domenica 6 settembre 2015

Semplicemente straordinario. Io sono Europeo ma anche degli Stati Uniti d'America.

John Kerry in esclusiva all'Huffpost: "Quando ho visto la foto di Aylan ho pensato a mio nipote"

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Pubblichiamo la traduzione integrale dell'intervista al segretario di Stato americano John Kerry apparsa venerdì 4 settembre sull'edizione Usa dell'Huffington Post. Dall'accordo sul nucleare iraniano alla situazione israelo-palestinese, dalla crisi europea dei profughi al disgelo con Cuba. Il ministro degli Esteri di Barack Obama a tutto campo.
SAM STEIN: Innanzitutto grazie per essere qui con noi, la cosa mi fa molto piacere. 
JOHN KERRY: Lieto di essere qui.
STEIN: È ormai cosa nota che l’accordo con l’Iran riuscirà a superare il passaggio dal Congresso. Ma circa la metà del Paese si dichiara contraria ad esso, e praticamente ogni candidato repubblicano alle presidenziali sostiene che lo straccerà non appena verrà eletto. Quindi quanto si può dire che sia solido, in realtà, questo accordo?
KERRY: Beh, prima di tutto è stata spesa un’enorme quantità di denaro… si è scatenato un tremendo bombardamento fatto di rappresentazioni distorte, e di vere e proprie, per così dire, non-verità — credo che sia questa la parola che adopererò — su che cosa preveda in realtà questo accordo, e sul come. Alla luce di tutto questo non mi sento poi così sorpreso dal fatto che alcuni sondaggi mostrino una simile inclinazione.
STEIN: Certo. 
KERRY: Ma il fatto è che tanti sondaggi dimostrano che in realtà il Paese lo sostiene, e che le due diverse opinioni sono piuttosto bilanciate. Sono convinto che si tratti di un risultato niente male, tenendo conto della quantità di denaro che è stata spesa per diffondere delle leggende.
Con tutto il rispetto per i candidati alle presidenziali, e per ciò che stanno dicendo oggi, ascolta — se in Iran distruggeranno il nocciolo di plutonio del reattore di Arak, ricoprendolo di cemento, così che esso cesserà di esistere, e se ad Arak verranno smantellati i due terzi delle centrifughe, interrompendo l’arricchimento, se si abbasserà il livello delle scorte a trecento chilogrammi, portando l’arricchimento solo fino al 3,67 per cento, e se alla fine sarà stato fatto tutto ciò che avevano detto che avrebbero fatto per tenere fede all’accordo… laddove poi arrivasse un nuovo presidente a dire: “Beh, adesso invece io…” — questo sarebbe assurdo.
A quel punto infatti, il Paese sarà d’accordo al 90 per cento, perché avranno potuto osservare che in realtà avrà funzionato, eliminando così la minaccia di un’arma nucleare in Medio Oriente.
STEIN: Quindi tu sei convinto che si tratti perlopiù di chiacchiere prive di fondamento?
KERRY: No, Sam, in realtà credo che quelle che vengono poste siano domande più che lecite. 
STEIN: Mi riferisco in particolare ai candidati che sostengono che lo straccerebbero. Mi sembri convinto che la cosa sia quasi impraticabile. 
KERRY: Beh, guarda, non me ne starò qui a sindacare su che cosa lo sia o non lo sia, mi limito a presentarti il mio punto di vista sulla realtà dei fatti quando verrà eletto un nuovo presidente.
Proprio non riesco a figurarmelo un presidente disposto a presentarsi alle Nazioni Unite, di fronte agli altri cinque Paesi che ci hanno sostenuto per la durata di questo negoziato, e ad andare a dire loro: “Scusateci, ma adesso ci tiriamo indietro”, finendo col creare una situazione ancor più pericolosa in Medio Oriente. Semplicemente, non me lo immagino.
