giovedì 17 aprile 2014

Altro articolo da leggere. Prendetevi 20 minuti e leggetelo. E come risolviamo questo problema????? Ma certo con gli F35. I grillini ed i leghisti sono fessi di fabbricazione.

Alitalia-Etihad: i punti critici della vendita

Tremila esuberi. Debiti per quasi 1 mld. E il nodo Malpensa. La malagestione della compagnia mette a rischio l'accordo.

FOCUS
Gli arabi di Etihad potrebbero acquisire il 40% di Alitalia, compagnia con 40 aerei in più e il doppio dei loro passaggeri. Ma chiedono di pagare meno i lavoratori italiani, di ristrutturare i debiti delle banche creditrici e di ottenere il collegamento con l'Alta velocità a Fiumicino e l'agibilità dell'aeroporto di Linate. All'ennesimo giro di pista della compagnia di bandiera, all'ennesimo atteso e disperato salvataggio, le trattative sembravano arrivate quasi a destinazione. Quasi.
APPESI ALLA LETTERA DI INTENTI. Finché infatti questi nodi non saranno sciolti, il matrimonio resterà in bilico, appeso al filo di convulsi negoziati. Il consiglio di amministrazione di Alitalia Cai, previsto per lunedì 14 aprile, è stato rinviato in attesa della lettera di intenti destinata a precisare le condizioni poste dalla compagnia degli Emirati. La valutazione della proposta, secondo quanto riferito al Senato dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, sarebbe in corso.
L'intesa è difficile visto che dopo cinque anni di gestione dei 'capitani coraggiosi', Alitalia si ritrova con circa 1 miliardo di debito sulle spalle. Nel passaggio da Alitalia a Cai, gli asset migliori sono stati svalutati: i nuovi azionisti sono entrati con soli 847 milioni di euro. Con un'operazione che ha tutelato i posti di lavoro della AirOne, piccola low cost piena di debiti, e non quelli della compagnia di bandiera.
ISTITUTI BANCARI AZIONISTI E CREDITORI. Perché ora gli Emirati, i soli a proporsi come compratori, dovrebbero chiedere di meno? I sindacati italiani promettono battaglia. Non vogliono concedere ad Abu Dhabi, quello che è stato concesso alle imprese e allo stesso governo italiano solo cinque anni fa. A complicare le trattative, poi, c'è la doppia veste di Intesa SanPaolo e Unicredit, tra i primi azionisti di Cai, ma anche tra i primi creditori della compagnia. E quindi divisi tra l'interesse al salvataggio e le richieste di Etihad di rinegoziare il debito.
MARONI PROMETTE BATTAGLIA. Infine c'è il capitolo delle strategie di sviluppo, con la mai risolta concorrenza tra Malpensa e Fiumicino. Il governatore della Lombardia Roberto Maroni chiede al governo di disegnare nelle trattative con gli arabi una politica industriale a cui gli esecutivi precedenti e la stessa Cai dei patrioti avevano girato le spalle.
A queste condizioni, Etihad sa di avere un ampio margine di trattativa. A sei anni dalla mancata vendita ad AirFrance, con sempre meno compratori all'orizzonte e un ultimo salvataggio affidato alla controllata pubblica delle Poste, la società guidata da James Hogan è pronta ad entrare in Alitalia, ma solo passando all'incasso. 

1. Un'altra mannaia su Alitalia: possibili oltre 3 mila licenziamenti

  • I marchi delle due compagnie di bandiera (Ansa).
Il nome di Etihad come possibile socio di Alitalia è circolato più volte. Ma la compagnia degli Emirati all'ultimo si era sempre tirata indietro, fino alla considerata cruciale mediazione di Luca Cordero di Montezemolo.
Da bravi commercianti gli arabi sono arrivati al momento giusto. Potrebbero comprare la compagnia italiana con la promessa di investire 500 milioni, ma guadagnando una flotta di 130 aerei dell'età media di sette anni, quando la loro attualmente si ferma a 89 con cinque anni di media. Alitalia si porta in dote anche 105 destinazioni e 186 rotte, contro rispettivamente le 86 (diventeranno 94) e le 103 di Etihad e 23,9 milioni di passeggeri contro 12 milioni.
Le cifre insomma sono tutte positive per gli imprenditori del Golfo. Con l'eccezione del fatturato e del numero di dipendenti, finiti non a caso al centro delle trattative.
4,8 MILIONI DI FATTURATO CONTRO 2,7. Nel 2013, infatti, la società araba ha incassato 4,8 milioni di euro, superando di oltre il 25% il risultato di Alitalia ferma ai 2,7 milioni registrati nei primi nove mesi dell'anno. E ha chiuso il primo trimestre del 2014 con ricavi in crescita del 27% a 1,4 miliardi di dollari e un traffico passeggeri pari a 3,2 milioni (da 2,8 milioni).
Per mantenere alto il fatturato Etihad punta a tagliare il numero di dipendenti. Alitalia, con flotta e rotte maggiori, ne conta 14 mila, la compagnia degli Emirati 10 mila. Secondo le indiscrezioni i tagli potrebbero riguardare oltre 3 mila dipendenti. Da aggiungere ai 7 mila cassintegrati e lavoratori messi in mobilità a partire dal 2008.
LE COLPE DEL GOVERNO. Il nodo è al centro di trattative tra governo, società e sindacati. Di certo, un'altra mannaia è pronta ad abbattersi sulla compagnia, mentre la parte buona di Alitalia rischia di essere venduta a poco prezzo. Del resto c'è poco da stupirsi, visto che il primo a svenderla, svalutandone gli asset strategici, è stato proprio il governo italiano quando all'offerta di AirFrance di circa 3 miliardi complessivi preferì l'investimento di 847 milioni della cordata Cai.

