martedì 5 agosto 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Matteo Renzi alla prova dei conti pubblici: è iniziata la guerra col Tesoro. Stop della Ragioneria sui decreti

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Come nelle 'migliori' tradizioni di governo, anche per Matteo Renzi è arrivato il momento della 'guerra' con il Tesoro. Proprio ora che miracolosamente la riforma costituzionale procede spedita al Senato - anche se l'ostacolo immunità (che resta) si farà sentire - si inceppano i decreti sulla pubblica amministrazione e sulla competitività, primi provvedimenti economici del nuovo governo, dopo quello sugli 80 euro in busta paga. Da una parte, Palazzo Chigi e l'esigenza di redistribuire; dall'altra, il dicastero di via XX Settembre e l'esigenza di far quadrare i conti. Ma nell'epoca del governo Renzi lo scontro potrebbe essere molto più 'definitivo' rispetto al dissidio che, anni fa, mise l'uno contro l'altro l'allora premier Silvio Berlusconi e il suo ministro dell'Economia Giulio Tremonti. E tra l'altro è Renzi stesso a negare tensioni dirette con il titolare del Tesoro Pier Carlo Padoan ("Contrasti? Non me ne sono accorto...", dice il premier proprio oggi a Repubblica). Il braccio di ferro odierno tra il governo e il ministero di via XX Settembre colpisce al cuore il renzismo, di fatto ne mette alla prova la promessa di attuare una politica più espansiva in fatto di conti pubblici: va a vedere le carte del 'cambia verso'. Messa così, la guerra con i tecnici dell'Economia doveva arrivare, prima o poi. Nella cerchia del premier ne leggono i primi segnali e si prepararano all'autunno.
"Fino a quando Matteo non riuscirà a mettere altre teste che lavorino nella macchina dei ministeri economici, non si riuscirà a cambiare...", si sfoga un parlamentare molto vicino al premier. Perchè evidentemente c'è qualcosa che non va nella cinghia di trasmissione tra Palazzo Chigi e ministero dell'Economia. Un segnale era arrivato la settimana scorsa, quando all'improvviso il commissario per la 'spending review', Carlo Cottarelli, ha lanciato l'allarme sui conti pubblici, puntando il dito sulla norma contenuta nel decreto Pubblica Amministrazione relativa alla cosiddetta 'quota 96'. Nel giro di qualche giorno, il governo è stato costretto a dare ragione a Cottarelli, la norma che avrebbe mandato in pensione i 4mila insegnanti penalizzati dalla riforma Fornero è stata cancellata, la categoria annuncia la mobilitazione, il decreto all'esame del Senato sarà modificato e dovrà ripassare in tutta fretta alla Camera prima della pausa estiva, pena la decadenza il 23 agosto.
Ma i problemi non sono solo nel decreto sulla Pubblica amministrazione, dal quale tra l'altro vengono cancellati anche alcuni benefici per le vittime del terrorismo, nonchè le norme che avrebbero portato in pensione primari e professori universitari a 68 anni invece che 70. Anche il decreto sulla competitività, licenziato solo qualche giorno fa dal Senato, rimandato alla Camera per ulteriori modifiche e in procinto di tornare anche questo in tutta fretta a Palazzo Madama pena la decadenza, subisce lo stop della Ragioneria dello Stato. A sorpresa. Il semaforo rosso arriva quando il provvedimento è già all'esame della commissione Bilancio della Camera presieduta dal Dem Francesco Boccia, il quale non può che sospendere la seduta in attesa di una decisione: da prendersi tra Palazzo Chigi e il Mef. In sostanza, il Tesoro dice no ad un emendamento del M5s, condiviso però dalla maggioranza, sulla variazione della rendita catastale degli immobili con impianti fotovoltaici. Ma mette il suo bollino rosso anche su altre voci del decreto.
E' sufficiente per far scattare l'allarme tra renziani e filo-renziani. Tra coloro cioè che condividono la necessità di dare avvio ad una politica di tagli alla spesa ma di redistribuzione tra i ceti medi e bassi per favorire consumi e crescita. Più facile a dirsi che a farsi. Scatta l'allarme perchè, dietro gli stop arrivati dal Tesoro, la cerchia parlamentare più vicina al premier intravede l'inizio di una guerra da parte di "lobby che hanno paura di perdere i loro privilegi, di un ceto burocratico che pensa solo alla propria sopravvivenza, elites che hanno sempre avuto in testa una politica rigorista che non ha voglia di cambiare, non vuole redistribuire, ma che soprattutto adesso si porrebbe l'obiettivo di affossare Renzi".
In effetti, con il braccio di ferro sui conti pubblici si può dire che è iniziata la vera lotta di Renzi per la vita (politica e istituzionale, s'intende). Dopo la prima vittoria sugli 80 euro in busta paga, è da questo tunnel che il premier dovrà uscire in autunno per trovare luce e futuro. Qualcuno dei suoi torna ad un vecchio refrain: "Dovrà procedere ad un rimpasto in autunno, è chiaro che così non funziona...". E' una possibilità, mai ammessa ufficialmente ma nemmeno esclusa dal 26 maggio scorso, all'indomani del 40,8 per cento preso dal Pd alle europee. Un rimpasto, che però dovrebbe sfuggire alla proposta 'indecente' di qualche berlusconiano di "entrare nel governo per dare una mano a Renzi". Magari alla fine il piano sarà solo di appoggio esterno da parte di Forza Italia, come lascia intendere Mariastella Gelmini in una recente intervista alla Stampa. O nemmeno di questo. Fatto sta che, da oggi più che mai, il premier ha l'elmetto in testa.

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