Il senso degli italiani per l’economia
Alcune indagini mostrano quanto (poco) gli italiani conoscono le principali statistiche economiche
È percezione diffusa che gli italiani, sottoposti, almeno per quanto riguarda i temi economici, a un’informazione piuttosto scadente dei mass-media, siano poco ferrati in statistiche economiche. Il tema non è una semplice curiosità; la teoria economica, in un contesto di asimmetrie informative fra governati e governanti, prevede che una migliore conoscenza delle performance economiche, soprattutto se paragonate a paesi vicini, permette anche una migliore selezione dei governanti, e un controllo più efficace del loro operato. Ma cosa dicono i dati, che descrivono meglio della percezione individuale qualsiasi fenomeno?
L’Istat, da un po’ di anni, conduce un’inchiesta campionaria specifica in tema di conoscenze delle statistiche economiche da parte della popolazione italiana. Il primo dato da notare, negli ultimi dati pubblicati, è che la quota del campione intervistato che ha risposto, fornendo una stima degli indicatori più importanti, ovvero il tasso di disoccupazione, di inflazione, e di crescita del Pil, è in continuo aumento dagli anni pre-crisi, avvicinandosi per i tre indicatori al 60%. È abbastanza intuitivo, poiché, durante una recessione lunga e dura, il grado di attenzione ai dati economici necessariamente tende a salire - comunque la tendenza, va pur detto, è positiva.
I primi tre grafici mostrano alcune stime della distribuzione delle suddette riposte, dal 2007 in avanti. Come si nota esiste una forte discrepanza fra i meglio informati, approssimati dal primo quartile di riposte, e il resto della popolazione. È abbastanza impressionante vedere come il primo quartile in pratica disegni un quadro perfetto, almeno per due dei tre indicatori. La sola eccezione è il tasso di crescita del Pil, per cui gli scostamenti sono abbastanza importanti, sebbene il rispondente "più informato" colga la fluttuazione ciclica dignitosamente.
La mediana delle risposte si discosta di più dal primo quartile per tutti gli indicatori, segnalando che l’italiano mediano non sia sufficientemente informato. Il terzo quartile è completamente distaccato dalla realtà economica descritta dai dati ufficiali. Interessante fra l’altro notare come la stima sia fortemente esagerata verso l’alto, forse perché i meno informati sono stati sottoposti a informazioni sulla crisi meno chiare, incessanti e che tendono a giocare sul catastrofismo e sul "titolo urlato". Lo si nota particolarmente nel grafico sulla conoscenza del tasso di inflazione, che secondo il giudizio del terzo quartile sarebbe esplosa, anziché diminuire. È comunque noto da studi precedenti, che l’inflazione percepita si discosti abbondantemente da quella registrata, soprattutto in una fase di bassa dinamica dei prezzi. Una leggera deflazione è, spesso, meno presente sulle prime pagine di giornali e Tv, rendendo meno precisa la percezione oggettiva del fenomeno.
L’impressione che la qualità dell’informazione sia cruciale è rafforzata dal quarto grafico, che mostra la qualità percepita delle notizie economiche presenti sui mass-media. Sebbene in leggero aumento, rimane piuttosto bassa, con una quota di rispondenti che pensano sia buona al di sotto del 20% del campione.
Come si situano, però, i nostri connazionali nel contesto europeo? Qual è la nostra performance relativa, nel campo della conoscenza delle statistiche economiche, se paragonati ai nostri partner? In mancanza di dati riferiti ad anni più recenti, durante i quali come visto il grado di conoscenza e attenzione degli italiani sembra essere aumentato, la fonte di riferimento è la pubblicazione speciale dell’Eurobarometro 2010, incentrato appunto sulla conoscenza dei dati economici. L’Italia non ne esce benissimo. Innanzitutto la fiducia nelle statistiche ufficiali è bassissima, il che segnala il timore di manipolazione dei dati, timore tra l’altro più grande nei grandi paesi Ue: Regno Unito, Francia, Germania e Italia mostrano un grado di fiducia nelle statistiche ufficiali drammaticamente basso.
In più, se sottoposti allo stesso tipo di domande, che chiedono di quantificare i tre indicatori più importanti, la quota di risposte sbagliate a tutte e tre le domande è drammaticamente alta, nel nostro paese. Questa volta potremmo forse solo consolarci con il paragone con il Regno Unito, la cui popolazione sembra altrettanto poco informata. La correlazione fra grado di fiducia nelle statistiche ufficiali e la quota di risposte tutte errate è negativa (sebbene qui non mostrata), il che lascerebbe supporre che il grado di sfiducia di partenza nella correttezza delle informazioni si riversi anche sul grado di conoscenza degli indicatori. Tuttavia, la relazione non è così diretta, e la causalità potrebbe anche avere il verso contrario, perciò tirare conclusioni azzardate da questa semplice correlazione sarebbe certamente errato.
Resta però il sospetto che informazione, grado di fiducia nelle statistiche ufficiali e conoscenza dei dati economici siano strettamente interrelati. Se vogliamo che il sistema migliori, bisogna certamente agire sul grado di affidabilità delle notizie sui mass-media. La fiducia si costruisce in una relazione di lungo periodo fatta di analisi corrette, di dati non urlati, di prudenza e di corretta informazione.
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