STEIN: Per quanto mi riguarda una delle critiche più convincenti nei confronti dell’accordo è che col passar del tempo, quando l’Iran avrà potuto godere del sollevamento delle sanzioni, laggiù finiremo per ritrovarci un po’ con le mani legate. E con questo, insomma, voglio dire che non saremo più liberi di andare a intervenire sull’instabilità della regione, sul finanziamento del terrorismo, perché a quel punto si gireranno verso di noi e ci verranno a dire: “Beh, così voi state violando lo spirito dell’accordo”, e allora potrebbero tirarsi indietro. Come risponderesti a questa critica?
KERRY: Alla critica rispondo facendo notare che questo accordo ha dei contorni molto ben precisamente formulati, è stato studiato paragrafo per paragrafo, e qualsiasi aspettativa è stata posta nero su bianco proprio perché non volevamo nulla che fosse improntato sulla fiducia, o sulla speranza. La natura di questo accordo è molto specifica riguardo a ciò che chiede di fare ai propri contraenti. 
E se in Iran, dopo un certo numero di anni, si supereranno alcune delle restrizioni più forti che abbiamo negoziato per un certo periodo di tempo, sarà solo per creare un po’ di serenità riguardo alla natura del loro programma. Sarà per permettere l’accesso agli ispettori. Sarà per poterci accertare che in effetti l’attuazione del programma segua un percorso efficiente e affidabile.
E anche dopo quel periodo di quindici anni quando poi d’un tratto… No, non d’un tratto, ma una volta che ci si sarà assicurati dell’effettiva riduzione delle scorte, per dirne una — sussisterà comunque il requisito dell’assoluta libertà d’accesso per ispezionare un qualsiasi impianto, ovunque si sospetti che potrebbero essere impegnati in una qualche attività di natura illecita.
Inoltre per vent’anni la produzione dei loro mantici e turbine, ossia i pezzi più importanti delle loro centrifughe, verrà seguita dalle telecamere. E, cosa particolarmente significativa — per la prima volta nella storia degli accordi sugli armamenti — per venticinque anni si potrà seguire la loro produzione dell’uranio, dalla miniera fino alla tomba.
STEIN: Ma il dubbio qui è che loro potrebbero non agire in buona fede. Che potrebbero approfittare del momento in cui gli Stati Uniti andranno a stringere sui finanziamenti al terrorismo, e dire: “Sapete che c’è?”.
KERRY: È un problema loro. Se mai lo facessero, sarebbe un problema loro, perché noi li chiameremo a tener fede a questo accordo, e se mai lo violassero, o se in un qualsiasi momento ci dessero motivo di sospettare che stiano lavorando a un’arma nucleare, noi avremmo tutte le opzioni che abbiamo a disposizione anche oggi. 
STEIN: Ovviamente tu nei stato architetto, e con tutta probabilità sei anche il più acceso sostenitore dell’accordo. Sono curioso, qual è la tua principale preoccupazione, nello specifico, riguardo alla sua applicazione?
KERRY: Beh credo che una preoccupazione naturale da avere sarebbe quella che in Iran ci siano delle frange che possano fare resistenza, o che si rifiutino di fare qualcosa. Nel qual caso il governo iraniano verrà chiamato a risponderne.
Quindi, sì, la vedo la possibilità di un intoppo qui o lì, e che ci si possa effettivamente trovare ad affrontare qualcosa di simile, ma non riesco a figurarmi che il governo, arrivati a questo punto, si possa mettere in condizione di rischiare tutte queste sanzioni, e ovviamente un possibile intervento militare — laddove si trattasse dell’unica opzione disponibile.
STEIN: L’amministrazione ha alluso, o sostanzialmente dichiarato di voler lavorare insieme ai Paesi del Golfo e a Israele per accrescere il livello della sicurezza nazionale e dei propri meccanismi di difesa, proprio alla luce di tutto questo. In sostanza, in che modo l’introduzione di altre armi nella regione potrà essere in grado di contribuire a stabilizzarla?
KERRY: Beh, si tratta di armi di difesa. Sono armi che permetteranno a questi Paesi di difendersi, e questo è un aspetto molto importante della deterrenza. Ma da molti punti di vista tutto ciò l’avremmo fatto comunque, indipendentemente dall’accordo, perché le attività dell’Iran nei confronti di Hezbollah, le armi che passa alla milizia sciita irachena, le armi che passa agli Huthi e altrove, sono tutte questioni profondamente inquietanti. Avvengono in violazione dell’embargo, e dovremmo opporci ad esse in qualsiasi circostanza.
