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ROMA - La fine del bicameralismo perfetto, con il potere legislativo - e soprattutto quello di dare e negare la fiducia al governo - che si sposta alla Camera dei deputati. L'elezione indiretta dei nuovi senatori, che saranno solo 100 (non più 315) e saranno scelti dai consiglieri regionali. La conferma dell'immunità parlamentare insieme alla fine delle generose indennità da 14 mila euro che oggi incassano i senatori. Le corsie preferenziali per i disegni di legge del governo, ma anche per le proposte dell'opposizione. L'introduzione del referendum propositivo. La riscrittura delle competenze dello Stato e di quelle delle Regioni. L'abolizione delle Province e del Cnel. Il giudizio preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali. C'è tutto questo, e anche altro, nella riforma della Costituzione che esce dal Senato, una profonda riscrittura della Carta - 40 articoli, contro i 57 della riforma approvata dal centro-destra nel 2005 e poi bocciata con il referendum popolare - che non si limita a sterilizzare il potere di indirizzo politico di Palazzo Madama ma riscrive le regole-chiave del procedimento legislativo.

Renzi aveva messo in conto la prevedibile resistenza dei senatori ad approvare una riforma che elimina i 315 seggi su cui loro oggi sono seduti, eppure il disegno di legge del governo - difeso a Palazzo Madama dalla ministra Maria Elena Boschi - è arrivato al voto finale senza subire stravolgimenti. Due soli emendamenti sgraditi - con modifiche marginali - sono passati grazie al voto segreto, anche se in commissione il testo aveva subito un vistoso rimaneggiamento soprattutto per mano di Roberto Calderoli, che ha saputo sfruttare con furbizia la sua doppia veste di relatore di maggioranza e di manovratore dell'opposizione leghista per mantenere a Palazzo Madama un grappolo di poteri, l'ultimo dei quali è la competenza legislativa sul matrimonio e sul diritto alla salute.

SARANNO SOLO CENTO
Il voto del Senato è solo il primo passo di un complicato percorso che prevede due votazioni per ciascuno dei due rami del Parlamento e quasi certamente, alla fine, un referendum popolare confermativo. Dunque non è detto che la riforma resti così com'è, visto che sullo sfondo rimane un malumore diffuso - anche tra i banchi del Pd - per la scelta di sottrarre l'elezione dei senatori ai cittadini per darla ai consiglieri regionali, non proprio ai vertici della popolarità ("A questo punto sarebbe meglio abolirlo, il Senato" è stato in questi giorni il commento più ricorrente, nei corridoi di Palazzo Madama). Quella di oggi è in ogni caso una tappa fondamentale, per la riforma. Innanzitutto perché segna un punto di non ritorno nel superamento del bicameralismo perfetto, una particolarità tutta italiana che nel tempo si è rivelata un freno al processo legislativo. I nuovi senatori, come dicevamo, saranno solo 100 (95 eletti dalle Regioni tra consiglieri e sindaci più 5 senatori di nomina presidenziale) e - fatta eccezione per la prima volta - non saranno eletti tutti contemporaneamente ma in coincidenza del rinnovo dei Consigli regionali. Per loro non è più prevista l'indennità (che viene riservata ai soli deputati).

I RISPARMI
Quanto si risparmierà? Se si considera che oggi un senatore senza cariche particolari riceve ogni mese più di 14 mila euro - tra indennità, diaria e rimborsi forfettari per viaggi e assistenti - lo Stato eviterà una spesa di circa 50 milioni di euro. Altri risparmi saranno ottenuti unificando il personale di Camera e Senato e riorganizzando i servizi "secondo criteri di efficienza e razionalizzazione", come recita una delle disposizioni transitorie, anche se nessuno sa quantificare esattamente di quanto diminuirà il costo di Palazzo Madama (il cui bilancio oggi si avvicina al mezzo miliardo di euro).

I NUOVI POTERI
Dunque saranno solo in 100, e senza indennità. Ma per fare cosa? Il Senato non voterà più la fiducia al governo, e solo per alcune materie conserverà la funzione legislativa e i poteri di sindacato ispettivo. Potrà per esempio interrogare i ministri, verificare l'attuazione delle leggi, esprimere pareri sulle nomine governative e nominare commissioni d'inchiesta sulle autonomie territoriali, ma da Palazzo Madama dovranno passare solo le riforme della Costituzione, le leggi costituzionali, le leggi sui referendum popolari, le leggi elettorali degli enti locali, le ratifiche dei trattati internazionali e - grazie all'emendamento leghista approvato a scrutinio segreto - il diritto di famiglia, il matrimonio e il diritto alla salute. Tutte le altre leggi saranno di competenza della Camera dei deputati.

FINE DEL PING-PONG
Eppure il Senato conserverà un potere di intervento anche su quelle. Non come oggi, certo. Potrà esprimere proposte di modifica (su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti), ma in tempi strettissimi: gli emendamenti dovranno essere votati entro trenta giorni, dopodiché la legge tornerà alla Camera che si pronuncerà definitivamente (e potrà anche respingere le proposte di modifica). I senatori saranno chiamati a esprimersi anche sulle leggi di bilancio (molte le obiezioni bipartisan, su questo punto) ma dovranno votare le proposte di modifica entro 15 giorni: anche in questo caso però l'ultima parola spetterà alla Camera. Infine, se la maggioranza assoluta dei suoi membri sarà d'accordo, il Senato potrà chiedere alla Camera di esaminare un determinato disegno di legge, che dovrà essere messo ai voti entro sei mesi.

LA CORSIA PREFERENZIALE
Ma non finisce qui. Cambierà radicalmente il potere del governo nel procedimento legislativo. Sarà obbligato a rispettare norme più rigide per l'emissione dei decreti-legge, che dovranno recare "misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo", ma in compenso avrà il potere di chiedere che sui provvedimenti indicati come "essenziali per l'attuazione del programma di governo" la Camera si pronunci entro il termine tassativo di 60 giorni: alla scadenza del tempo, ogni provvedimento sarà posto in votazione "senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale".

LO STATO DECIDE
Nello stesso tempo, con la modifica del Titolo V, viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle Regioni. Mentre oggi vengono elencate tutte le materie su cui queste ultime possono legiferare, con la riforma è lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la Chiesa, difesa, moneta, sistema tributario, burocrazia, ordine pubblico, cittadinanza e stato civile, giustizia, diritti civili, salute, istruzione, previdenza, leggi elettorali locali, dogane, ambiente, beni culturali e paesaggistici, ordinamento delle professioni, energia, infrastrutture strategiche, porti e aeroporti).

LA PAROLA ALLA CORTE
Viene introdotto l'esame preventivo di costituzionalità. Le leggi che regolano l'elezione della Camera e del Senato possono essere sottoposte al giudizio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale (che deve pronunciarsi entro un mese) su richiesta di un terzo dei componenti di una Camera.

QUIRINALE
Cambiano anche le regole per l'elezione del presidente della Repubblica. L'attuale Costituzione impone il quorum dei due terzi fino al terzo scrutinio, oltre il quale è sufficiente la maggioranza assoluta. La nuova norma richiede invece il quorum più alto per primi quattro scrutini, poi lo fa scendere ai tre quinti nei successivi quattro, e solo alla nona votazione lo abbassa alla maggioranza assoluta dei "grandi elettori". L'emendamento per far partecipare gli europarlamentari all'elezione non è passato, in Senato, ma il governo si è impegnato a "individuare nel percorso parlamentare alla Camera una modalità di elezione del Presidente della Repubblica che ne rafforzi il ruolo di garanzia".