Giovani: resterebbero in Italia. Se solo ci fosse un cenno di cambiamento
I dati dell’Istituto Toniolo. Rosina: «I nostri ragazzi se ne vanno non perché ci sono meno opportunità. Ma perché non credono nel futuro dell'Italia»
C’è un dato che parla più di tutti. E lo rivela l’ultimo Rapporto giovani curato dall’Istituto Toniolo di Milano (qui sotto tutti i dati). È una cifra chiave per capire la generazione EasyJet (laurea in tasca e un biglietto di sola andata per l’Australia o il Regno Unito), e volare oltre le letture superficiali di chi crede che questi giovani – spesso più adulti che giovani- scappino senza lottare, o di chi li giudica dall’alto dei suoi sessant’anni chiamandoli svogliati e fannulloni. Perché se per la prima volta il numero di coloro che si dicono pronti ad andare all’estero per migliorare condizioni di vita e di lavoro ha raggiunto il 60% degli intervistati (cioè sei ragazzi su dieci) è per una ragione precisa: questi ragazzi non vedono in Italia nessun segnale di cambiamento. E nessuno spazio per realizzarlo. Ed ecco che allora circa il 75% di loro risponde «poco» o «nulla» a questa semplice domanda: «Quanta fiducia hai nella possibilità che tra 3 anni le opportunità per i giovani nel tuo Paese di origine saranno migliori di oggi?».
«L’unica cosa che chiedono è essere parte attiva di un processo credibile di miglioramento, sentire di avere un ruolo, percepire che i loro sforzi ottengono risultati
Se ci fosse un minimo segnale di miglioramento della situazione economica e politica del paese, questi giovani non se ne andrebbero mai dall’Italia. Sarebbero disposti anche ad accettare meno opportunità e salari più bassi dei coetanei d’Oltralpe. Ne è convinto il professor Rosina, docente di Demografia e curatore del Rapporto. «L’unica cosa che chiedono è essere parte attiva di un processo credibile di trasformazione, sentire di avere un ruolo, percepire che i loro sforzi ottengono risultati. Quando ciò accade, questi giovani rilasciano le loro migliori energie e si dedicano al massimo del loro impegno ed entusiasmo».
«I Millennials si sentono costretti dalle generazioni più anziane a conformarsi al loro modo di vedere le cose»
Attraverso le interviste statistiche e i contatti diretti con questi ragazzi, il team del professor Rosina si è accorto che ciò che spinge i Millennials a partire non è tanto la differenza di opportunità tra dove vivono e l’estero, quanto il non poter essere parte attiva di un cambiamento del paese, che pure vorrebbero. «È una caratteristica tipica di tutti i giovani, argomenta il professore, ma ancora più specifica di questi. Ciò che li fa soffrire è il non vedere le possibilità di contribuire a migliorare il contesto in cui si trovano». Per mancanza di accesso alle posizioni decisive o perché costretti dalle generazioni più anziane a conformarsi al loro modo di vedere le cose.
«Si trovano a dover lavorare con adulti o anziani incapaci di mettersi in sintonia con loro. Genitori, capi e responsabili che hanno in testa vecchi obiettivi, adatti a un mondo che non c’è più. Vecchie generazioni che davanti a un giovane che prova a fare qualcosa in modo diverso, bocciano il tentativo come una cosa “sbagliata”»
Sono ragazzi, spiega Rosina, privi di figure credibili di riferimento, di cui tuttavia hanno disperato bisogno. «Cioè figure cui dare fiducia e da cui ottenere l’auto necessario per orientare le proprie scelte, e realizzare i propri obiettivi. E invece si trovano a dover lavorare con adulti o anziani incapaci di mettersi in sintonia con loro. Genitori, capi e responsabili che hanno in testa vecchi obiettivi, adatti a un mondo che non c’è più. Vecchie generazioni che davanti a un giovane che prova a fare qualcosa in modo diverso, bocciano il tentativo come una cosa “sbagliata”». E lo soffocano sul nascere. Sono adulti che ai più giovani indicano la strada nota a loro, comoda a loro. Non quella che aiuterebbe le nuove generazioni a trovare la loro personalissima via, e insieme costruire un paese dinamico, in crescita, innovativo.
E così, pur essendo molto attivi, «questi giovani si trovano spesso chiusi in un labirinto» da cui si esce solo con un biglietto aereo. «Girano a vuoto, senza una mappa, perché il mondo intorno a loro è tutto cambiato, le vecchie regole non valgono più, ma i più anziani che dovrebbero lasciare loro spazio e solo fornire loro strumenti per creare qualcosa di nuovo, si limitano a soffocare le energie nuove e a pretendere che si riproducano vecchi modelli che non funzionano più.
«A questi giovani bisogna dare fiducia, spazio di azione, responsabilità. Aiuto anche, per non perdere l’orizzonte. Ma non la critica, non i giudizi tarpa-ali, non gli stipendi risicati che deprimono, deludono, e uccidono chi si sente sfruttato e non valorizzato»
Eppure. «Sta nascendo sotto traccia una generazione di imprenditori che mette insieme valore economico e valore sociale, che ha ispirazioni fortemente olivettiane, che non chiede ma agisce e poi è pronta a pretendere», scriveva qualche giorno fa su questo giornaleAlessandro Rimassa, autore di La Repubblica degli innovatori (Vallardi 2015), il libro in cui racconta la nascita di nuovi imprenditori usciti proprio tra le fila della Generazione EasyJet. Proprio lui in quell’occasione lanciava però anche un appello, un invito che questi dati pretendono ora che si urli a squarcia gola: a questi giovani dovete lasciare«libertà di azione». Hanno tutto quel che serve per creare, innovare, risvegliare un paese diventato provinciale e introverso sotto gli occhi indifferenti chi lo ha governato negli ultimi venti anni. Ma a questi giovani bisogna dare fiducia, spazio di azione, responsabilità. Aiuto anche, per non perdere l’orizzonte. Ma non la critica, non i giudizi tarpa-ali, non gli stipendi risicati che deprimono, deludono, e uccidono chi si sente sfruttato e non valorizzato. E che non lasciano scorgere altra soluzione utile che comprare un biglietto per rincominciare a credere nel futuro.
LE TABELLE DEL RAPPORTO GIOVANI 2015 (ridisegnate da Linkiesta)
- L’indagine è promossa ed elaborata a partire da unpanel di 1.000 giovani tra i 18 e i 32 anni dall'Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l'Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo -
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