martedì 2 febbraio 2016

Occupazione, come leggere correttamente i dati Istat

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I dati sul mercato del lavoro non sono sempre semplici da leggere e molto spesso portano a diverse interpretazioni. Ecco perché
È vero che se il tasso di disoccupazione giovanile è del 38%, i ragazzi senza lavoro, in Italia, sono esattamente il 38%? Non proprio. E ancora: se la disoccupazione sale, l’occupazione deve per forza scendere? Sono soltanto due delle tante sfaccettature che bisogna considerare quando si osservano i dati del mercato del lavoro. 
Leggere i numeri diffusi dall’Istat spesso porta a diverse interpretazioni, soprattutto quando sopraggiungono motivazioni politiche e strumentali. I dati sulla disoccupazione usciti oggi, ad esempio, mostrano un andamento pressoché stabile da novembre a dicembre e una tendenza in calo che prosegue da 5 mesi. E il tasso di disoccupazione mensile – spiegano i tecnici dell’Istat – in sostanza è invariato (cambia solo il decimale).
I cosiddetti dati congiunturali (cioè mensili) – spiegano ancora i tecnici – subiscono parecchie oscillazioni, “erratici” in termini scientifici. Non a caso da qualche tempo l’Istat pubblica anche la media mobile del trimestre, che dà maggiore solidità. Se poi consideriamo la base annua, il tasso di disoccupazione è calato dell’1 per cento: ci sono 109mila persone impiegate in più rispetto a dicembre 2014, mentre i disoccupati sono 254mila in meno. Perché dunque Brunetta (e non solo) twitta di disastri sociali (“Come volevasi dimostrare: il Jobs act è una bolla e una balla. Disoccupazione a fine anno in aumento”)?
Chiariamo un altro aspetto: il tasso di disoccupazione è un rapporto fra le persone in cerca di impiego e il totale della forza lavoro (ovvero la somma di occupati e disoccupati). Questo vuol dire che se la disoccupazione sale, non è detto che l’occupazione debba scendere. Non sono vasi comunicanti.
Per leggere correttamente i dati, dunque, vanno presi in considerazione anche gli inattivi, ovvero coloro che non stanno cercando lavoro. Sgombriamo il campo da un ulteriore equivoco: il totale della forza lavoro non corrisponde alla popolazione. In altre parole, avere un tasso di disoccupazione giovanile al 38% non vuol dire che in Italia i ragazzi senza lavoro sono il 38%. Quel numero è rapportato con chi cerca lavoro. Se si calcola la popolazione totale, i giovani senza lavoro sono poco meno del 10 per cento perché in quella classe di età (14-24) studiano in molti.

Dati Inps contro dati Istat
Bisogna infine tenere presente la diversa natura dei dati Istat – che si basano su un’indagine campionaria della forza lavoro – rispetto a quelli Inps, i quali invece tengono conto delle comunicazioni obbligatorie delle aziende. Ognuno fa il proprio mestiere. Mentre l’Istituto statistico analizza la situazione del mercato del lavoro puntando l’occhio sulla popolazione e osserva le persone occupate sulla base di interviste fatte a un campione di famiglie, quello previdenziale si basa sui contratti di lavoro, sulle posizioni lavorative. È chiaro quindi che i dati Inps sono la fonte più adeguata per vedere e rilevare la variazione del numero dei contratti, ma è altrettanto evidente che va tenuto conto anche dei dati Istat per una valutazione completa: le due tipologie si implementano e non sono in contrasto. Ed entrambe danno lo stesso andamento.

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