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Tra due anni, con la recessione, il rapporto tra debito e Pil salirà al 140%. Il rischio di uscire dall'euro
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Argomenti: Pil | Banca d'Italia | Horst Koehler |Angelo Pace | Maura Francese | America del Sud |Franco Paternollo | Cipro | Ministero del Tesoro
Negli ultimi cento anni, l'Italia ha ridotto il rapporto tra debito pubblico e pil di almeno il 20% solo in quattro occasioni. In tre di queste il debito è stato tagliato da una combinazione di guerra e dittatura. Nella quarta, tra il 1994 e il 2008, attraverso la disciplina europea accettata dall'Italia aderendo all'unione monetaria.
Se la recessione continuerà al ritmo attuale anche nei prossimi due anni, il debito italiano arriverà al 140%, una soglia che nel caso di Cipro è stata considerata insostenibile per un paese dell'euro. A un tale livello sarebbe necessario intervenire in modo traumatico sul debito. Ma il trauma, come si è visto dai precedenti storici, potrebbe non essere solo economico, ma anche politico.
Poiché c'è del metodo nella follia del debito italiano, quando l'incremento del debito aumenta rapidamente o supera quota 120% del pil, interviene un cambio di governo che consegna le leve delle decisioni politiche a governi tecnici (tra i quali Ciampi, Padoa Schioppa e Monti). A loro spetta rimettere la finanza pubblica in sesto. Sappiamo che questa opzione non è disponibile oggi.
Non è esagerato dire che le decisioni politiche che vengono prese in queste settimane e in questi mesi saranno decisive per evitare all'Italia, se non una dittatura, un grave decadimento della democrazia. Fascismo? Non lo so. Ma di certo si tratta di una scelta tra autoritarismo ed Europa. So che è un tema controverso. E che evocare il fascismo sembra uno stratagemma per mettere fuori campo le argomentazioni contrarie all'Europa. A Washington in particolare una quantità di economisti sostiene che l'esperienza argentina all'inizio degli anni 2000, con la rottura del legame col dollaro, può essere di conforto ai paesi dell'euro che non riescono a sostenere un cambio forte e che accumulano debito. In fondo non c'è fascismo in Argentina.
Ma ragioniamo come se ci trovassimo in un futuro paradossale. Il collasso italiano avviene nell'agosto 2013, dopo sei mesi di stallo politico e con il paese sospeso in attesa di nuove elezioni a ottobre.
L'economia è ferma fin dal voto inconcludente di fine febbraio. La disoccupazione aumenta mese dopo mese, mentre crollano consumi e investimenti. In una giornata di inizio agosto un'asta di titoli di Stato fallisce nonostante i rendimenti siano saliti e lo spread con i Bund superi i 700 punti. Le società di rating dichiararono che i titoli emessi dal Tesoro sono troppo pericolosi per gli investitori. Scattano le vendite automatiche degli investitori globali. I rendimenti vanno oltre i mille punti.
Senza un governo legittimato e con un parlamento diviso, il paese non è nemmeno in grado di sottoscrivere un programma di assistenza con il Fondo monetario e con le istituzioni europee. Nessuno infatti è in grado di offrire garanzie politiche per un piano pluriennale di aiuti. Impossibilitato a finanziarsi il paese dichiara fallimento. Come era successo pochi mesi prima a Cipro, anche in Italia vengono congelati i depositi bancari e introdotti rigidi controlli sui movimenti di capitale. I bancomat funzionano solo come rubinetti gocciolanti. Il mercato nero di euro forniti dalla malavita crea una seconda valuta.
Non è esagerato dire che le decisioni politiche che vengono prese in queste settimane e in questi mesi saranno decisive per evitare all'Italia, se non una dittatura, un grave decadimento della democrazia. Fascismo? Non lo so. Ma di certo si tratta di una scelta tra autoritarismo ed Europa. So che è un tema controverso. E che evocare il fascismo sembra uno stratagemma per mettere fuori campo le argomentazioni contrarie all'Europa. A Washington in particolare una quantità di economisti sostiene che l'esperienza argentina all'inizio degli anni 2000, con la rottura del legame col dollaro, può essere di conforto ai paesi dell'euro che non riescono a sostenere un cambio forte e che accumulano debito. In fondo non c'è fascismo in Argentina.
Ma ragioniamo come se ci trovassimo in un futuro paradossale. Il collasso italiano avviene nell'agosto 2013, dopo sei mesi di stallo politico e con il paese sospeso in attesa di nuove elezioni a ottobre.
L'economia è ferma fin dal voto inconcludente di fine febbraio. La disoccupazione aumenta mese dopo mese, mentre crollano consumi e investimenti. In una giornata di inizio agosto un'asta di titoli di Stato fallisce nonostante i rendimenti siano saliti e lo spread con i Bund superi i 700 punti. Le società di rating dichiararono che i titoli emessi dal Tesoro sono troppo pericolosi per gli investitori. Scattano le vendite automatiche degli investitori globali. I rendimenti vanno oltre i mille punti.
Senza un governo legittimato e con un parlamento diviso, il paese non è nemmeno in grado di sottoscrivere un programma di assistenza con il Fondo monetario e con le istituzioni europee. Nessuno infatti è in grado di offrire garanzie politiche per un piano pluriennale di aiuti. Impossibilitato a finanziarsi il paese dichiara fallimento. Come era successo pochi mesi prima a Cipro, anche in Italia vengono congelati i depositi bancari e introdotti rigidi controlli sui movimenti di capitale. I bancomat funzionano solo come rubinetti gocciolanti. Il mercato nero di euro forniti dalla malavita crea una seconda valuta.
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