Lodati all’estero ma bocciati in Italia. Gli accademici: “Provincialismo non fa onore al Paese”
Hanno curriculum stellari ed esperienza all’estero. Sono apprezzati dai colleghi in Europa, ma qui in Italia non risultano idonei all’insegnamento. Una delle “stranezze” (per usare un eufemismo) del nostro Paese, per le quali ci attiriamo il biasimo e l’ironia internazionale, riguarda decine di ricercatori e professori universitari che nonostante lavorino con successo negli atenei stranieri, sono stati “bocciati” dalla madre patria.
Così, dopo il caso degli illustri economisti (premi Nobel, docenti di Harvard, Oxford ecc.) che hanno scritto al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini in difesa di tre nostri celebri connazionali, scopriamo che anche altri docenti e giovani studiosi, questa volta di Diritto dell’Unione Europea e di altre discipline giuridiche, hanno inviato una lettera di protesta poiché molti di loro non hanno incredibilmente avuto l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), che è necessaria per l’insegnamento nelle Università italiane. Il documento, indirizzato anche al premier Matteo Renzi, è firmato da una ventina di ricercatori e professori di discipline giuridiche che lavorano o hanno lavorato nel Regno Unito, in Belgio, Spagna, Francia, Stati Uniti, Olanda; e continuano ad arrivare nuove adesioni.
Il riconoscimento della qualifica di professore avviene unicamente per titoli (curriculum ed esperienze) e pubblicazioni, in base quindi a parametri oggettivi e predeterminati. Ma allora come mai in questo caso, leggiamo nel testo, «sono stati adottati criteri restrittivi basati su logiche vecchie, cavilli burocratici e metodologie di valutazione difformi dalle migliori a livello internazionale?». Le domande di abilitazione all’insegnamento accademico sono valutate da una commissione nazionale per ciascun settore disciplinare. Ogni pubblicazione e progetto dovrebbe contare nella valutazione finale. Eppure, secondo i ricercatori, non sono stati considerati «la qualità e la rilevanza scientifica di scritti pubblicati in riviste internazionali di primo piano». Il problema è di credibilità nazionale: «È irrazionale credere che la cultura o il sapere scientifico possano delimitarsi territorialmente. Questa situazione è inaccettabile e mette a rischio la capacità del sistema accademico italiano di attrarre i migliori talenti e le migliori energie a livello internazionale». Nell’appello al ministro Giannini ci si chiede anche perché «giovani docenti stranieri già abilitati oltre confine con procedure analoghe a quella italiana, cessano di essere idonei all’insegnamento e alla ricerca quando arrivano nel nostro Paese». Cervelli in fuga, quindi, e non solo italiani: «La procedura di abilitazione – dichiarano senza mezzi termini – è servita a mantenere quel miope provincialismo che corrompe le istituzioni accademiche e che non fa onore all’Italia».
Tra i promotori dell’iniziativa lo studioso Alberto Alemanno, professore a Parigi e New York e referente internazionale del Miur per i progetti in campo giuridico, ritenuto però “inidoneo” dalla commissione che ha valutato la sua domanda. La lettera è ora sul tavolo del ministro Giannini. Vedremo se le motivazioni di tanti giovani accademici saranno ascoltate: «Abbiamo voluto trasmettere la nostra indignazione ma anche una speranza – ci dice uno dei firmatari, il ricercatore Alessandro Spina, che lavora a Londra – abbiamo avuto la fortuna di conoscere realtà accademiche di altri Paesi, e crediamo in un futuro più apertamente meritocratico, e più credibile a livello internazionale».
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