domenica 9 novembre 2014

Ma quando eliminiamo le Regioni insiemi ai sindacati casta.

Quando Regioni fa rima con spreconi 

Governatori in rivolta contro i tagli statali. Ma, nonostante gli scandali, i loro enti non hanno “cambiato verso”. Ecco l’elenco dei troppi soldi buttati tra schiere di dirigenti, spese pre elettorali e assunzioni last minute 

DI MICHELE SASSO

Quando Regioni fa rima con spreconi
C’è voluta la manovra renziana per spingere le Regioni a fare quadrato. Sono scomparsi Nord e Sud, destra e sinistra, unendo i governatori in un unico blocco compatto contro il taglio di quattro miliardi nei fondi statali. Una cifra non negoziabile per il premier.  E «insostenibile»per i presidenti, che hanno subito paventato sforbiciate ai servizi, a partire dalla sanità, per far fronte alla mossa di Palazzo Chigi.

Gli squilli di rivolta si sono già sopiti. Una tregua in attesa dei numeri definitivi dopo le correzioni di Bruxelles alla Finanziaria. Ma anche una pausa di riflessione, in cui i leader regionali cercano di capire quanto convenga lo scontro frontale, perché li scandali degli ultimi anni hanno logorato la fiducia nelle amministrazioni “federali”.

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Sicilia e-Servizi, la Corte dei Conti contro l’ex pm Antonio Ingroia 

Dalla relazione dei magistrati contabili si scopre una burocrazia elefantiaca in Sicilia: 17.538 addetti, tra cui 1773 dirigenti. Anche le trentaquattro partecipate sono diventate quasi tutte dei carrozzoni. A partire da Sicilia e-Servizi guidatata da Antonio Ingroia. Che invece di chiudere assume, provocando un danno erariale da 2,2 milioni 

Figure simbolo come Roberto Formigoni, Renata Polverini e, seppur con altro stile, Vasco Errani sono cadute sotto i colpi delle indagini e di uno sfarfallio di lussi che dalla jeep di Franco “Batman” Fiorito alle marea di rimborsi allegri hanno mostrato i consigli regionali come l’ultima trincea della casta. Ora l’offensiva dell’esecutivo li mette con le spalle al muro, obbligandoli a dimostrare uno scatto virtuoso. Che finora non si è ancora materializzato.

Una panoramica alle ultime iniziative mostra che la strada del rigore è ancora lontana. Certo, alcune icone dello sfarzo sono state abbattute, come la proliferazione di sedi estere e ambasciate parallele. I programmi discutibili però restano all’ordine del giorno.

Dalla Lombardia di Roberto Maroni che stanzia 30 milioni per un referendum-slogan allo sprint pre-elettorale della Campania di Stefano Caldoro, pronta a far piovere sui comuni miliardi di finanziamenti europei, fino alle centinaia di assunzioni last minute della Puglia di Nichi Vendola, la razionalizzazione è ancora lontana.

E neppure il Piemonte di Sergio Chiamparino, leader dei governatori in lotta, sembra dare prova di virtù: con le casse disperatamente vuote ma un grattacielo di 42 piani da quasi 300 milioni da inaugurare il prossimo anno.

IL PESO DELLA POLITICA

Sergio Chiamparino
Sergio Chiamparino
Sono indizi dell’incapacità di guardare alla situazione reale del Paese. Certo, gli snodi sono altri, con pilastri che non si riesce a intaccare in modo deciso. Ad esempio, la vita dei parlamentini ha un costo globale - tra soldi per i consiglieri e per le strutture che permettono loro di lavorare - stimato in un miliardo l’anno.

Nonostante qualche intervento (Sardegna e Lazio li hanno decurtati di un quarto), i famigerati rimborsi forfettari che hanno fatto finire alla sbarra “Er Batman” e centinaia di emuli stanno sostanzialmente sopravvivendo, tanto che nelle tasche dei consiglieri vanno complessivamente 230 milioni di euro, altri 170 finiscono in pensioni e vitalizi ad un’armata di ex mentre cento milioni vengono versati ai gruppi politici.

Un esempio di spreco? Nel 2012 le spese di rappresentanza del presidente della giunta calabra sono state di 230 mila euro, calate poi a 38 mila dopo i blitz di Fiamme Gialle e magistratura contabile. In media nel 2012 a ognuno dei 1117 consiglieri eletti andavano 200 mila euro l’anno.

Se si include il prezzo di strutture e personale, per ogni deputato di Palazzo dei Normanni i contribuenti siciliani devono pagare un milione e 700 mila euro, i calabresi un milione e mezzo per ciascun consigliere, i piemontesi un milione tondo tondo. Uno studio di Gilberto Turati appena pubblicato da lavoce.info ritiene che si potrebbero varare risparmi in questo settore tra i 160 e i 270 milioni l’anno. Ma la strada è lunga. Richiede una presa di coscienza della classe politica regionale e leggi efficaci.