Perciò sono convinto che quello che ci ritroveremo fra le mani qui sarà un eccezionale nuovo progetto in fase di sviluppo per la sicurezza della regione, che vedrà Israele e i Paesi arabi uniti da un’inedita causa comune, nel farsi scudo da questo genere d’attività iraniane.
STEIN: Sarebbe piuttosto inedita come causa comune.
KERRY: Sarà senza dubbio inedita, ma al momento è ancora tutto perlopiù da definire.
STEIN: Ma gli israeliani l’hanno manifestata la loro disponibilità a collaborare coi Paesi del Golfo, che per tradizione non sono mai stati esattamente in ottimi rapporti con Israele?
KERRY: Credo che si possa dire che se oggi ad esempio si guarda all’Egitto… Insomma, la risposta è che sta già accadendo. Insomma, Giordania ed Egitto stanno già cooperando con Israele sul Sinai e sullo jihadismo nella regione, e sarei propenso ad aspettarmi che ciò vada avanti, e che s’intensifichi perfino.
STEIN: Probabilmente si tratterà di un’iper-semplificazione, ma da alcuni punti di vista pare che sia in atto una specie di scambio: stiamo mettendo in conto il rischio di conflitti regionali dalle dimensioni più contenute per ridurre la probabilità di un conflitto dalla portata più ampia e cataclismatica.
KERRY: Io non la vedo affatto così. Ciò che stiamo cercando di fare è render chiaro all’Iran che se vorrà entrare a far parte della comunità internazionale ed essere un Paese dal buon nome, impegnandosi per la pace e per la stabilità senza appoggiare sostituti e delegati, la strada c’è. Ma se al contrario l’Iran vorrà continuare a seguire i propri metodi, ci ritroveremo uniti nei nostri sforzi per impedire quella destabilizzazione, e opporci a quel genere d’attività. 
STEIN: Il presidente ha sostenuto… 
KERRY: E potrei aggiungere, c’è una cosa molto importante, Sam — sono sicuro che ne sei consapevole, con Daesh, l’ISIL, laggiù — esiste un fattore unificante per molti Paesi della regione, che per inciso includono l’Iran. 
STEIN: Sì, ci volevo arrivare.
KERRY: Perché l’Iran è, significativamente, contrario alle loro attività. 
STEIN: Prima di arrivarci, però — il presidente ha sostenuto che oggi quelle stesse persone che hanno votato a favore della guerra in Iraq, nell’opporsi a questo accordo stanno sostanzialmente incitando a una guerra con l’Iran. Lei ha votato per la guerra in Iraq. E quindi mi chiedo in quale modo quel voto abbia influenzato il suo punto di vista su questo accordo.
KERRY: Beh, lasciami chiarire. Se hai letto il mio discorso, cosa che t’invito a fare, quello che ho pronunciato in aula per spiegare il significato del mio voto, io non avevo votato affinché si andasse in guerra. Avevo votato per fornire al presidente lo strumento necessario a ricorrere a tutte le soluzioni alternative a lui disponibili per riuscire a convincere Saddam Hussein ad adottare il comportamento che volevamo.
STEIN: Bene, lasciami riformulare la domanda.
KERRY: Ma non è successo. 
STEIN: Certo.
KERRY: E me ne rammarico. E infatti mi rammaricai di quel voto, perché sono convinto che se ne abusò. Al contrario di quanto ci era stato promesso in merito al ricorso a tutte le soluzioni alternative, mi resi conto che c’era stato un impeto belligerante. Quindi si è trattato di un pessimo voto. Ed è così che stanno le cose.
Ma è molto diverso da ciò di cui stiamo parlando oggi, perché sono convinto che nel caso dell’Iran siano tutti d’accordo nel non volere che ottenga un’arma nucleare. L’unica questione è il modo migliore per impedire che ciò accada. 
