mercoledì 22 maggio 2013

Riceviamo e pubblichiamo. Fatevi voi un'idea. Domani vi diremo la nostra.


Referendum di Bologna, scuola in trincea

di  - Una piccola mobilitazione dal basso che diventa caso nazionale, e nella città si discute sull'apertura alle scuole private, una battaglia sui bambini che però sembra avere con loro davvero poco a che fare

Referendum di Bologna, scuola in trincea
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È una battaglia in punto di principio, ma anche in difesa di tangibili e preziose risorse collettive, quella sul prossimo Referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole d’infanzia paritarie private a Bologna, a molte delle quali non affiderei mia figlia.
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LE TERMOPILI -  A tenere le fila della mobilitazione e a fungere da centro di gravità c’è un collettivo di scrittori e attivisti, i Wu Ming, attorno ai quali si è andato addensando un fronte eterogeneo quanto estraneo alle istituzioni. Dall’altra parte secondo un elenco, sicuramente parziale, pubblicato su Giap ci sono:
“l’amministrazione comunale, il PD, il PdL, la Lega Nord, l’UDC, la Curia, Comunione e Liberazione, la CISL, Confcooperative, buon ultimo giunge a schierarsi per l’opzione B il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco“.
Con loro ci sono poi ovviamente i media di riferimento, dal Resto del Carlino fino  all’Unità, passando per le edizioni locali dei due maggiori quotidiani nazionali. Ne è nata una battaglia “nazionale”, che potrete trovare riassunta nell’ultimo appello dei Wu Ming in vista del voto di domenica, pubblicato su L’Internazionale. Una battaglia di dimensioni nazionali per un referendum -consultivo – che il sindaco ha già detto che ignorerà se dovesse esprimere un parere diverso da quello della maggioranza, che è poi anche il suo.
LA TORTA - La questione dei finanziamenti pubblici alla scuola privata è nota e si può riassumere nel confronto tra quanti sono favorevoli e quanti sono contrari e si gioca in punta di diritto come per confronti ideologici. In punta di diritto la questione è semplice, la Costituzione ammette l’istruzione privata “senza oneri per lo stato” e per aggirare il paletto si è introdotta la favola della “sussidiarietà”, per il quale è una grande idea dare un po’ di soldi alle scuole private perché così si garantisce la libertà di scelta educativa anche dei genitori meno abbienti. La torta è enorme, non solo oggi a livello locale come nazionale, ma perché attraverso questo che appare come un buco scavato nella Costituzione, praticato da chi non ha mai voluto o avuto il coraggio di modificarla, passa un fiume di soldi verso la sanità falsamente privata e in realtà sussidiata e ancora di più ne passeranno in futuro se si mantiene l’andazzo degli ultimi anni. Così quel topolino del referendum consultivo a Bologna è diventato una trincea nazionale di fronte alla quale si sono via via presentati un po’ tutti. Ci si divide tra A (pubblico) e B privato e anche il sindaco Merola ha dovuto pentirsi ed entrare in campagna elettorale, non era pronto e si è visto e ora si ritrova in compagnia di Berlusconi, Bergoglio, Casini e compagnia cantante, fin giù alla destra più retriva, anche se in compagnia di una confortante potenza di fuoco.
IL PUBBLICO CHE FUNZIONA -  Purtroppo la Costituzione, pur in presenza di offerte educative diverse da quelle pubbliche, valutò che fosse più saggio investire tutte le risorse disponibili per la costruzione e il potenziamento della scuola pubblica e così anche per i servizi all’infanzia. In Emilia Romagna questi investimenti hanno prodotto le esperienze-modello alle quali ora s’ispira mezzo mondo, il modello Reggio-Emilia è nato ed è stato perfezionato in una scuola comunale, non in una canonica e nemmeno in un istituto privato. Ed è questo il modello di riferimento di un servizio essenziale alle famiglie e soprattutto al capitale sociale più prezioso che possediamo, le generazioni più giovani, indifese e bisognose di cura, non solo di un parcheggio dove essere custodite in assenza dei genitori. Un’offerta ottima, che a rigor di logica costituzionale e genitoriale dovrebbe essere estesa a tutte le famiglie. Non si vede perché chi la rifiuta per altre, peraltro in buona parte scartate non per questioni ideologiche, ma scientifiche; dovrebbe ricevere contributi pubblici a detrimento degli investimenti in questa fondamentale offerta pubblica.
I TAGLI - Investimenti che ora, a fronte dei tagli selvaggi che non hanno risparmiato nemmeno questi servizi, spingono da un lato il fronte privatizzante a estendere il ricorso a questo genere di contributi, che vanno da un lato agli utenti delle scuole confessionali e dall’altro a quelli di cooperative e privati che godono della forte domanda. Una domanda che appare soddisfatta  sempre meno volentieri dal servizio pubblico, su impulso di una politica che non disdegna nutrire quelli che poi si rivelano affari privati molto ingenti. Una politica che ha il sostegno tonante e incontrastato più di due decenni di mantra privatizzante e di accanimento contro i bilanci dedicati ai servizi educativi pubblici quasi incontrastati alle nostre latitudini.