CHI RUBA LA SALUTE

Anche questa è poca cosa rispetto alla questione che pesa di più nei bilanci regionali, la sanità, che inghiotte 110 miliardi l’anno. Il mantra sono i costi standard, uniformare i prezzi delle forniture da Lampedusa ad Aosta, senza più la celebre siringa che in Sicilia costa 60 centesimi e in Veneto soltanto quattro.

Forse l’unica forbice da impugnare in fretta per non essere obbligati a ridurre ancora i servizi fondamentali, già messi alla prova soprattutto a Sud dai tagli lineari, fatti pagare ai cittadini invece di amputare gli sprechi.

Risolvere quello che si nasconde dietro gli appalti gonfiati, la morsa di intrallazzi e lobby che aleggia in ospedali e Asl, resta il problema chiave. Il libro bianco Ispe-Sanità reso noto un mese fa ritiene che nel 2013 il malaffare nel settore abbia divorato oltre 23 miliardi di euro: un quinto della torta sanitaria è andato in pasto a boss d’ogni genere, sottraendo salute agli italiani.

BUROCRATI ALLA CARICA

Un altro punto su cui non si riesce a intervenire è la pletora di dirigenti, sia nelle strutture centrali che nella jungla di partecipate che spesso sembrano avere l’unica finalità di mantenere poltrone.

L’ultimo censimento contava 169 dirigenti top con oltre 150 mila euro, altri 2030 con più di 105 mila euro, a cui si sommano 34.658 dipendenti con una media di 35 mila euro l’anno.
Ci vorrebbe una radiografia severa di incarichi e ruoli, per capire cosa possa essere accorpato: quello che tutte le aziende private alle prese con la recessione hanno fatto già da anni.
In questa overdose di burocrati, la Puglia sceglie una corsia preferenziale per assumere senza concorso i precari con la tessera di partito in tasca.

La possibilità si nasconde nelle pieghe della legge di stabilità, approvata un anno fa dal Governo Letta.
Un terno al lotto scritto su misura dal parlamentare democratico Dario Ginefra:«Non ha solo la funzione di rimediare ad un erro- re del passato, quello di ricorrere ai contratti a tempo determinato, ma è un atto di buona politica».

A Bari il governatore Nichi Vendola ha accantonato due milioni di euro per assumere la prima tranche della pattuglia di 379 precari impiegati negli uffici regionali come ingegneri, geologi, giuslavoristi. Molti dei quali, iscritti a Sel, Pd, Forza Italia: sono militanti entrati negli staff dei gruppi consiliari e “pescati” per servire la macchina amministrativa.
In barba ad ogni legge che prevede per il pubblico una selezione dei migliori per titoli e prove. Questa finestra è pure una ghiotta opportunità anche per i 518 precari delle controllate dalla Regione.

Una carica di quasi novecento nuovi assunti che costeranno 31 milioni. Lo scopo è rimpolpare il settore “risorse umane”, sotto organico in Puglia: sono previsti 3.900 dipendenti e all’appello ne mancano 1300.

La polemica è infuocata in vista delle elezioni di primavera. Massimo Cassano, sottosegretario alfaniano al Lavoro, spara a zero:«Un’infornata per gli amici di Vendola. Creare occupazione non può avvenire per decreto o per propaganda politica».

A difendere la decisione è l’assessore al Lavoro Leo Caroli, smentendo la presenza di “raccomandati”:«Tutte le assunzioni sono state fatte con selezione pubblica. Si è montata una polemica sterile: non possiamo assumere senza prima avviare i pensionamenti». Giusto: entro fine anno lasceranno il posto in 400, subito rimpiazzati.

PIOVONO MILIONI

Un altro peccato originale delle Regioni è l’incapacità di far fruttare i fondi europei per rilanciare l’economia locale. Riusciamo a investirne pochi e male, tanto che spesso Bruxelles reclama i soldi indietro. Ora la Campania parrebbe avere voltato pagina, ma è forte il sospetto che si tratti solo di una mossa propagandistica in vista del voto: ci sono quattro miliardi e mezzo per progetti che la Commissione europea ha deciso di finanziare al 75 per cento.

