sabato 4 gennaio 2014

Come deve crescere questo paese se si foraggiano sempre i proprietari di rendite parassitarie.

Fisco più aspro per il 95% delle imprese.
Confindustria: "Quelle italiane le più tartassate"

Secondo la Cgia di Mestre l'incidenza di tasse e imposte si colloca a un livello tra 53 e il 63%, con un aggravio tra 270 e 1000 euro nel corso del 2013 per le imprese sotto dieci addetti. Gli imprenditori: un'impresa-tipo passa 269 ore l'anno per gli adempimenti burocratici, la competitività è affossata

MILANO - L'inasprimento del Fisco ha "colpito" il 95% delle aziende presenti in Italia, portando la pressione fiscale su queste imprese a oscillare tra il 53 e il 63%, a un livello mai raggiunto in passato. Lo rileva la Cgia di Mestre, che tira la volata all'ennesimo grido d'allarme di Confindustria: "Le imprese italiane hanno il primato negativo del prelievo più alto del Fisco tra i Paesi avanzati".

Per le microimprese, spiega l'Associazione veneta, si è appena concluso un anno caratterizzato dall'ennesimo aumento delle tasse. Rispetto al 2012, le attività fino ai 10 addetti hanno subito un aggravio che va dai 270 ai 1.000 euro. Importi non particolarmente pesanti, che tuttavia si sono aggiunti ad un carico fiscale complessivo che per le attività di questa dimensione si attesta, secondo gli Artigiani di Mestre, attorno a un dato medio che oscilla tra il 53 e il 63%.

A questo quadro fanno eco i dati di viale dell'Astronomia. Secondo il Centro studi di Confindustria, nel 2012 il complesso delle imposte pagate dalle imprese italiane è il 16esimo più elevato al mondo, pari al 65,8% degli utili, e soprattutto è il più elevato tra i più importanti Paesi avanzati, seguito dalla Francia (64,7%) e dalla Spagna (58,6%) e a distanza dalla Germania (49,4%). Si tratta del cosiddetto total tax rate quantificato dalla Banca mondiale, l'ammontare complessivo delle imposte pagate da imprese aventi caratteristiche standard. Nel calcolo sono incluse le imposte, locali e statali,
su profitti, immobili, autoveicoli e carburanti, tenendo conto di deduzioni e detrazioni e i diversi contributi sociali versati; mentre sono escluse le imposte sui consumi e quelle raccolte per conto delle autorità fiscali in qualità di sostituto d'imposta.

Commento. La competitività italiana
di CARLO CLERICETTI
Ma gli industriali non puntano il dito solo contro la pressione fiscale. Ad complicare la vita degli imprenditori c'è anche l'elevato numero dei pagamenti che un'impresa-tipo in Italia deve effettuare in un anno per assolvere agli obblighi fiscali e contributivi: 15, il più elevato tra i principali Paesi avanzati. "Per preparare i documenti necessari ed eseguire materialmente i pagamenti delle imposte sul reddito d'impresa, dei contributi sociali e dell'Iva", spiegano dal Centro studi, "occorrono 269 ore l'anno", più del doppio del tempo richiesto nel Regno Unito (110), in Francia (132) e inferiore solo a quello necessario in Giappone (330) e Portogallo (275).

"In Italia - aggiunge il Csc - non sono soltanto l'evasione e l'alta tassazione a frenare la competitività" ma "queste si associano a un'accentuata incertezza normativa che rende difficile assolvere gli obblighi fiscali e contributivi". La complessità normativa - ricorda Confindustria - è riconducibile all'eccessivo numero di regole che spesso sono confuse e contraddittorie. "Inoltre, le norme vengono cambiate frequentemente e spesso applicate retroattivamente" e ciò, evidenzia lo studio "rende particolarmente onerosi gli adempimenti. Perciò - è la conclusione del Centro Studi - "occorre intervenire urgentemente per semplificare la normativa e alleggerire il carico di adempimenti, che si aggiunge a quello della pressione fiscale nel penalizzare la competitività delle imprese che operano in Italia".
(04 gennaio 2014)
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