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sabato 27 aprile 2013
Non solo i porti del nord. Cosa Nostra aveva nelle mani Gioia Tauro. Adesso ha messo le mani sui porti del nord ma anche in alcuni attracchi europei. E i grllini parlano ancora di casta. I soldi delle mafie sono un milione di volte più elevati di quelli della casta. Ma come fanno a capirlo sono infatuati ed incapaci di concepire un progetto politico.
La “migrazione” è partita da Palermo
Appalti e cantieri, la mafia inquina i porti del Nord
Luca Rinaldi
Marghera, Monfalcone, La Spezia e Ancona. I prestanome. Le famiglie palermitane che vanno verso Nord
Porto Marghera (Flickr - fuzzy_galore)
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La famiglia Galatolo e i cantieri navali hanno sempre avuto ottimi rapporti. Mai ufficiali, perché i Galatolo sono tra le più importanti dinastie mafiose dell’Acquasanta di Palermo, ma continui e proficui, almeno dal secondo Dopoguerra. Gaetano Galatolo, detto “Tanu Alati”, già nei primi anni Cinquanta era noto per essere il maggiore fornitore di manodopera ai cantieri navali di Palermo. Nessuno dei dirigenti del porto però sapeva chi fosse, si diceva.
Eppure quel Gaetano Galatolo per la Polizia è già un osservato speciale, e il suo nome esce con prepotenza in una delle prime faide interne alla mafia siciliana, cioè lo scontro tra la “mafia dei cantieri”, rappresentata proprio da Galatolo, e la “mafia dei giardini”, che teneva sotto scacco i sistemi di irrigazione e il mercato ortofrutticolo di via Guglielmo il Buono e le concessioni per gli spazi del mercato stesso.
Tanu Alati viene ucciso nel 1955, ma la dinastia dei Galatolo continua a fare affari nella cantieristica navale, rimane fedele a Totò Riina, e nonostante gli arresti i capitali e i patrimoni dei padrini rimangono in circolazione e si trasferiscono anche nei porti del Nord Italia. Avvalendosi negli anni di insospettabili prestanome. Ultimo in ordine di tempo, venuto alla luce nelle scorse settimane dopo un’operazione della Direzione Investigativa Antimafia, sarebbe Giuseppe Corradengo, palermitano, originario proprio dell’Acquasanta e nome noto nel settore della cantieristica navale, riconosciuto come il “re delle coibentazioni". A lui la procura di Palermo contesta il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Corradengo, da vent’anni, ottiene diverse commesse sia nei cantieri navali di Palermo, sia nel resto d’Italia, su tutti Monfalcone, Marghera, Ancona e La Spezia. Una spartizione di lavori e appalti che sarebbe emersa in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Fontana, nipote prediletto dei Galatolo: «Alla fine degli anni ’90 – ha messo a verbale Fontana – quando le indagini si erano fatte più stringenti, i Fontana e i Galatolo decisero di spostare i loro interessi lontano dalla Sicilia». Così i lavori delle due famiglie sarebbero entrati anche «nei cantieri del Nord». Basti pensare, che in appena tre anni, dal 2003 al 2005, le società navali che fanno capo a Giuseppe Corradengo erano riuscite ad aggiudicarsi lavori per 7,3 milioni nei cantieri della Spezia, Marghera, Ancona e Riva Trigoso.
Così, ha spiegato il collaboratore di giustizia Angelo Fontana agli inquirenti. I Fontana si sarebbero affidati all’imprenditore Rosario Viola, mentre i Galatolo si sarebbero affidati proprio a Corradengo, grazie al suo pregresso rapporto con Vito Galatolo, figlio di Vincenzo, accusato di alcuni grandi delitti compiuti a Palermo come quelli del generale Dalla Chiesa, del giudice Rocco Chinnici e del capo della mobile Ninni Cassarà.
Una carriera fulminante quella di Corradengo, che da operaio dei Cantieri navali di Palermo si “trasforma” in imprenditore e dominus di imprese come “Nuova Navalcoibent” ed “Euro Coibenti” su cui sarebbero confluiti i capitali mafiosi. Tanto che l’indagine ha portato allo scoperto che interi settori delle lavorazioni navali erano gestiti in regime di quasi monopolio, da imprese che sarebbero riuscite a riciclare ingenti capitali di origine illecita. Un sistema che da Palermo si è poi propagato nei cantieri navali liguri e veneti.
Alcuni dei lavori fra i bacini di Marghera, Monfalcone, La Spezia e Ancona nelle mani delle imprese di Corradengo, e degli altri tre presunti prestanome coinvolti, Domenico Passarello, Vincenzo Procida e Rosario Viola, sono stati eseguiti anche per conto di Fincantieri. Fincantieri che alla notizia degli arresti ha tenuto subito a precisare che l’ente è parte lesa. Un sistema “classico” quello che sarebbe stato messo in atto per ottenere i lavori: oltre alle intimidazioni nei confronti dei concorrenti, «si davano bustarelle – afferma ancora il collaboratore di giustizia Fontana – di 10mila, 16mila euro per prendere lavori di 800mila, tutte in nero». Un filone d’indagine, quello che potrebbe configurare un sistema corruttivo diffuso, ancora coperto dal riserbo. Tredici anni fa a Palermo si chiuse un processo con numerose condanne riguardo gli stessi metodi. «Ora siamo alla seconda puntata» ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, commentando l’operazione della scorsa settimana che ha portato al sequestro delle tre aziende (due di Palermo, Eurocoibeti e Savemar, e una con sede a La Spezia, la Nuova Navalcoibent).
Eppure tra le imprese coinvolte nell’operazione dell’antimafia, la stessa Fincantieri e il porto di Marghera una spia d’allarme si era già accesa attorno al tema lavoro: Eurocoibenti, aggiudicataria degli appalti per la coibentazione in lana di vetro delle cabine delle navi, aveva lavorato nel porto fino a febbraio 2012, quando era stata messa in liquidazione. Dopo un anno di cassa integrazione straordinaria, i 106 dipendenti dell'azienda sono stati licenziati poco più di un mese fa. Ma già nel 2011 si contavano i primi esposti dei sindacati e le prime proteste dei lavoratori per alcuni appalti aggiudicati dalle imprese al massimo ribasso e conseguente scarsa osservanza delle leggi sulla sicurezza sul lavoro.
Un settore, quello della cantieristica navale, che ha sempre attirato su di sé le attenzioni delle cosche. Se infatti già negli anni Cinquanta i Galatolo erano noti dalle parti dei cantieri palermitani, gli affari di Cosa Nostra nei porti e nei cantieri navali italiani sono andati progressivamente espandendosi. «Se, dunque, l'interesse dell'associazione mafiosa per la cantieristica navale palermitana poteva essere considerato un dato acquisito – hanno scritto nella richiesta i pm Vittorio Teresi e Pierangelo Padova – la presente indagine, per converso, ha consentito di scandagliare, in concreto e forse per la prima volta, la proteiforme capacità dell'associazione medesima di estendere il proprio ambito di influenza ben al di là dei confini regionali siciliani e di infiltrarsi, in particolare grazie all'opera di soggetti in apparenza “puliti”, nella cantieristica navale di molte regioni del Centro-Nord Italia». Soggetti insospettabili e “puliti” che continuano a inquinare la vita economica del Paese.
@lucarinaldi
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/corradengo-cantieristica-navale#ixzz2ReyOXftb
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