TAGLIARE COSA - Far pagare l’austerità ai bambini non è bello, ma ancora meno bello è sfruttare i tempi duri o cavalcare l’ideologia privatizzante per sovvertire l’ordine costituzionale. I servizi pubblici sono la risposta più razionale alle esigenze collettive, vale per la sanità come per tutti i servizi pubblici essenziali ed è dovere dello stato e degli amministratori mantenerli, farli funzionare e potenziarli nel limite del possibile. Quando gli amministratori pubblici invocano l’intervento dei privati stanno gettando la spugna, tradendo la loro missione, danneggiando l’interesse pubblico a favore di quello privato. E non sono pensieri socialisti, sono i conti della serva, quelli che il fronte anti-referendario ha cercato di truccare in maniera buffa, sostenendo che senza contributi comunali quasi duemila bambini ora sistemati nelle strutture private rimarrebbe senza posto.
LE MAGIE CONTABILI - Sembra quasi che le scuole private costino meno di quelle pubbliche già massacrate dai tagli, altrimenti non si capirebbe perché con i contributi comunali e i soldi che già versano quei genitori, non si possono offrire altrettanti posti comunali. La ragione del minor costo non può essere che in quello del personale, che nelle scuole pubbliche è assunto per lo più con normali contratti di lavoro a tempo indeterminato, mentre nel privato regna una certa fantasia che gioca a sfavore delle retribuzioni dei lavoratori. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che questa sia l’unica differenza o che sia tanto rilevante da bastare da sola ad alimentare un fenomeno che sposta potere, influenze e denaro dal pubblico al privato.
LA MIA MODESTA OPINIONE - Io sono un genitore bolognese, mia figlia frequenta una scuola d’infanzia comunale, l’anno prossimo la materna e ho un motivo molto prosaico che si aggiunge alla considerazioni più prettamente m politiche ed economiche che troverete ampiamente sviscerate sul blog dei Wu Ming o comunque in rete con poca fatica. Un motivo che per me è ancora più rilevante delle considerazioni più “alte”, che normalmente terrei in maggior conto rispetto agli umani timori da genitore, perché radicato in una realtà che mi è vicina, che ho osservato e che ho visto corrotta da dinamiche inaccettabili quanto, mi pare, evidenti.
GOING LOCALLY - 26 delle 27 scuole dell’infanzia paritarie private di Bologna aderiscono alla Federazione Italiana Scuole Materne (FISM), fondata su impulso della CEI nel 1973 ed esistevano anche senza fondi pubblici. A Bologna sono da sempre legittimamente preferite da quanti vogliono dare ai figli un’educazione d’impronta cattolica e, più di recente e meno simpaticamente, anche da quanti vogliono evitare ai figli il contatto con i figli degli immigrati. Nelle visite predisposte per far conoscere le strutture convenzionate ai genitori, quando s’arriva alle private c’è sempre un genitore che  chiede quanti stranieri ci sono e la risposta è sempre a cavallo del nessuno o del caso sporadico, ne ho fatte parecchie ed è evidente che è un altro fattore che spinge la domanda in quella direzione.
IL PROBLEMONE - Problemi loro, se non fosse che queste scuole, alla luce dell’esperienza e della cronaca non mi offrono sufficienti garanzie in merito alla sicurezza dei bambini. A inquietarmi è un caso esemplare, esemplarmente passato in silenzio nonostante la sua gravità, che lascio descrivere a una tra le diverse cronache del tempo:
“Secondo le testimonianze rese in aula da diverse persone che frequentavano la scuola materna all’interno della struttura parrocchiale di cui il prete era responsabile (maestre trimestrali, bidelle, cuoche), l’uomo era stato visto palpeggiare alcune bambine nelle parti intime, accompagnarle in bagno per guardarle orinare, baciarle sulla bocca, infilare una caramella nelle mutandine per poi farla leccare. Le vittime avevano tutte tra i 3 e i 6 anni e frequentavano l’asilo in provincia di Ferrara, ma ricadente nella diocesi di Bologna“.
“In primo grado di giudizio, il tribunale di Ferrara ha condannato il prete a 6 anni e 10 mesi di reclusione, per aver commesso, in veste di educatore, reiterati atti di pedofilia su numerose piccole alunne”.
“Il giorno 11 Novembre 2004 le educatrici informarono i genitori di quanto accadeva nell’asilo. Decisero di avvisare i superiori del prete e la direttrice, insieme a un rappresentante dei genitori, si recarono a Bologna per incontrare i responsabili della Curia. L’incontro avvenne il giorno 8 Gennaio 2005, alla presenza di Mons. Ernesto Vecchi, numero due della Chiesa bolognese”.
“Secondo quanto riportato dall’educatrice, Vecchi disse: “Quell’uomo è malato e questo incontro non è mai avvenuto“. Quando Mons. Vecchi seppe poi che era già scattata una denuncia, si arrabbiò moltissimo, urlò contro la maestra, sostenendo che era pagata da loro”.
“I giudici Caruso, Oliva e Bighetti, nella sentenza di condanna del prete pedofilo, hanno precisato che “il silenzio dei vertici ecclesiastici e la loro ritrosia a mettere sul tappeto le notizie sulle accuse che già da tempo circolavano sul conto del parroco, e di cui i rappresentanti dei genitori e l’educatrice intendevano discutere, equivale a implicita ammissione di conoscenza di quei fatti da parte delle gerarchie e consente di leggere tutta la vicenda come un tentativo di evitare uno scandalo che si considerava inevitabile perché fondato su fatti inoppugnabili”“.
“Per i giudici ferraresi siamo di fronte a un “muro di gomma delle autorità ecclesiastiche”, che influì anche sulla tempestività delle denunce e quindi direttamente sul numero di bambine che sono rimaste vittime di molestie sessuali”.

1 commento:

Unknown ha detto...

Il centro della educazione scolastica: Reggio Emilia.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...