Siamo convinti che ottenere questo accordo coi suoi requisiti decennali, a quindici, a venti, a venticinque anni, e quelli a vita che dovranno rispettare per protocollo aggiuntivo, garantendo l’accesso agli ispettori — è una conquista di gran lunga più preziosa e importante di quanto non lo sia votare ‘no’, e ritrovarsi poi con niente in mano. Nessuna restrizione. Nessuna ispezione. Nessuna sanzione, perdendo al contempo l’unità dei P5+1 e del resto del mondo, cosa che è stata ottenuta a fatica.
STEIN: Quindi quando siamo corsi a far la guerra non si può dire che ci sia stato alcun nobile intento d’insistere sulla strada diplomatica oltre il 2002.
KERRY: No, al contrario. Credo profondamente, e ho sempre creduto… — ed era quello il punto, ecco perché dico di andarti a rileggere ciò che ho detto in aula al Senato. 
STEIN: Lo farò.
KERRY: Credo che si debba prima ricorrere a tutte le alternative. E noi, infatti, non abbiamo mai voluto dare l’autorizzazione a partire, non abbiamo mai detto va bene, andiamo a fare una guerra per nostra scelta. La guerra non dovrebbe mai essere una guerra per scelta, dovrebbe essere una guerra di necessità. E dovrebbe trattarsi dell’ultima risorsa. Questo è ciò che mi ha sempre animato.
Ecco perché a mio giudizio, in questo caso, eravamo tenuti a tentare fino all’ultimo una soluzione diplomatica con l’Iran, prima di avviarci lungo una strada che avrebbe inevitabilmente portato verso il conflitto. 
STEIN: Di recente hai riferito a Jeffrey Goldberg sull’Atlantic che il primo ministro iraniano Zarif ha dichiarato che non appena quest’accordo verrà siglato avrà “l’autorità per lavorare al tuo fianco, discutendo dei problemi della regione”. Avete già cominciato a parlarne?
KERRY: No, non ancora. L’accordo non è ancora fatto. Dobbiamo concluderlo. 
STEIN: Che cosa prevedi… Questo mi sembra un ottimo punto: evidentemente il trentaquattresimo voto non era l’ultimo pezzo mancante — ma di che cosa supponi che si parlerà, nel corso di quei colloqui?
KERRY: Si parlerà della regione.
STEIN: Niente di più specifico?
KERRY: Di ciò che sta accadendo in Siria, in particolare. Beh, della Siria, in particolare. 
Penso che, insomma, le morti in Siria siano un affronto per chiunque, per qualunque Paese aspiri alla decenza e alla legalità. È una catastrofe di portata critica per la regione, per tutti noi. Aumenta la pressione sulle spalle della Giordania, del Libano, della Turchia. Oggi nel Paese ci sono circa otto milioni di sfollati. E quattro milioni di rifugiati fuori dai suoi confini. 
Sono orgoglioso di poter affermare che oggi siamo quelli che più hanno contribuito con le nostre donazioni alla crisi dei rifugiati. Ma preferirei che potessimo smetterla di fare donazioni per la crisi dei rifugiati e che cominciassimo piuttosto a veder tutte quelle persone libere di tornare a casa. 
STEIN: Pensi che ci siano gli elementi necessari a una possibile collaborazione con la leadership iraniana per ottenere una risoluzione diplomatica? 
KERRY: Non l’abbiamo ancora analizzato, Sam, ovviamente. Ma l’Iran odia l’ISIL, e anche noi. L’ISIL è un pericolo. Nel ventunesimo secolo, dopo tutto ciò che abbiamo passato, è una contraddizione talmente sbalorditiva quella di assistere a un gruppo che se ne va a distruggere templi, a decapitare persone che vorrebbero proteggerli, e a riconoscere nello stupro uno strumento di guerra e di legittimazione del proprio popolo, nel modo più disonorevole.
Dobbiamo fare qualcosa a riguardo — di più, onestamente. E penso che con la crisi dei migranti in Europa il mondo stia cominciando a svegliarsi, e a rendersi conto che va fatto di più.
