È sera. Il giorno dei lunghi coltelli si conclude con una riunione plenaria dei senatori del Movimento 5 stelle al terzo piano di Palazzo Madama. Non sono tutti. Perché, al di là della strada, una dozzina di loro colleghi hanno disertato l'incontro, e fanno insieme il punto della situazione. Nello stesso tempo Federico D'Incà, Laura Castelli, Roberta Lombardi, insieme al responsabile della comunicazione della Camera Nicola Biondo, si infilano nell'ufficio del capogruppo Maurizio Santangelo. "Volevamo vedere che cosa stava succedendo", spiegheranno evasivi. A qualche centinaio di metri di distanza, un gruppo di deputati si riunisce, parla, ragiona, valuta se abbandonare o meno il Movimento. Nel mezzo, una girandola di telefonate con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, che monitorano la situazione.
Riavvolgere il nastro della giornata è complicato. Qualche minuto prima era arrivata la notizia ferale: Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Orellana sono fuori dal gruppo parlamentare. Lo hanno deciso più di 29mila attivisti, contro i 13mila che sul blog hanno provato a difenderli. Il blog, appunto. Perché se la procedura di espulsione per i quattro malcapitati aveva fatto salire il livello della tensione, è stato il post con il quale Beppe Grillo ha annunciato il voto a far saltare il tappo.
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Le accuse di "aver cambiato idea", di essere una zavorra in vista delle elezioni europee ("Beppe ne è ossessionato", racconta un fedelissimo) ma soprattutto quella di "volersi tenere tutti i 20mila euro" hanno provocato un coro di indignazione. Monica Casaletto, Laura Bignami, Alessandra Bencini, Maurizio Romani e Cristina De Pietro (quest'ultima solo dopo aver consultato i meetup della sua zona) si sentono, si parlano e maturano una decisione: "In una cosa come quella che è diventata il Movimento non ci stiamo".
Così preparano un testo, da spedire all'attenzione del presidente Pietro Grasso: "In seguito agli ultimi avvenimenti di cui sono stato spettatore attonito e le posizioni prese dal mio gruppo parlamentare desidero comunicare la volontà di dimettermi dalla carica di senatore della repubblica". Fine della storia.
Dieci senatori, il 20% del gruppo stellato a Palazzo Madama, lascia un sogno sospinto in Parlamento da 9 milioni di italiani. Anche i deputati non stanno con le mani in mano, anche se alla Camera gli animi sono più guardinghi. A sfidare il mare controvento è Alessio Tacconi: "Esco dal gruppo dei 5 Stelle e con me ci sono altri cinque deputati. Si è dimostrato che non e' possibile andare contro il parere di Grillo e Casaleggio. Nel movimento comandano solo loro, di fatto sono il braccio e la mente".
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Raccontano che sia stato il braccio (Grillo) a spingere affinché i quattro fossero allontanati in fretta, convincendo i senatori scettici della bontà di questa linea con una serie di sms, mentre la mente (Casaleggio) fosse inizialmente molto più cauto.
In tarda mattinata un ultimo tentativo di mediazione. Due ore e mezza di brainstorming, lacrime (quelle di Maurizio Buccarella, della Bencini, di Daniela Donno), urla, accuse (Enrico Cappelletti: "Se chiediamo le dimissioni per questo allora cosa dovremmo dire di chi ha assunto parenti e amici?") e strenue difese (Serenella Fuksia). Un faticoso lavorio di ricucitura strappato da Santangelo, che ha sbottato rivolto a Lorenzo Battista: "Basta, è meglio che te ne vai".
Detto Fatto.I quattro espulsi insieme a Bignami, Bencini, De Pietro, Pepe, Vacciano, Romani e Fedeli lasciano la riunione e puntano l'indice contro il capogruppo: "Il peggiore che abbiamo mai avuto finora". Qualcuno legge intenzioni chiare: "Aveva il mandato di farci rompere, di esasperarci e farci sbattere la porta, ci è riuscito". "Sono degli stronzi, peggio dei fascisti. Meglio che me ne vado - gridava una senatrice furibonda - prima che li prendo a borsettate". Anche tra gli ortodossi le perplessità sono tante: "Non mi si venga a dire che sono vittime sacrificali, ma certo la gestione di questa vicenda non è stata ottimale", spiegava Alberto Airola.
Mario Giarrusso: "È lui che mi risulta abbia presentato la mozione di sfiducia contro i ministri Poletti e Guidi. Una mozione con tutte le nostre firme in calce, ma che io e molti miei colleghi non abbiamo mai visto né sottoscritto. Per questo domani presenterò denuncia penale contro il responsabile". Nel mazzo spunta anche la selezione di due candidati stellati alla commissione Parlamentare per le ecomafie. "Una votazione - raccontano - che Santangelo ha fatto rifare con pretesti per quattro volte perché risultavano sempre eletti Pepe e Romani, due nomi sgraditi agli ortodossi".
La sottile linea rossa è stata superata. Così gli uffici del presidente Pietro Grasso sono stati contattati per avere delucidazioni su come formalizzare le dimissioni, è solo questione di tempo. Poi bisognerà iniziare a pensare a domani. Per tutto il giorno si sono rincorse le telefonate, i contatti, gli abboccamenti. Laura Bignami ha parlato a lungo con il ministro Gian Luca Galletti, un suo collega spiega: "Mi ha chiamato un sottosegretario in pectore, voleva sapere come stavo e farmi un in bocca al lupo". Raccontano che il telefono di Pippo Civati sia bollente. Quattro espulsi, cinque colleghi che lasciano, altri quattro già fuoriusciti, e si arriva a tredici. Con i sei civatiani, si arriverebbe a formare il quinto gruppo parlamentare a Palazzo Madama.
I dimissionari sono convinti: "Noi ce ne andremo da qui, torneremo alle nostre vite". Ma sarà l'aula a dover ratificarle. E non è detto che nel lasso di tempo che trascorrerà le cose non possano cambiare. A giudicare dalla valanga di messaggi di solidarietà arrivata dai colleghi del Pd, la storia del giorno in cui esplose il M5s potrebbe avere un sequel.
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