martedì 25 novembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Elezioni regionali: il flop dei Cinque Stelle e l’autocritica che manca

Pubblicato il 25 novembre 2014 da Antonio Folchetti 
Le elezioni regionali dal punto di vista del MoVimento Cinque Stelle.
Tutto sommato sul fronte dell’elezione dei presidenti non ci sono state sorprese. Come da copione, Mario Oliverio ha trionfato in Calabria, superando il 60%. In Emilia Romagna una vittoria non molto convincente per Stefano Bonaccini, il quale non raggiunge il 50% dei voti che si era prefissato, risultando sostanzialmente legittimato da meno di un elettore su cinque.
Altrettanto prevedibile, come in ogni tornata elettorale, l’opinabilità di ogni risultato. Non ci sono mai sconfitti. E se il Pd, nonostante il notevole calo di consensi in termini assoluti (quasi settecentomila voti in meno rispetto alle ultime europee in Emilia Romagna, circa ottantamila in Calabria), può comunque mettere in secondo piano il dato dell’astensionismo (oscurato – come ha fatto Matteo Renzi – dall’elezione a governatore di due suoi uomini) gli altri principali partiti dovrebbero avere ben poco entusiasmo da simulare, se si esclude la Lega di Matteo Salvini, che in Emilia sfiora il 20%, raddoppiando il consenso complessivo di Forza Italia. Un risultato che conferma il trend di forte incremento per il Carroccio evidenziato dai sondaggi delle ultime settimane
Il crollo, è evidente, c’è anche per il Movimento Cinque Stelle. Alla débacle delle scorse europee hanno fatto seguito, domenica, altre due prestazioni decisamente inferiori alle (già magre) aspettative. In Emilia Romagna, una delle prime regioni dove conquistarono seggi (nel 2010 con Giovanni Favia candidato presidente, poi epurato), i grillini si fermano a poco più del 13%, eleggendo comunque cinque consiglieri. In Calabria, invece, è crisi nera. Pur non essendo mai stata una roccaforte del Movimento, il 4,9% ottenuto si attesta nettamente al di sotto del quorumper entrare in Consiglio regionale, un 8% in effetti spropositato per una regione, e in parte lesivo della rappresentanza politica.
beppe grillo Cinque Stelle
Obiettivamente, lo tsunami giallo sembra essersi arrestato. E siccome non si tratta di un episodico incidente di percorso ma di una tendenziale decrescita di consenso costante da mesi, i campanelli d’allarme e i malumori iniziano a farsi sempre più manifesti. Come già detto, in Calabriail verbo grillino non ha mai attecchito. Per questo le dichiarazioni si sono limitate ad una laconica accettazione del risultato da parte dello staff del candidato presidente Cantelmi, sconfitto perché “siamo stati accomunati ai partiti”. Con buona pace di Paola Taverna, che giorni fa a Tor Sapienza si sbracciava di fronte ai cittadini affermando che “il Movimento non è la politica”. “E che cos’è, la Caritas?”, ha prontamente ribattuto un residente.
I mal di pancia più evidenti, però, arrivano dall’Emilia Romagna, un tempo terra di successi per i pentastellati, che qui ottennero la storica conquista del primo capoluogo di provincia in assoluto. E proprio da Parma arrivano le prime recriminazioni.
Il sindaco Federico Pizzarotti, considerato ormai da tempo un “eretico” rispetto alla diarchia  Grillo-Casaleggio, adduce in parte la sconfitta a problemi organizzativi e logistici, dichiarando di aver saputo solo all’ultimo dell’arrivo a Bologna di Grillo, fatto parlare in una sala di 150 posti quasi senza pubblicizzare l’evento “Con il suo arrivo a sorpresa – ha detto il sindaco al Messaggero –  ha avuto l’effetto di convincere chi era già convinto”. In un’intervista al Corriere della Sera il sindaco di Parma chiede chiarimenti al leader: “Beppe Grillo dice che l’ astensionismo non ha colpito il Movimento? Dire che abbiamo preso gli stessi voti del 2010 o poco più vuole dire accontentarsi. Nel panorama complessivo, con tutte le attenuanti del caso, è evidente che siamo scesi al 13%: l’astensionismo ha penalizzato anche noi. È il caso di interrogarsi in modo serio una volta per tutte. Dopo le Europee avevamo detto di fare autocritica, ma poi non è stato così. Ora serve un percorso condiviso”.
Sempre da Parma, arriva un altro pesante affondo, per bocca di Marco Bosi, capogruppo M5S al Comune, che mette sul banco degli imputati proprio Beppe Grillo: “Come temevo di autocritica neanche l’ombra. E chi se ne importa se 6 mesi fa ci votavano 277.000 persone in più. Avanti così”.
