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MILANO - Intraprendere la carriera sindacale può portare sensibili vantaggi nell'assegno pensionistico, rispetto a quanto avviene per i loro colleghi che restano fuori dalla rappresentanza dei lavoratori: se i sindacalisti che ricevono versamenti aggiuntivi da parte delle organizzazioni venissero trattati come gli altri, perderebbero il 27% dell'assegno. E' quanto emerge dal resoconto Inps sul trattamento dei sindacalisti, nuova puntata della serie delle "Porte aperte" con la quale l'Istituto alza il velo su alcune particolari categorie di lavoratori. E sui sindacalisti dice che le loro pensioni sono, a parità di regole per il calcolo della pensione, in media più vantaggiose di quelle dei lavoratori dipendenti, perché possono cumulare la contribuzione figurativa del lavoro in aspettativa a quella dell'impegno nel sindacato.

I sindacalisti in aspettativa non retribuita o in distacco sindacale (aspettativa retribuita utilizzata nel settore pubblico), infatti, hanno diritto nel periodo di assenza dal lavoro all'accreditamento dei contributi figurativi. Ma spesso hanno per lo stesso periodo versati anche contributi dal sindacato che, per i dipendenti del settore pubblico, vengono ancora valorizzati applicando le regole precedenti al 1993 che prevedono il calcolo della pensione sull'ultima retribuzione percepita.

I sindacalisti - spiega l'Inps - "hanno regole contributive e previdenziali diverse dagli altri lavoratori perché possono vedersi ugualmente versati i contributi (o addirittura lo stipendio) da enti terzi rispetto al sindacato presso cui prestano effettivamente il proprio lavoro e perché possono, prima di andare in pensione, farsi pagare dalle organizzazioni sindacali incrementi delle proprie pensioni a condizioni molto vantaggiose". Secondo le banche dati dell'istituto, i lavoratori in aspettativa non retribuita nel settore privato sono stati 2.773 nel 2013 mentre è molto rara in questo settore l'aspettativa retribuita. Viceversa, è frequente nel settore pubblico. Le banche dati dell'Inps evidenziano che nel 2013, i lavoratori del settore pubblico in distacco sindacale erano 1.045 mentre i dipendenti in aspettativa sindacale erano 748. I dati del 2010 dicono che le giornate di assenza dei pubblici dipendenti per motivi sindacali (inclusi i permessi) rappresentano lo 0,16% delle giornate complessive di lavoro, pari al lavoro di 3.655 dipendenti per un anno e si traducono in un costo complessivo annuo valutabile in 113.277.390 euro.

Nella sua ricognizione, l'Istituto spiega come opera il versamento della contribuzione aggiuntiva: "Non incide su quando si può andare in pensione", dice l'Inps, ma "ha riflessi importanti sul livello della pensione, soprattutto per i dipendenti pubblici che si trovano nel regime misto o in regime retributivo ante riforma Fornero. Infatti, i periodi di contribuzione aggiuntiva vengono riconosciuti ad ai fini del calcolo della quota di pensione determinata per le anzianità maturate fino al 1992 (la cosiddetta quota A). La quota A di pensione è determinata sulla base della retribuzione percepita l’ultimo giorno di servizio ed è quindi soggetta a regole più generose rispetto a quelle applicate dal 1992 in poi per il calcolo della quota B di pensione, che considera la media delle retribuzioni percepite in un periodo di tempo più lungo". In definitiva, l'Inps simula cosa accadrebbe a pensionati appartenenti al settore pubblico per i quali la pensione è stata ricalcolata escludendo la contribuzione aggiuntiva dalla quota A e attribuendola alla quota B: "Sebbene il campione sia ridotto si nota una riduzione media dell’ordine del 27% sulla pensione lorda. In un caso si avrebbe addirittura una riduzione del 66% della somma percepita".
Pensioni, studio Inps: ecco perché conviene fare i sindacalisti

Le reazioni - "La Cgil, per i lavoratori in distacco o in permesso non retribuito che si impegnano nel sindacato applica rigorosamente le leggi in vigore - si legge in una nota del sindacato di Corso d'Italia a commento dlel'indagine dell'Inps - . Non c'è nessuna condizione di privilegio per chi svolge attività sindacale". Più dura la reazione della Uil: "E' grave che un istituto come l'Inps diffonda notizie imprecise - afferma il segretario confederale Domenico Proietti - . Quando si parla di regole contributive e previdenziali 'molto vantaggiose' per i sindacalisti si esprime una valutazione così generica e sommaria da far sospettare che l'intento sia quello di ingenerare discredito e non di fare chiarezza".

"Quando un sindacalista lascia la sua azienda o il suo ufficio per intraprendere un'attività sindacale - aggiunge Proietti - , la sua carriera professionale e i suoi emolumenti vengono automaticamente bloccati e si cristallizzano a quel momento. E se quella persona, che magari era un operaio, un commesso, un impiegato, diventa poi un dirigente sindacale è del tutto normale che il sindacato per il quale egli lavora possa intervenire e adeguare la sua condizione economica e contributiva al nuovo stato. Non si sarebbe forse determinato lo stesso effetto pratico se avesse proseguito la sua attività nel luogo di lavoro di provenienza? Al contrario, se così non accadesse, risulterebbe lui enormemente svantaggiato, Nessun vantaggio, dunque, né condizione di privilegio per i sindacalisti". Qualche eccesso, ammette Proietti, è stato consumato, "ma non è provando a gettare discredito su un'intera categoria che si risolvono i problemi del Paese che, di certo, non sono generati dal legittimo adeguamento degli stipendi e delle pensioni di qualche sindacalista".