Cisl, bello fare i moralisti con i soldi degli altri
Il sindacato maestro dei 2 pesi, 2 misure. Attacca la casta, difende i suoi privilegi.
di Paolo Madron
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10 Agosto 2015
Onore al sindacalista Fausto Scandola, iscritto alla Cisl dal lontano 1968 e ora buttato fuori per avere reso pubblica una lettera, in cui denunciava i mega compensi di alcuni dirigenti.
Cacciato per aver detto il falso? Neanche per sogno, ma solo perché reo di non aver lavato i panni sporchi in famiglia.
Non importa poi se quei panni, visto che nel cumulo ci sono anche fior di pensioni, li pagano i contribuenti.
UN SINDACATO CHE AMA AUTOASSOLVERSI. Fulmineo nel nascondere le proprie magagne (in questo la Cisl è fresca di tradizione, viste come ha tacitato le recenti polemiche sulla pensione dell’ex segretario Raffaele Bonanni), il sindacato cattolico altrettanto lo è stato nello stroncare il dissenso per bocca del neosegretario Annamaria Furlan, quella che doveva incarnare il nuovo corso della Cisl, tale da far dimenticare qualche vicenda non proprio encomiabile.
Sempre pronto a denunciare storture e privilegi in casa altrui, quando guarda alle proprie faccende diventa mansuetamente giustificazionista: sì, è vero, però, è il costo azienda, è il frutto di fior di contributi, sono piccole prebende se rapportate ai bilanci di società milionarie, immobiliari o fondazioni che siano.
E poi, siccome così fan tutti, non si capisce perché puntare l’indice accusatorio proprio contro di me.
SCANDOLA? UN «DELATORE». Naturalmente il provvedimento punitivo verso il “delatore” Scandola non va da solo, ma è accompagnato da un profluvio di parole di circostanza sul fatto che è necessario cambiare rotta, che la trasparenza diventa un imperativo categorico, che sì, forse c’è qualcosa che non va se dei dirigenti sindacali di seconda fila guadagnano più di Obama o del governatore della Fed.
Sono gli stessi dirigenti che poi affollano i talk show televisivi a indignarsi per i miseri stipendi di un operaio o di un insegnante, nonché additare al pubblico ludibrio i loro presunti affamatori.
Uno che si distingueva nel mucchio come indignato in servizio permanente era proprio Bonanni: feroce contro i furbetti, solerte nel denunciare la casta dei politici, draconiano contro la spesa pubblica arcinemica di sviluppo e investimenti.
BONANNI E LA FUGA PRE-FORNERO. L’ex segretario, con raro tempismo, si è pensionato alla vigilia della riforma Fornero usufruendo del sistema retributivo, dopo essersi aumentato lo stipendio negli anni conclusivi del suo mandato. Per finire in bellezza nell’ultimo, con un prodigioso balzo nell’ultimo dai 267.436 euro del 2010 ai 336.260 di quello successivo.
Virtuosi della moltiplicazione di incarichi e compensi, i loro però, diventano implacabili censori quando i protagonisti dell’allegra incetta di gettoni militano in altre categorie.
Poi, il Primo maggio, tutti in piazza a denunciare il governo ladro, la disoccupazione che aumenta e il sempre più elevato numero di lavoratori precari e sottopagati.
Cacciato per aver detto il falso? Neanche per sogno, ma solo perché reo di non aver lavato i panni sporchi in famiglia.
Non importa poi se quei panni, visto che nel cumulo ci sono anche fior di pensioni, li pagano i contribuenti.
UN SINDACATO CHE AMA AUTOASSOLVERSI. Fulmineo nel nascondere le proprie magagne (in questo la Cisl è fresca di tradizione, viste come ha tacitato le recenti polemiche sulla pensione dell’ex segretario Raffaele Bonanni), il sindacato cattolico altrettanto lo è stato nello stroncare il dissenso per bocca del neosegretario Annamaria Furlan, quella che doveva incarnare il nuovo corso della Cisl, tale da far dimenticare qualche vicenda non proprio encomiabile.
Sempre pronto a denunciare storture e privilegi in casa altrui, quando guarda alle proprie faccende diventa mansuetamente giustificazionista: sì, è vero, però, è il costo azienda, è il frutto di fior di contributi, sono piccole prebende se rapportate ai bilanci di società milionarie, immobiliari o fondazioni che siano.
E poi, siccome così fan tutti, non si capisce perché puntare l’indice accusatorio proprio contro di me.
SCANDOLA? UN «DELATORE». Naturalmente il provvedimento punitivo verso il “delatore” Scandola non va da solo, ma è accompagnato da un profluvio di parole di circostanza sul fatto che è necessario cambiare rotta, che la trasparenza diventa un imperativo categorico, che sì, forse c’è qualcosa che non va se dei dirigenti sindacali di seconda fila guadagnano più di Obama o del governatore della Fed.
Sono gli stessi dirigenti che poi affollano i talk show televisivi a indignarsi per i miseri stipendi di un operaio o di un insegnante, nonché additare al pubblico ludibrio i loro presunti affamatori.
Uno che si distingueva nel mucchio come indignato in servizio permanente era proprio Bonanni: feroce contro i furbetti, solerte nel denunciare la casta dei politici, draconiano contro la spesa pubblica arcinemica di sviluppo e investimenti.
BONANNI E LA FUGA PRE-FORNERO. L’ex segretario, con raro tempismo, si è pensionato alla vigilia della riforma Fornero usufruendo del sistema retributivo, dopo essersi aumentato lo stipendio negli anni conclusivi del suo mandato. Per finire in bellezza nell’ultimo, con un prodigioso balzo nell’ultimo dai 267.436 euro del 2010 ai 336.260 di quello successivo.
Virtuosi della moltiplicazione di incarichi e compensi, i loro però, diventano implacabili censori quando i protagonisti dell’allegra incetta di gettoni militano in altre categorie.
Poi, il Primo maggio, tutti in piazza a denunciare il governo ladro, la disoccupazione che aumenta e il sempre più elevato numero di lavoratori precari e sottopagati.
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