lunedì 10 novembre 2014

A cosa servono i sindacati. A selezionare la peggiocrazia e l'ignoranza di persone che nella vita non avrebbero potuto fare niente altro.

Lavoro, a che cosa servono i sindacati?
Meno politica e più contrattazione
In un sondaggio i giudizi dei lavoratori sui rischi di distacco dai problemi concreti oggi più pressanti: disoccupazione, potere d'acquisto, pensioni
WALTER PASSERINI
Prima Annamaria Furlan al posto di Raffaele Bonanni come numero uno della Cisl, oggi Carmelo Barbagallo al posto di Luigi Angeletti nella Uil. Resta stabile al suo posto nella Cgil Susanna Camusso. A che cosa serve questo turn over? Gli avvicendamenti nel sindacato serviranno ad attrezzare le organizzazioni dei lavoratori in vista delle prossime stagioni? La crisi continua e richiede una visione di lungo periodo. Negli ultimi anni il sindacato nazionale si è un po' trincerato nei dibattiti televisivi e si è fato attrarre dalle sirene della politica. Convive nel sindacato italiano un doppio modello: quello dei contrattualisti e quello dell'intervento più politico. Potrà durare ancora questa relativa ambiguità? La risposta sta anche in un'altra domanda: a che cosa servono i sindacati? Una prima risposta per nulla banale, anzi stimolante e tempestiva viene da un sondaggio sul sindacato realizzato da S&G Kaleidos per Job.it, il sito web e mensile ispirato dalla Cisl. I risultati si inseriscono efficacemente nel dibattito attuale sul ruolo e sulla funzione della rappresentanza. In questo momento i sindacati sono sotto attacco (“Dove eravate in questi anni” ha affermato a più riprese il presidente del Consiglio, Matteo Renzi), una buona ragione per verificare il proprio peso e per rispondere alla domanda: servono ancora i sindacati?  
Due intervistati su tre (da un campione statisticamente rappresentativo di 1.000 unità) affermano di conoscere l’offerta di servizi da parte del sindacato (65,5%) e ne stabiliscono anche un ordine di importanza: la tutela del posto di lavoro (26,5%), si sottolinea il posto e non un lavoro tout court; le informazioni sul contratto di lavoro (19,9%); l’assistenza negli adempimenti fiscali (16,6%). Seguono la tutela di salute e sicurezza, l’assistenza per le pensioni e per le vertenze. L’immagine che balza agli occhi è quella di un sindacato fornitore di servizi, prima ancora che di intermediario dei conflitti e gestore di contrattazione. Concordano su questo sia il campione nazionale che quelli regionali. Da segnalare anche la tutela contro due fenomeni relativamente recenti (almeno nel liunguaggio), il mobbing e lo stalking, che sono in netta crescita. 
Il tasso di sindacalizzazione risulta ambivalente e segnala la necessità di un rilancio nel rapporto con i lavoratori. Non ci si può consolare con confronti con altri paesi, dove la sindacalizzazione è a più bassi livelli, ma è evidente che in questi anni il tasso di sindacalizzazione complessivo in Italia è rimasto congelato. Viene in mente un bel libretto di Bruno Manghi di qualche anno fa, dal titolo efficace, sui rischi del sindacato: “Declinar crescendo”. Dichiarano di essere iscritti il 28,7% alla Cgil, il 25,5% alla Cisl e l’11,9% alla Uil. Va evitata la tentazione di sommare i tassi delle tre confederazioni, mentre è preferibile concentrare l’attenzione sul 26% di persone che si dichiarano non iscritte ad alcun sindacato, quota molto probabilmente più alta, se pensiamo all’intero mondo del lavoro, stabile e precario, di 25 milioni di persone. Le ragioni della non iscrizione sono un’ulteriore spia. Non ci si è iscritti per il ruolo troppo politicizzato dei sindacalisti (34,4%, in netta crescita rispetto a quattro anni fa), perché si pensa di non trarne alcun vantaggio concreto (29,9%) o perché non si crede più in questo tipo di organizzazioni (21,2%).  
Gli intervistati ritengono che il ruolo del sindacato debba essere soprattutto quello di tutela degli interessi dei lavoratori nei confronti della controparte (43,1%), cioè i datori di lavoro, e dei cittadini lavoratori nei confronti delle istituzioni (27,3%), nazionali o locali. E’ da questo punto che può ripartire la discussione, tra un sindacato orientato all’azienda e al territorio e un sindacato più orientato alle istituzioni e alla politica. Probabilmente non vi è un’alternativa tra tutti questi elementi, ma una possibile integrazione. Forse è il teatrino della politica e dei media ad aver attratto i vertici sindacali e, insieme, fatto perdere smalto al rapporto tra sindacato e lavoratori. In fondo, il sindacato resta ancora il prodotto di un sottile mix di funzioni: agenzia di servizi, soggetto di contrattazione, associazione di rappresentanza e di identità, soprattutto verso i giovani oggi penalizzati, che costruiranno il loro sindacato del futuro. 

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