Regionali, Renzi: “Male l’astensione, due a zero per noi”
Il Premier pronto alla partita con la sinistra interna: "Diranno che l'affluenza è responsabilità mia, ma io vado avanti. I partiti che appoggiano lo sciopero generale hanno percentuali da prefisso telefonico".
Regionali Emilia e Campania, Matteo Renzi a risultati ancora non definitivi, esce su Twitter capitalizzando quel che di buono c’è nel voto regionale che ha eletto presidenti Stefano Bonaccini e Mario Oliveiro: “Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla destra in 9 mesi”. Come a dire che è vero che il dato dell’affluenza e dell’astensione, definito “disarmante” da Giuseppe Civati, deve avere il giusto peso.
RENZI, LE RAGIONI DELL’ASTENSIONE - “I partiti che hanno appoggiato lo sciopero generale hanno percentuali da prefisso telefonico”, aggiunge il presidente del Consiglio dei Ministri. Ed è vero, “il dato dell’affluenza preoccupa”, avrebbe detto Renzi secondo Maria Teresa Meli sul Corriere, ma questo dato deriva “dalla tattica che la minoranza Pd ha messo in atto per sfiancare il premier”. In Emilia, sopratutto, la Fiom-Cgil è molto forte e il suo segretario, Bruno Papignani, ha esplicitamente chiamato al boicottaggio del candidato Democrat: “Fate una sorpresa a Renzi, non votate Bonaccini”; inoltre è sicuro che “la minoranza interna in Emilia ha preferito non darsi troppo da fare”. Infine non si deve dimenticare che “l’inchiesta sulle spese della Regione ha pesato davvero”, secondo lo stesso Bonaccini, e ultimo dato da considerare sarebbe la percezione netta che il candidato del Pd avrebbe in ogni caso vinto.
I GUAI DEL PREMIER - “Ovunque andassi, mi chiamavano da giorni ‘Presidente’. Certo non ha aiutato”, dice Bonaccini su Repubblica. Non va sottovalutata la differenza fra le due regioni: in Calabria ed Emilia, a situazione generale molto simile (giunta e Regione travolte dalle inchieste, voto in una sola giornata, centrodestra che si presenta diviso), scrive Nando Pagnoncelli sul Corriere che “l’Emilia si chiama fuori e la Calabria tiene, nel cuore rosso del Paese una richiesta di cambiamento non trova sbocco, nel profondo Sud una riaggregazione intorno ad una figura che interpreta la storia classica della sinistra”. Ci sarebbe anche, dunque, il fatto che Oliverio, rispetto a Bonaccini, era percepito come “meno renziano”. Sia come sia, secondo Repubblica, “se dopo un mese di scontri in piazza, accuse sulla delega lavoro, contestazioni in fabbrica organizzate da Landini e i raid di Salvini anti-immigrati, siamo riusciti a vincere lo stesso, va bene”, sarebbe il Renzi-pensiero: “Va molto bene”.
INIZIA LA DISCESA? - La strada di Renzi appare ora abbastanza segnata. Secondo gli analisti questo voto è “un avviso a Renzi” – così apre la Stampa – e Stefano Folli su Repubblica afferma che ora “il futuro del fenomeno politico intestato al presidente del Consiglio sarà deciso da un unico, determinante fattore: la capacità del giovane leader di conquistare altri voti (parecchi voti) in settori nuovi della società, così da compensare quelli perduti nella base sociale di riferimento”. Secondo l’opinionista dunque il divorzio tra il Pd e il suo tradizionale elettorato sarebbe sostanzialmente definitivo, e per Gad Lerner“ricorderemo le regionali dell’Emilia Romagna come il punto di non ritorno di una politica ritornata arrogante col trucco del falso rinnovamento renziano”: da Bologna, dice l’opinionista, potrebbe iniziare “la parabola discendente del Premier. Si vedrà: di certo ora, nel breve periodo, le paure di Renzi si concentrano sul rapporto con le minoranze interne, certamente ringalluzzite dal risultato delle regionali.
LE MINORANZE - Giuseppe Civati ha già definito “disarmante” il dato dell’affluenza, e critica un’impostazione politica che punta solo alla governabilità e non alla rappresentanza. Romano Prodi ha definito il dato dell’affluenza “preoccupante” e il cuperliano Andrea de Maria dice che “la sofferenza è a sinistra”. Il premier si aspetta “una battaglia di trincea da parte della minoranza Pd più intransigente, quella di Fassina, Bindi, Civati e Cuperlo. Ma Renzi è convinto di essersi coperto le spalle con un accordo di ferro stretto con Area Riformista e Giovani Turchi”. Un’intesa di cui sarebbe parte anche, secondo Repubblica, Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro e riferimento sindacale in Parlamento. Il cammino del Jobs Act sembra al sicuro e, dice Renzi, si va avanti a passo di carica; regionali o non regionali.
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