2. La svalutazione della compagnia di bandiera nel passaggio a Cai

  • I velivoli di Alitalia e Etihad (Ansa).
Il salvataggio di Alitalia fu il biglietto da visita del quarto governo Berlusconi, insediatosi nel maggio del 2008.
Dal 2006 l'esecutivo di Romano Prodi aveva lanciato l'allarme sui conti della compagnia di bandiera, pianificandone la vendita. Dopo mesi di trattative, a marzo 2008, i francesi di AirFrance-Klm misero sul piatto una proposta da 3 miliardi di euro complessivi, tra acquisto da 1,1 miliardi di euro e commesse per sette anni alla Fintecna che secondo l'intesa avrebbe assorbito 5 mila dipendenti del reparto manutenzione.
Ma le elezioni fecero saltare i negoziati.
UNA LOW COST PAGATA OLTRE 1 MILIARDO. Il leader del Pdl, da poco divenuto premier, si oppose alla vendita ai francesi in nome dell'italianità e chiamò al capezzale di Alitalia la cordata dei 'capitani coraggiosi', 22 soci pronti a entrare con pochi milioni nel capitale di una nuova compagnia di bandiera, la Cai (Compagnia aerea italiana) ripulita dai debiti. E pronta da una parte a comprare Alitalia a un prezzo minore al suo valore di mercato, dall'altra ad aprire le porte alla AirOne di Carlo Toto, azzoppata da 600 milioni di debiti e di cui si impegnava a mantenere i 2.500 dipendenti al prezzo di oltre 1 miliardo di euro: una compagnia low cost per niente low cost.

3. Molti soci, pochi capitali

  • L'attuale azionariato di Alitalia-Cai (dal sito di Alitalia).
Tra coloro che risposero alla chiamata del governo, ci sono attori di primo piano del capitalismo italiano, salotti buoni e meno buoni. L'operazione, fu orchestrata da Banca Intesa, istituto di sistema per eccellenza, allora guidata da Passera, pronto di lì a poco a divenire ministro, e ancora oggi azionista di maggioranza della compagnia con il 20,59%. Appena in seconda fila Unicredit, oggi al 12,9% del capitale.
Mentre sul fronte delle imprese i protagonisti furono Roberto Colannino, presidente di Cai Alitalia e di Piaggio, già protagonista della scalata di Telecom e oggi detentore del 10,19% della compagnia aerea tramite la finanziaria Immsi. E i Benetton, interessati alla partita in quanto controllori dell'aeroporto di Fiumicino e detentori tramite la finanziaria Atlantia di una quota del 7,44% di Alitalia.
LA FINE DI RIVA, LIGRESTI E CALTAGIRONE. Della partita furono anche Emilio Riva, i Ligresti e Francesco Bellavista Caltagirone, finiti rispettivamente sotto processo per associazione a deliquere, agli arresti per agiotaggio e falso in bilancio e agli arresti per frode fiscale. E con una quota simbolica, dello 0,75%, volle partecipare al progetto Fenice anche Emma Marcegaglia allora presidente di Confindustria e oggi presidente Eni.
Alla fine il perno dell'operazione erano le banche, ma gli imprenditori si mostravano disponibili nei confronti del governo appena insediato. E a conti fatti l'italianità non fu nemmeno tanto protetta, i francesi infatti entrarono in Cai con una quota del 25% e ringraziarono: «Merci Berlusconi» titolò in una celebre copertina il quotidiano economico d'Oltralpe Les Echos.

