Chiarito il mistero dei rolex regalo a Palazzo Chigi, è la solita “grillata”
Il testimone: “Lo riportai a Palazzo Chigi insieme all’avvocato e al senatore grillino”
Un numero imprecisato di Rolex e di “cronografi di altre marche, ma comunque costosi”, è tenuto nascosto da Matteo Renzi in una località imprecisata – chi dice nei sotteranei di palazzo Chigi, chi nella soffitta di Rignano sull’Arno, chi al sicuro in un caveau predisposto da Verdini – e, nonostante gli sforzi eroici del Fatto per ristabilire finalmente la verità dei fatti, continua a sfuggire alle ricerche e alle indagini dei più accreditati servizi segreti.
L’incredibile vicenda, al cui cospetto piazza Fontana e Ustica sono fiabe per ragazzi, tiene banco da settimane sul giornale di Marco Travaglio, per la delizia dei suoi avidi lettori e di tutti gli appassionati di misteri d’Italia. Ieri, a sorpresa, ha rivelato la sua identità il misterioso «pentito dei Rolex» che lo scorso 20 gennaio, spezzando un’imbarazzante omertà e a rischio della vita, aveva raccontato al Fatto «ulteriori dettagli sui fatti di Ryad».
Il nuovo, esilarante capitolo delle malefatte renziane si svolge infatti in Arabia Saudita, nel corso della visita ufficiale dello scorso novembre. Alla delegazione italiana vengono offerti in dono numerosi orologi, e fra la scorta del premier e alcuni funzionari del Cerimoniale scoppia un diverbio sull’assegnazione dei regali. L’indomani Ilva Sapora, il capo del Cerimoniale, «ha tentato di recuperare i regali – raccontava “il pentito dei Rolex” – ma non in maniera formale. Ha rifiutato di predisporre un documento per certificare la restituzione dei cronografi».
L’operazione recupero sembrerebbe però riuscita soltanto a metà, perché, assicurava il pentito, «ci sono molti Rolex ancora in giro». E Renzi che c’entra? Niente: «Il fiorentino non interviene», scriveva dieci giorni fa il Fatto. Ma siccome questi benedetti Rolex sono finiti almeno in parte a palazzo Chigi – lasciarli a Ryad, anche Travaglio sarà d’accordo, sarebbe stato maleducato – se ne dovrebbe dedurre che Renzi ne ha fatto incetta, e che da qualche parte c’è un forziere che li contiene. Ieri il “pentito dei Rolex” s’è presentato con nome e cognome: è Reda Hammad, egiziano con passaporto italiano, e dal 2001 lavora occasionalmente come interprete arabo per palazzo Chigi. Anche lui era a Ryad, e anche lui ha ricevuto un bel Rolex.
Quando il capo del Cerimoniale gli ha chiesto, dopo lo sgradevole parapiglia della sera prima, di consegnargli il prezioso cronografo, l’astuto Hammad ha subito sentito puzza d’imbroglio e, racconta, «ho proposto di darmi una richiesta scritta e una ricevuta a consegna avvenuta, per proteggermi». Da che cosa volesse proteggersi il timoroso Hammad non è chiaro: la proposta però viene respinta e l’interprete rientra a Roma con il suo bell’orologio. Qualche giorno dopo scrive un’email alla Sapora riproponendole la consegna dell’ostaggio, e riceve in cambio la telefonata di un funzionario che gli annuncia, minaccioso, che non avrebbe più ricevuto incarichi da palazzo Chigi. Il regime, si sa, è spietato. E siccome l’affare s’ingrossa, il coraggioso Hammad decide di metterlo in mano all’avvocato. Passano le feste, e l’avvocato scrive una «lettera raccomandata» al Diprus, l’ufficio che gestisce i regali di Stato.
Alle lettere raccomandate neppure il governo riesce a resistere, e l’intrepido Hammad viene infine ricevuto negli uffici della presidenza del Consiglio, dove mercoledì 27 gennaio, non prima di aver scattato alcune istantanee scrupolosamente pubblicate ieri dal Fatto, consegna infine il suo fantastico Rolex. Non sappiamo se Renzi se n’è già impossessato, ma sappiamo che l’eroico Hammad non è andato da solo al Diprus: con lui c’erano l’avvocato autore della micidiale «lettera raccomandata» nonché un nuovo, inaspettato protagonista della vicenda: il senatore Nicola Morra del Movimento 5 stelle. E così il mistero si chiarisce: pensavamo ad un intrigo internazionale, ad un traffico di oggetti preziosi, ad una grave violazione etica e invece è la solita grillata.
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