Salvini raccoglie consenso nella Cgil e nella sinistra radicale
Viviamo strani giorni. Ricordo che, dati alla mano, la Lega nel suo massimo storico aveva preso molti voti dalla "classe operaia", in particolare da quella del nord. E ricordo anche le infinite discussioni che in quel periodo abbiamo fatto intorno al riposizionamento di quel blocco sociale che si era ormai spostato su Forza Italia a livello nazionale, e sulla Lega a livello territoriale. Oggi, come allora, nonostante Belsito, i diamanti e la meteora "Er trota", quel fenomeno si sta rimodulando, e nelle ultime settimane in maniera preoccupante.
Il lavoro del segretario nazionale della Lega è ormai noto a tutti. Salvini sta facendo un lavoro di ricomposizione di quelle esigenze, quei bisogni, quelle istanze sociali che né i sindacati e né la sinistra radicale riescono più a raccogliere e a "governare". In breve, mentre ci si perde nelle tradizionali composizioni destra-sinistra, Salvini strumentalmente cerca consenso in quel blocco sociale che nei fatti si sente monco di rappresentatività. Per capirci, mi faccio carico delle istanze sociali e nello stesso tempo continuo le mie campagne basate sulle classiche contrapposizioni: italiano contro straniero, lira contro euro e perché no, ci metto anche lavoratori contro padroni. Salvo però mettere 71 dipendenti in cassa integrazione nonostante i rimborsi elettorali che la Lega ha ricevuto.
Un fenomeno che paradossalmente vede chiamata in causa direttamente la Cgil. E non parlo di un rapporto politico, per quanto alcune dichiarazioni delle ultime ore lo fanno pensare, ma di un aspetto sostanziale che, in alcuni casi, può fare la differenza. I segnali arrivano ormai quotidianamente. Una correlazione strumentale quella che sta compiendo Salvini con la Cgil che, se vogliamo, è basata su una comunicazione bifronte, che ha da un lato il tema del referendum della legge Fornero - ormai politicamente di proprietà della Lega - e dall'altro una comunicazione a rimorchio di Salvini che - a dispetto di molti - sta facendo un lavoro nazionale e di costruzione di una nuova tipologia di consenso politico, e verso la quale la Cgil corre a gambe levate, visto che quel bacino politico della cosiddetta sinistra radicale è ormai, comunicativamente, fuori dai giochi.
Il punto però è che tale "convergenza comunicativa" è però sintomo di una chiara difficoltà della Cgil a dettare l'agenda sui suoi contenuti tradizionali, a partire dalla difesa dei diritti dei lavoratori. Più che raccogliere e partecipare ad un processo di riforma del mercato del lavoro e ad una nuova fase, si preferisce lavorare alla proposta di referendum della Lega strumentalmente messo sul tavolo proprio per parlare a quel blocco sociale della Cgil e della sinistra radicale. Pur di contrapporsi strumentalmente a tale esecutivo, con il quale la contrattazione è ancora aperta, si preferisce mettersi a rimorchio di un partito chiaramente xenofobo.
Qualcuno lo dica alla Camusso, e a quella parte della "sinistra radicale". Altrimenti, come è capitato lunedì 10 novembre, ci ritroveremo Salvini a cantare "Bella ciao" che sotto il profilo simbolico e culturale fa male a tutti, non certo solo alla Camusso.
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