4. La ristrutturazione del debito da 400 milioni di euro

  • I bilanci in rosso della nuova Alitalia (Ansa centimetri).
Il debito di Alitalia invece veniva accollato allo Stato, pagato, in nome dell'italianità, dai cittadini italiani. Una bella beffa. Il parlamento dovette sborsare subito 800 milioni, ma la spesa nel primo anno di Cai tra pagamento debiti e ammortizzatori sociali è lievitata fino a 3,3 miliardi. E non è più finita. Perché la società guidata da Colaninno ha accumulato rossi su rossi, come nemmeno durante la gestione pubblica: 327 milioni nel 2009, 168 nel 2010, 69 nel 2011 e ancora 280 milioni nel 2012.
A ottobre di quell'anno i soci Cai erano già pronti a una nuova ricapitalizzazione da 30 milioni e a un piano di riorganizzazione, ovviamente basato su nuovi tagli e 690 esuberi. A gennaio 2013, scadde la clausola che prevedeva il divieto di vendita delle azioni Cai e in men che non si dica l'opzione di far aumentare la quota di AirFrance tornò sul piatto.
NUOVA LINFA. Alla compagnia serviva un nuovo socio, pronto a versare almeno 200 milioni. Nessuno, come è noto, rispose alla chiamata. La stessa Etihad che oggi negozia la migliore offerta col governo allora si tirò indietro: «Nessuna trattativa su Alitalia», spiegava a febbraio 2013 l'amministratore delegato James Hogan. Finì con i soci costretti ad emettere un'obbligazione e con una ricapitalizzazione da 95 milioni di euro (nei piani doveva essere almeno di 150). Nuova linfa finita subito, secondo documenti riservati pubblicati sulla stampa, nelle tasche delle banche creditrici, in primis Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Popolare di Sondrio, esposte fino ad allora per 377 milioni di euro, e sempre più innervosite dalla situazione di bilancio della compagnia.
L'ENTRATA DI POSTE ITALIANE. Alla fine del 2013, poi, AirFrance si rifiutò di partecipare a una nuova ipotetica ricapitalizzazione da 300 milioni di euro e allora intervenne Poste italiane, controllata dal ministero del Tesoro, che entrò nel capitale di Cai con 75 milioni di euro.
Facile capire perché Etihad, che oggi promette di accollarsi il debito, può anche permettersi di chiederne la ristrutturazione per 400 milioni su circa 1 miliardo.
Nel frattempo i pochi che hanno intascato qualcosa dal progetto Fenice sono stati commissari e manager che si sono avvicendati al timone della compagnia, provenienti per lo più dall'universo Telecom. Solo Andrea Ragnetti, chiamato a guidare Alitalia a febbraio 2012 e uscito di scena appena 14 mesi dopo ad aprile 2013, ha intascato una liquidazione da 1 milione di euro. 

5. Si riapre la questione Malpensa, mentre l'Ue teme l'«arabizzazione» di Alitalia

  • Le possibili conseguenze dell'entrata di Etihad in Cai (Ansa centimetri).
In tutto questo la compagnia aerea non ha risolto il problema di fondo: quello della strategia industriale. Mentre si riapre l'eterna questione di Malpensa.
Nel suo breve incarico, l'amministratore delegato Ragnetti ha avuto almeno il merito di rilanciare le tratte a medio e lungo raggio. Prima di allora la compagnia, forte dell'esclusiva tutta ai danni del consumatore sulla linea Milano-Roma, era rimasta un ibrido e incapace di far fronte alla concorrenza delle low cost e di approntare un vero piano di sviluppo. «Nessun investimento, tagli e esternalizzazione dei servizi», avevano sintetizzato la gestione i sindacalisti della Filt Cgil.
SVILUPPO DELLE ROTTE INTERNAZIONALI. Oggi, l'imminente matrimonio con Etihad confermerebbe la linea di investimento sulle tratte internazionali. Ma le polemiche mai sopite sulla concorrenza tra l'aereoporto lombardo e Fiumicino sono tornate in superficie come un fiume carsico. Nel 2008 la scelta di AirFrance come partner strategico al posto di Lufthansa era stata un segnale chiaro: Alitalia scommetteva su Roma e lasciava in secondo piano Milano, dove si era accasata la compagnia tedesca. Adesso si ripropone la scelta del partner e di una riorganizzazione e lo schema si ripete.
IL TAR STOPPA EMIRATES. Il 10 aprile, la compagnia Emirates si è vista annullare dal Tar per irregolarità l'autorizzazione a collegare direttamente Malpensa e New York. La sentenza è stata sospesa in attesa dell'udienza del 6 maggio del Consiglio di Stato. E intanto la sua sorella Etihad punta a Sud, chiedendo il collegamento ad alta velocità su Fiumicino, un progetto già allo studio dell'esecutivo e dell'amministrazione comunale di Ignazio Marino.
LA CONCORRENZA CON LINATE. Inoltre, Etihad potrebbe puntare su Linate e il governatore lombardo Roberto Maroni ha già gridato alla distruzione di Malpensa e minacciato di sospendere l'acquisto delle quote di Sea, la società che gestisce gli scali milanesi, da parte della Regione. E intanto a mettere i bastoni fra le ruote degli aerei di Alitalia ci si mette anche l'Europa. Secondo un regolamento del 2008, infatti, per avere la licenza europea e volare sulle tratte interne all'Unione una compagnia aerea deve essere in mano almeno al 50% di una società Ue che ne detenga l'effettivo controllo e ne decida quindi le linee di sviluppo industriale. A Bruxelles, insomma, vogliono essere certi che l'Alitalia che verrà parli più italiano che arabo. E visto la strategia dimostrata dai patrioti italiani, il sospetto è lecito.
Mercoledì, 16 Aprile 2014

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