STEIN: Bene, allora parliamo della crisi dei migranti. Sta diventando un problema sempre più urgente, quest’anno, quello dei rifugiati.
KERRY: Molto urgente.
STEIN: C’è qualcosa che potremmo fare in più per aiutare l’Europa ad affrontarla? O per aiutare i Paesi del Golfo ad affrontarla? Che cosa possiamo fare per…
KERRY: Beh, secondo me se c’è una cosa che tutto ciò va ad evidenziare è la necessità di andare ad affrontare le questioni a monte. Questo genere di esodi di massa di esseri umani bisogna cercare di prevenirli.
STEIN: Ma a parte una soluzione alla guerra civile in Siria, che certo non si raggiungerà domani, che cosa potremmo fare nell’immediato futuro?
KERRY: No, certo, ma potremmo fare molto di più per proteggere queste persone. Ovviamente bisognerebbe creare una struttura che permetta loro di non vivere nella disperazione. Bisogna fornire degli alloggi temporanei, e garantire la possibilità di nutrirsi.
STEIN: Potremmo forse ospitarne di più? Voglio dire, la Germania ne sta accogliendo ottocentomila.
KERRY: Beh, non parlo di un qualcosa di permanente. Abbiamo giganteschi campi per rifugiati in Giordania e in Libano. Abbiamo dei campi per rifugiati in Turchia. Per affrontare la situazione potremmo trovarci a dover organizzare una qualche struttura temporanea per rifugiati. 
Ma sono convinto… Spero che per tanti Paesi tutto ciò faccia soprattutto sentire il richiamo alla necessità di concentrarsi maggiormente sul problema di fondo.
STEIN: Per caso hai visto quella foto del bambino siriano di tre anni?
KERRY: Certo. Certo.
STEIN: Che cosa hai pensato?
KERRY: Insomma, è una foto scioccante e provocatoria, da molti punti di vista. Io ho un nipote di quell’età. Ecco a che cosa si pensa. 
STEIN: Siamo quasi al primo anniversario della dichiarazione di guerra che il presidente ha lanciato allo Stato Islamico. Di recente si è letto che alcuni dossier dell’intelligence militare sarebbero stati sostanzialmente manipolati o alleggeriti nei toni per, non saprei, magari influenzare i legislatori, o forse nascondere la verità sulla situazione della campagna contro lo Stato Islamico. Ne hai sentito parlare?
KERRY: Dossier militari, e…?
STEIN: Della questione mi risulta che se ne stia occupando l’inspector general del Pentagono. Si legge che questi dossier dell’intelligence [presenterebbero] la situazione della campagna che stiamo conducendo contro lo Stato Islamico in modo più roseo di quanto essa non stia andando in realtà. Hai letto qualcosa in proposito?
KERRY: Non ho letto niente a riguardo. No. Mi risulta nuovo. Ma non penso che qualcuno mi abbia addolcito la pillola. 
Siamo consapevoli di quanto grande sia questa sfida. Credo che per alcuni versi stia andando meglio in alcuni luoghi. E in altri invece no. Ma ciò che mi pare chiaro è che per distruggere l’ISIL bisogna fare di più. 
STEIN: Come descriveresti i nostri progressi, dopo un anno?
KERRY: Penso che in alcuni luoghi di progressi ne abbiamo fatti. Abbiamo visto rientrare centomila persone a Tikrit. Sunniti ai quali è stato possibile tornare nelle proprie case, che erano state occupate dall’ISIL. Abbiamo avviato il nostro impegno a Ramadi, la nostra campagna, e l’abbiamo vista iniziare a ottenere dei progressi concreti. Le tribù sunnite stanno cominciando a partecipare, e a combattere.
Ma c’è tanto altro da fare. Mosul resta sotto il loro controllo. Nella parte curda del Paese abbiamo potuto osservare una resistenza significativa, una resistenza francamente più competente, contro l’ISIL. 
Nella zona settentrionale della Siria mi pare che di recente qualche progresso sia stato fatto. Ma c’è ancora troppa gente che riesce a filtrare, a passare, troppe reclute, troppa sostenibilità per qualcosa che non dovrebbe essere affatto sostenibile. 
