venerdì 13 giugno 2014

Basta. Basta. Non se ne può più. Mineo se non fare riforme ritirati dalla commissione e fai la tua battaglia in parlamento.

Caso Mineo: autosospesi Pd valutano ricorso a Grasso e Napolitano. Decisione in assemblea nazionale

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Un ricorso al presidente del Senato Piero Grasso e una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sono i prossimi passi che i 14 senatori del Pd, autosospesi per la rimozione di Corradino Mineo dalla Prima Commissione di Palazzo Madama, stanno valutando per far valere le loro ragioni. Il ricorso a Grasso verrebbe preparato sulla falsariga di quello presentato oggi dai Popolari che contestano la rimozione del senatore Mario Mauro dalla Commissione Affari Costituzionali. La lettera al capo dello Stato servirebbe per segnalare al Quirinale la scelta dei vertici Pd di sostituire Mineo per le sue idee contrarie alla riforma del governo. La decisione, apprende Huffpost, verrà presa domani all’Ergife: gli autosospesi infatti si ritroveranno all’Hotel di Roma dove si tiene l’assemblea nazionale del Pd con il premier-segretario Matteo Renzi. Lì si riuniranno e prenderanno una decisione sul caso Mineo.
Dell’idea di scrivere a Grasso e Napolitano, i 14 in realtà hanno già discusso nelle riunioni di questi giorni, dopo l’estromissione del senatore non allineato dalla commissione Affari Costituzionali. Il dibattito all’interno del gruppo è ancora aperto, ma l’idea di chiedere un intervento del presidente del Senato, in base al regolamento di Palazzo Madama, e del capo dello Stato è ancora in ballo e verrà affrontata domani, quando gli autosospesi si ritroveranno all’assemblea nazionale del Pd. I più cauti pensano che sarebbe il caso di aspettare la riunione con il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda programmata per lunedì e l’assemblea del gruppo dei senatori martedì. Ma molti altri invece valutano già negativamente le risposte arrivate dal partito e dunque pensano sia il caso di agire ricorrendo alle più alte cariche dello Stato. In vista delle riunioni della prossima settimana, le diplomazie Dem sono al lavoro per cercare una soluzione morbida alla vicenda. Ma molto dipende anche da quello che dirà Renzi domani in assemblea.
Da parte sua, il premier è più che intenzionato a fare un discorso molto franco e netto sulla necessità di sfruttare al massimo l’energia del 40,8 per cento delle europee per fare le riforme: i frenatori se ne facciano una ragione. "Un discorso alla nazione”, lo definiscono i suoi, della serie: prendere o lasciare, il tempo è adesso, non bisogna sprecare la fiducia degli elettori che si sono espressi alle europee, non bisogna disattendere la loro aspettativa di fatti concreti. "Il Pd è davanti a un bivio, non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo…", ha detto ieri il premier. Sarà questo il succo del suo intervento all’Ergife, ma probabilmente Mineo non lo nominerà nemmeno. Il che forse non depone a favore di una tregua interna, a meno di una marcia indietro dei 14 autosospesi.
Al contrario, tutto sembrerebbe pronto per una resa dei conti finale. In queste ore entrambe le parti in causa - i 14 contro il resto del mondo Pd, renziano e non - pestano nel mortaio delle tensioni interne. Uno dei 14, Claudio Micheloni, si dice pronto a lasciare il Pd e formare un gruppo autonomo: Spero sia l'occasione per trovare un'intesa. Altrimenti proporrò agli altri colleghi di lasciare il Pd e formare un nostro gruppo", dice all'AdnKronos. E c'è da dire che anche la trattativa sulla scelta del presidente dell’assemblea sarebbe in una fase di stallo. Il Giovane Turco Matteo Orfini resta candidato, a quanto dicono fonti renziane, ma sul suo nome si sono scatenati veti incrociati all’interno della cosiddetta ‘Area riformista’. I bersaniani sarebbero contrari e nella stessa area c’è chi non ha messo da parte la candidatura della lettian-bersaniana Paola De Micheli. L’idea che Renzi possa sparigliare, optando a questo punto per un nome terzo – magari una donna tra le parlamentari più giovani – si fa strada al Nazareno.

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