistratura. La legge delega sulla Pubblica Amministrazione, sì delega, con qualcosina decisa per decreto. E poi i dl sulla competitività, con la riduzione del “diritto camerale”, la tassa che le imprese pagano alla camera di commercio. L’eliminazione del rogito per i segretari comunali, figure in realtà Matteo Renzi avrebbe voluto abolire, ora gli toglie un po’ di soldi, “gli basta lo stipendio”. Al termine del consiglio dei ministri che ha deciso queste e altre misure, il presidente del Consiglio è un fiume in piena. In conferenza stampa snocciola i provvedimenti, quasi li sbatte metaforicamente sul tavolo, gonfio di orgoglio e rivalsa nei confronti di quel Pd che gli ha dato pensieri pure durante il viaggio istituzionale in Asia. Renzi snocciola punto per punto e già con questo elenco di “cose fatte” fornisce l’antipasto della ‘lezione’ che terrà all’assemblea nazionale del partito: lezione tutta dedicata ai dissidenti che al Senato frenano le riforme. Proprio non ce la fa ad aspettare l’assemblea. Approfitta delle domande dei cronisti e dopo l’antipasto fornisce anche il primo piatto per i 14 senatori che si sono autosospesi per protestare contro la sostituzione in commissione Affari Costituzionali di Corradino Mineo, non allineato sulle riforme. Quello esercitato dal Pd non è stato “potere dittatoriale”, sentenzia Renzi, “il tempo delle mediazioni è finito”, “Il Pd non consente a nessuno di farlo diventare un partito anarchico”. E il mantra che non si stancherà mai di ripetere: “Io non mi rassegna al fatto che vinca la palude”.
La risposta ai 14 è quasi un nodo in gola. Renzi non ingoia: lo sputa fuori per far arrivare il messaggio, che è anche un modo per preparare l’attesa assemblea dell’Ergife. “Io non ho preso il 41 per cento alle europee per vivacchiare. Non vogliamo essere come gli altri, solo promesse e fatti zero”, inizia. E non è finita qui: “Il Pd che noi vogliamo noi discute fino in fondo di tutto, cambia idea, per esempio la mia sul Senato era diversa, io lo volevo con i sindaci. Si è scelta una mediazione che considero accettabile ma un partito che si chiama Pd non consente a ciascuno di trasformarlo in partito anarchico”. Perciò, “indipendentemente da Forza Italia, la Lega e gli altri, il Pd va con una voce sola in commissione, sennò dà l’idea di far dipendere le riforme dalle singole idee del singolo senatore. Si discute fino alla morte ma poi, fuori, la linea è uguale per tutti. Non è immaginabile che in nome del principio personale, si blocchino le riforme di tutti e su questo, con molta serenità, è stata presa la decisione di operare la sostituzione in commissione, nel rispetto della volontà degli elettori”.
Un fiume in piena. Renzi non teme le azioni dei 14 autosospesi che ancora si agitano e stanno pensando di presentare ricorso al presidente del Senato Piero Grasso per segnalare quella che secondo loro è una violazione del regolamento parlamentare. Né lo spaventa – assolutamente no – la loro idea di chiamare in causa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come arbitro della querelle scoppiata nel Pd. “Non intendo perdere l’occasione storica che abbiamo di fronte”, continua il premier. “Dopo aver preso quel sacco di voti là, non puoi far finta di niente, hai il dovere morale di rispondere alla domanda cittadini”. Quindi, “se ci saranno incontri da fare, se ci sarà da incontrare Berlusconi o altri, lo faremo. Ma per il Pd è data la responsabilità di cambiare il paese: barra dritta, testa alta, cuore gonfio di responsabilità e basta con il giochino che siccome uno non è d’accordo non si va avanti: non ci lasciamo stritolare dai veti. Il tempo delle mediazioni è terminato. Ci sono spazi per discutere singoli punti di dettaglio ma non è possibile tute le volte ripartire da capo… Non ci blocchiamo perché un senatore non vuole: ci prendono per matti e ci ricoverano tutti”.
Bastone e carota, solo un po’ di carota, quanto basta per rassicurare il partito. “Nessuno espelle nessuno, non siamo epuratori ma per il lavoro in commissione è doveroso che ci siano i numeri per rispetto della volontà dei cittadini e quindi se un senatore è dissidente le regole vogliono che il capogruppo prenda il suo posto”. Come ha fatto Zanda con Mineo in commissione Affari Costituzionali. Ora il pallino sta in mano ai 14. Renzi lancia il cuore oltre l’ostacolo anche guardando al prossimo incontro con Berlusconi, con il quale ci sarà da ritrattare il patto del Nazareno su riforme e legge elettorale e magari anche giustizia, visto che l’ex Cavaliere pare non rassegnarsi alla reintroduzione del falso in bilancio. Ma se i dissidenti “continuano – avverte il premier – facciano pure: i numeri ci sono anche senza di loro”. Almeno in commissione è così, dopo che anche Pier Ferdinando Casini ha rimosso il Popolare Mario Mauro, pure lui come Mineo contrario al testo di riforma del governo.
Fin qui antipasto e primo piatto. Il secondo arriverà in assemblea. E di certo Renzi non si risparmierà nemmeno il dessert, se sarà necessario servirlo. Il presidente del Consiglio conclude con il caso del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, arrestato nell’inchiesta sul Mose e tornato primo cittadino dopo aver patteggiato. “Se patteggia è evidente che non può fare il sindaco”, chiarisce il premier-segretario dopo che dal Nazareno già aveva dato ordine di chiedere le dimissioni di Orsoni. “Il Pd non guarda in faccia i suoi: figuriamoci se ha paura di chi minaccia le riforme. Mentre loro si prendono i loro 15 minuti di celebrità, noi rivoluzioniamo l’Italia”.

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