STEIN: Guardando un po’ in avanti: insomma, hai portato a casa l’accordo con l’Iran, hai chiuso quello con Cuba — qual è il prossimo obiettivo sulla tua lista delle cose da fare prima di lasciare l’incarico?
KERRY: Beh, dovremo provare a vedere se a Parigi si riuscirà a ottenere un accordo sui cambiamenti climatici. Questa è una priorità molto, molto importante per noi. Ci stiamo lavorando molto duramente. È per questo che sono andato in Alaska, e abbiamo avuto tutti quegli incontri cogli altri ministri degli esteri.
Tutto iniziò quando andai in Cina due anni fa, e cominciammo a predisporre il terreno per la partecipazione della Cina a un accordo dalla portata storica. Auspicabilmente la cosa culminerà in un qualche risultato a Parigi. Insomma, è una questione davvero determinante. 
STEIN: Ti volevo chiedere qualcosa in proposito. Allora, il dibattito è il seguente: nel tuo primo discorso di fronte all’Arctic Council hai parlato della prospettiva di fonti energetiche pulite nell’Artico. Ma la prima azione compiuta dagli Stati Uniti, non appena seduti sulla poltrona della presidenza dell’Arctic Council, è stata sostanzialmente quella di autorizzare la Shell ad effettuare delle trivellazioni esplorative al largo della costa alaskana. In questo caso il messaggio che passa non è un po’ confuso?
KERRY: In realtà no, perché si trattava di concessioni autorizzate già qualche anno fa, prima che il presidente Obama venisse eletto. Quindi le concessioni esistevano già, e nel corso dei prossimi anni la Shell e le altre andranno quindi ad effettuare delle trivellazioni. Anche perché di certo non riusciremo a svezzarci dal petrolio tutto in una volta. Inoltre si tratta di un petrolio più pulito di altri, e credo che riguardo al nostro impegno a muoverci in direzione di un’economia de-carbonizzata, ci vorranno venti, trenta, quarant’anni, quindi non è qualcosa che andrà subito via. 
STEIN: Insomma, non è che possiamo aspettarci di smettere da un giorno all’altro. 
KERRY: Sì, ma non è solo questo. Il fatto è che comunque preferirei che il nostro fabbisogno provenisse da una fonte sotto controllo americano, piuttosto che da altrove.
Ma nel lungo periodo dovremo svezzarci dall’economia a base di carbonio. Dobbiamo assolutamente farlo. Dovremo farlo più in fretta di quanto non stiamo già facendo. Credo che questo al presidente sia chiaro, e a me è chiaro. Stiamo spingendo con tutta la forza che abbiamo. 
E al presidente, sfortunatamente — a causa della riluttanza a crederci mostrata da alcuni membri del Congresso — tocca muoversi per provvedimenti amministrativi.
STEIN: Che poi finiscono presi di mira in aula al Senato. 
KERRY: Gli tocca muoversi per provvedimenti amministrativi, cosa che lo rende molto difficile.
STEIN: E qui siamo arrivati alla parte della trasmissione dedicata alla politica interna, a quanto pare.
KERRY: Ah, sì? 
STEIN: Oh, sì, ci siamo arrivati. Giusto qualche domanda.
Ci sono degli impiegati governativi che hanno passato informazioni e che oggi si ritrovano in galera per aver fatto, a volte anche inavvertitamente, uso improprio di informazioni secretate. Ma del tema dell’iper-secretazione ne stiamo sentendo parlare solo oggi dai democratici e da qualcun altro, dato che l’ex segretario di stato Hillary Clinton ha avuto dei problemi con le sue email. Non si può forse dire che ci siano stati due pesi e due misure, visto che della questione prima non ci importava più di tanto…
KERRY: No, e qui sta la differenza, Sam, sono convinto che sia una differenza concreta, e penso che la gente dovrebbe prestarvi particolare attenzione.