Molto più dura la senatrice Serenella Fucsia che ne ha per tutti: su facebook parla di “arrampicata sugli specchi”, del “negazionismo” di “cerchi magici stellari”. E attacca lo staff comunicazione con tanto di foto segnaletiche, invitando ad inviare su un’isola il “Dott. Ing. Capo della Comunicazione M5S Rocco Casalino”.
pizzarotti sindaco m5s
Il segnale più forte, però, arriva dalla costa adriatica. Nella mattinata di ieri, infatti, il consigliere comunale di Rimini Luigi Camporesi si è dimesso per protestare contro la mancanza di autocritica da parte dei vertici, che a suo dire non hanno approfittato delle dimissioni anticipate della giunta Errani per poter intercettare il consenso in uscita dai delusi del Pd e non solo.
Il deputato M5S Walter Rizzetto arriva addirittura a sfidare Grillo.”Caro Beppe, vorrei capire chi scrive i post sul Blog e come mai non si firma, quasi mai. Dai feedback ricevuti mi pare evidente che il problema ora sia più tuo che mio… Fare sana autocritica è sintomo di maturità, non solo politica, e non sono l’unico a pensarlo. Se ritieni che Rizzetto parla a nome suo e non rappresenta il MoVimento è altrettanto evidente che io e te abbiamo un problema. Il dato elettorale dovrebbe far riflettere te: io non mollo e tu?”. Immediata arriva la scomunica via blog di Rizzetto.
E Beppe Grillo, di fronte a tutto ciò, cosa ha da dire? Instancabile, il comico genovese sembra voler negare l’evidenza, affidando come al solito la sua versione al seguitissimo blog. “In Emilia Romagna – si legge nel post – ha vinto l’astensionismo, il rigetto del cittadino per la politica (…) Ora c’è il solito gioco di chi ha vinto e di chi ha perso. Si può dire tranquillamente che con questo livello di astensionismo ha perso la democrazia. I cittadini non hanno più fiducia nei partiti, tanto, comunque fanno quello che vogliono”. Grillo ha poi tergiversato, affermando che l’astensionismo non colpisce il M5S, il quale rispetto alle scorse regionali ha più che raddoppiato percentuale e numero degli eletti in Emilia Romagna.
Tuttavia, viene da domandare spontaneamente come mai non vi sia stata una comparazione con i dati delle europee e delle politiche, dove il M5S oscillava tra il 19% e il 24%. Forse perché il confronto, in effetti, risulterebbe troppo impietoso? Nessun accenno, poi, alla Calabria, dove il flop è duplice: meno del 5% e zero eletti. Postulare un’assenza di correlazione fra il picco di astensionismo e il risultato del Movimento appare un po’ azzardato, soprattutto se si tiene conto che una buona fetta del consenso ottenuto nell’exploit del 2013 fu sottratto al partito del non voto. Sarebbe più corretto ammettere, invece, che il calo di voti sia stato determinato in parte dalla delusione di un elettorato (illusosi forse un po’ troppo) che con molta probabilità non ritiene l’esperienza politica grillina totalmente fallimentare, ma che per ora sembra essere tornato a riempire le fila degli astensionisti. Si tratta, sostanzialmente, di recuperare questi voti in uscita. In effetti, diversi parlamentari, tra i quali Alessandro Di Battista, hanno sottolineato la necessità di ripartire dalla piazza, per riavvicinarsi concretamente alle istanze popolari.
cinque stelle emilia romagna elezioni regionali emilia romagna calabria
In ultima analisi, è opportuno ricordare un altro aspetto. In casi come questo, si discute spesso sul fatto se consultazioni elettorali di tal genere possano costituire un test per il governo. Trattandosi di sole due polities, l’influenza delle questioni nazionali ha assunto sì una rilevanza, ma fino ad un dato livello. Nelle decisioni di voto per elezioni di second order, infatti, agiscono fattori e motivazioni differenti rispetto a quanto avviene quando si vota per elezioni politiche: l’interesse verso le concrete proposte di un progetto politico su determinati ambiti, la volontà di riconfermare un consigliere in carica che si ritiene aver svolto un buon lavoro, la conoscenza personale di uno o più candidati, l’intenzione di far eleggere un candidato della propria città o del proprio paese, a prescindere dall’affinità politica e ideologica. Ecco perché l’interpretazione di Grillo appare semplicistica e limitata. Non è un caso che ad insistere sulla questione dell’autocritica siano, per la maggior parte, degli amministratori locali, ovvero soggetti in diretto contatto con le problematiche comuni e quotidiane dei cittadini. Una minima dose di autocritica non guasterebbe, poiché oltre a ridimensionare un leader che tenta a tutti i costi di apparire infallibile (strategia, ad oggi, rivelatasi dannosa), aprirebbe finalmente dei varchi di dialogo interno, stemperando un clima teso che impedisce al partito di esprimersi adeguatamente sui temi concreti. Grillo, però, prosegue dritto per la sua strada. E c’è da scommettere che continuerà a farlo finché qualcuno, magari a lui vicino, non costringerà a fargli “cambiare verso”.

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