Bisogna però fare in fretta perché vanno spesi entro la fine del 2015. E non sempre sono interventi virtuosi. Negli ultimi mesi è scattato il rush finale, con piccoli e grandi comuni che aspettano milioni come una manna dal cielo.
«Sarà una nuova cassa del mezzogiorno. Il principale responsabile di questa manovra “elettorale” è il governatore Caldoro che ha deciso di inondare i sindaci prima delle elezioni di primavera», attacca il parlamentare Pd Fulvio Bonavitacola: «Ma quando ci sarà chiesto come sono stati spesi cosa risponderemo?». Il rischio, appunto, è che Bruxelles finisca per pretendere il rimborso, perché sono stati sprecati o investiti ignorando i criteri Ue.

A replicare è Dario Gargiulo, direttore regionale per la programmazione Ue:«Abbiamo ereditato un piano di spesa fermo al 3 per cento nel 2010, oggi siamo al 47 per cento e puntiamo al cento per cento. La Campania è una buona prassi ed ogni progetto risponde ad una priorità. È falso che verremo bocciati».

Come condizione vincolante c’è lo «sviluppo armonico del territorio, il sostegno al tessuto produttivo, ricerca e innovazione». Nell’infinito elenco spuntano invece i lavori per la rete fognaria di Agropoli, una marea di scuole da mettere a posto, interventi sulla rete idrica, centinaia di nuovi depuratori, marciapiedi rifatti, lampioni sostituiti.

Per impiegare fino all’ultimo euro ci sono piani di raccolta differenziata per 224.882 euro per il Comune di Angri, oppure 90 mila euro per il “Paestum Festival” del comune di Capaccio e ben 84 domande per la “realizzazione campetto Playground”.

Tutto indispensabile? «Abbiamo dato la possibilità ai Comuni di chiudere un cantiere aperto da anni», continua Gargiulo:«È un modo intelligente di spendere quei fondi».

A Bagnoli, alle porte di Napoli, il Parco dello Sport è l’esempio dello spreco. Dagli anni 2000 è stato inserito per ben due volte nel programma regionale per riqualificare l’ex Italsider con un conto finale da 22 milioni , 19 milioni dei quali dall’Europa. Una distesa di campi di calcetto, tennis, pallavolo, atletica leggera dove una volta sorgeva la fabbrica diventata un buco senza fondo. La bonifica dei terreni non è mai stata fatta, la società per la riqualificazione è fallita e la Regione ha interrotto ogni erogazione.

L’AUTONOMIA NON HA PREZZO

Se a Napoli il sogno di Bagnoli è diventato un incubo, in Lombardia la vocazione leghista può costare molto cara. Si chiama “statuto speciale di regione autonoma” e consentirebbe di trattenere il 75 per cento della tasse pagate: lo slogan della fortunata campagna elettorale di Roberto Maroni. Uno slogan appunto, perché la decisione spetta al Parlamento nazionale e richiede una modifica costituzionale.

Per il referendum consultivo del Pirellone i leghisti fanno sul serio e tra affissioni, scrutatori e macchina organizzativa in due giorni di voto si bruceranno quasi trenta milioni. Risorse messe in cantiere per il 2015, anno in cui si vorrebbe suonare la chiamata alle urne per sette milioni e 700 mila lombardi. «È una mossa propagandistica della Lega, senza effetti pratici, che pagheremo tutti», attacca il capogruppo del Pd Enrico Brambilla. Ma l’autonomia non ha prezzo.

LA TORRE SVETTA SUL BUCO

Gli effetti delle spese pazze li sta toccando con mano anche Sergio Chiamparino, che ha in giunta due assessori sotto inchiesta. È il capo della rivolta antigovernativa ma costretto a chiedere a Palazzo Chigi un decreto “Salva Piemonte” per scongiurare il fallimento.

Stritolato da un debito che si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro per colpa soprattutto della sanità: negli anni del leghista Roberto Cota è arrivata a sfiorare, tra scandali e piani di rientro mai portati a termine, un costo di 8 miliardi di euro annui.

Troppi per un bilancio da 11 miliardi.“Razionalizzare”è l’ordine di scuderia. Il sacrificio dei consiglieri sarà simbolico, un taglio alle indennità solo del 10 per cento, mentre le sforbiciate più significative arriveranno dal patrimonio immobiliare: vendita dei palazzi e l’accorpamento delle sedi decentrate, riducendole da 26 a 12.
Risparmi possibili grazie al trasferimento dei duemila dipendenti nel nuovo grattacielo in costruzione.

Nonostante i debiti sarà inaugurato il prossimo anno al Lingotto: una sede mastodontica, da 42 piani.
Una voglia di gigantismo nata e cresciuta quando i governatori si chiamavano Enzo Ghigo (centro destra) e Mercedes Bresso (centro sinistra). Oggi il Pd locale difende il progetto («Servirà a modernizzare») anche se il costo è in salita: nel 2011, al via dei lavori, era stimato in 208 milioni, oggi è lievitato fino a 300.

hanno collaborato Tommaso Forte e Fabio Lepore

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