sabato 19 settembre 2015

Uno dei più grandi leader che dice una cosa e poi vota proprio tutto il contrario.

Un leader solo felpe e distintivo

Lega
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini durante il raduno della Lega a Pontida, Bergamo, 21 giugno 2015. ANSA/PAOLO MAGNI
Se vuole davvero studiare da leader e da premier, Salvini dovrà prima scendere dal palco del suo comizio permanente e incontrare la realtà. 
La notizia risale a giovedì, ma merita di essere ripresa: Matteo Salvini, in una sua rara apparizione al Parlamento
europeo, ha votato contro la redistribuzione fra gli altri Stati membri dell’Unione di 120.000 profughi oggi presenti in Italia, Grecia e Ungheria. La proposta della Commissione, approvata dall’assemblea con il voto favorevole di tutti gli altri partiti italiani, prevede in particolare che 15.600 richiedenti asilo siano trasferiti dal nostro Paese.
Ma la Lega non è d’accordo: e chissà se presto avremo alle nostre frontiere pattuglie di camicie verdi impegnate ad impedire che i profughi lascino l’Italia. Tornato da Bruxelles, Salvini si è concesso con l’abituale riluttanza alle telecamere, e dagli schermi di Pomeriggio 5 ha spiegato che il piano Juncker di redistribuzione dei profughi è “una presa in giro” perché “dei prossimi 300.000 sbarcati potremo allontanarne solo 15.000”. Si potrebbe facilmente obiettare che la prima cifra è inventata, e che la seconda è comunque maggiore di zero: ma pazienza. Sempre giovedì, il TgLa7 ha reso noti i risultati di un sondaggio sulla possibile candidatura a premier del leader leghista: un buon 33% di italiani la valuta positivamente (un altro 33% preferisce non esprimersi).
Fra gli elettori di centrodestra, le percentuali sono molto più alte: se è scontato il 95% di sì dai leghisti, più interessante è il 74% di consensi fra gli elettori di Fratelli d’Italia e il 65% fra quelli di Forza Italia. Le elezioni non sono alle porte, e dunque questi dati, come ogni altro sondaggio, vanno presi con cautela: e tuttavia confermano e rafforzano un fenomeno già noto. Orfano di Berlusconi e incerto sul futuro, il centrodestra si guarda in giro e non trova altro che Salvini. Per il leader della Lega – che ha il merito indubbio di aver brillantemente riciclato un partito travolto dagli scandali – si pone dunque il problema di un salto di qualità, e di un’assunzione di responsabilità, non di poco conto. Ma per candidarsi a guidare una coalizione di governo non bastano né le felpe né le ruspe, e neppure la moltiplicazione seriale delle apparizioni televisive: occorrono un po’ di buona politica, molta preparazione, la padronanza dei dossier, una certa duttilità, e la disponibilità a non credere mai troppo alla propria propaganda.
Il centrodestra italiano non è fatto di urlatori xenofobi, ma di persone normali che, di fronte ad una migrazione epocale e in quanto tale inarrestabile, chiedono risposte concrete, pratiche e funzionali. Angela Merkel, che del centrodestra europeo è la leader indiscussa, le ha trovate nella direzione esattamente opposta a quella su cui insiste Salvini. Il problema infatti non è come impedire ai migranti di arrivare in Europa, perché ci arrivano e ci arriveranno in ogni caso e in ogni modo (tanto più che la distinzione formale fra profughi di guerra e migranti economici appare a dir poco fragile, concettualmente e storicamente). Il problema è che cosa fargli fare una volta che sono qui: come accoglierli, come integrarli, come offrire loro un lavoro e una posizione, e anche – non è bene essere ipocriti di fronte alla storia – come trarne vantaggio.
Il voto leghista a Bruxelles contro la redistribuzione dei rifugiati è nella più benevola delle ipotesi una leggerezza dettata dalla scarsa conoscenza del problema: ma la Grande migrazione è una questione destinata ad occupare la scena negli anni a venire. Se vuole davvero studiare da leader e da premier, Salvini dovrà prima o poi rendersene conto, scendere dal palco del suo comizio permanente e incontrare la realtà. Ne guadagnerebbero la Lega, il centrodestra e l’Italia.

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