Prima di tutto voglio dire che mi asterrò dall’entrare nel merito della questione, e mi limiterò a trattarla in maniera generica, perché ci sono delle indagini in corso. La mia responsabilità è quella di produrre quelle mail il più rapidamente possibile, così che la gente possa formarsi la propria opinione. Ma una delle impressioni che ci si può già fare finora è che non esista alcuna prova che sia mai stato trasmesso qualcosa che all’epoca era stato secretato. Ecco ciò di cui si sta parlando. Fare la spia è qualcosa che riguarda informazioni secretate. Ma se l’informazione in questione è arrivata sul Blackberry di qualcuno, o sulla posta elettronica di qualcuno, e non era secretata, però poi è stata successivamente secretata all’interno del sistema, è tutta un’altra questione.
STEIN: Tu ti sei trovato da entrambi i lati della barricata — dal legislativo all’esecutivo. In generale pensi che da noi si tenda a iper-secretare?
KERRY: Sì.
STEIN: Allora che cosa dovremmo fare a riguardo?
KERRY: Beh, è complicato perché, insomma, di iperclassificazione se ne fa in dosi massicce. La gente si limita ad apporvi in tutta fretta il timbro, perché così in un certo senso avrai sempre ragione nel caso in cui qualcuno dopo venga a sindacare. Ergo, nel dubbio, la cosa più facile è secretare e archiviare.
STEIN: È stata coniata anche una sigla, PIC, che magari non è l’ideale davanti alle telecamere: ‘Parati il culo’.
KERY: Noi siamo… Ho avviato una riforma del dipartimento, e ho scritto personalmente all’inspector general per invitarlo ad analizzare l’intero processo, così da permetterci di avere all’interno del nostro sistema il maggiore livello possibile di responsabilità e di insight.
E siamo preparati… bisogna rendersi conto che tutto questo fenomeno delle email, ovviamente, si è sviluppato solo negli ultimi anni, e che il sistema ha bisogno di essere aggiornato: come affrontare la questione nella maniera appropriata? Come gestire questa mole di dati?
STEIN: Un paio di ultime domande veloci. Detto solo fra noi e le telecamere: tu ti candiderai, vero?
KERRY: Com’è piccolo il mondo.
STEIN: Piccolo, no?
KERRY: Lo so che sai come tenere un segreto. 
STEIN: Ovviamente. Non ci sentirà nessuno, no? Saresti interessato a candidarti alla presidenza?
KERRY: Io non mi candiderò.
STEIN: Perché no?
KERRY: Al momento non è nelle cose. Mi piace il lavoro che sto facendo, è ricco di grandi sfide, ho un’agenda piena d’impegni da portare avanti nel corso dei prossimi mesi… Parigi, per esempio. Sono anni che lavoro alla questione dei cambiamenti climatici, da quando ero al Senato.
STEIN: È un lavoro più divertente che candidarsi alla presidenza. 
KERRY: Non necessariamente, ma significa portare a termine qualcosa. E per me è questo che conta oggi. 
STEIN: Ti farò un’altra domanda molto più controversa di quella sulla tua candidatura. Tom Brady… ora è un uomo libero, e può tornare a giocare a football.
KERRY: Fantastico.
STEIN: Giustizia è stata fatta… o negata?
KERRY: (Ride) Vuoi un mio commento?
STEIN: Sì, vorrei un tuo commento. 
KERRY: Ma tu sei un bravo tifoso dei Red Sox?
STEIN: Sì, io tifo per i Red Sox, ma anche per i Giants. Mi colloco in quella terra di mezzo del Connecticut.
KERRY: Grosso errore. È un’ambivalenza del tutto inspiegabile. Davvero. 
STEIN: Lo so, lo so. Me lo sono già sentito dire da altri membri della redazione. 
STEIN: Quindi sei contento che quella sospensione sia stata ritirata?
KERRY: Ne sono estasiato. Entusiasta. E non vedo loro di vedere Tom Brady e i Patriots contro Pittsburg il dieci.
STEIN: All’interno di questo edificio adesso hanno aperto un Dunkin Donuts: ottime notizie per uno del New England come te.
KERRY: Fantastico. Era ora. 
STEIN: Grazie mille, signor segretario. L’ho apprezzato davvero.
Traduzione di Stefano Pitrelli
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dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...