«Se ci fosse stato un corridoio umanitario, oggi non piangeremmo Aylan»
Marco Lombardi, esperto di rotte migratorie: «Quella balcanica esiste da sempre, ma in Italia pensiamo solo a Lampedusa. Il pericolo Isis è reale»
Non si doveva aspettare di essere travolti e sconvolti dall’immagine del corpo inerte del piccolo Aylan, riverso sulla battigia della spiaggia turca di Bodrum per scoprire la rotta balcanica dei trafficanti e le tracce di duemila profughi, che in media arrivano ogni giorno in Ungheria diretti in Germania, in Francia e in Svezia. Per smettere di subire l’esodo e cercare di governarlo, prima che deflagrasse, bastava usare meglio le facoltà della ragione, dell’esperienza e della conoscenza. È questo, in sintesi il sensato ragionamento del sociologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Marco Lombardi, studioso di rotte migratorie, ricercatore e direttore dei siti web di analisi e di informazione su sicurezza, emergenze e terrorismo.
«Basta con il buonismo e il cattivismo, bisogna affrontare l’esodo con raziocinio e senso della governance - esorta Lombardi, durante una conversazione con Linkiesta -. La rotta balcanica occidentale è sempre esistita: è la stessa su cui viaggiano medicinali contraffatti, armi e soprattutto droga, visto che il 14% del traffico globale della cocaina passa dall’Africa ed entra in Europa attraverso la rotta balcanica. Ora la attraversano profughi e migranti, ma per gli addetti ai lavori non è affatto una novità, anzi». E infatti basta soffermarsi sui numeri: secondo le stime del Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, fra il 2012 e il 2014 nei Balcani occidentali (e non in Germania) sono state registrate 20mila richieste d’asilo.
La rotta balcanica occidentale è sempre esistita: è la stessa su cui viaggiano medicinali contraffatti, armi e soprattutto droga. Il 14% del traffico globale della cocaina passa dall’Africa ed entra in Europa attraverso la rotta balcanica
Nei primi cinque mesi del 2015 le cifre sono cresciute vertiginosamente: 22mila domande di asilo solo in Serbia, di cui 10mila solo nel mese di maggio: «Fino ad ora l’attenzione mediatica si è concentrata sulla rotta del Mediterraneo, ma è da un anno che la rotta balcanica desta preoccupazione - continua Lombardi -. Purtroppo l’agenda mediatica è troppo concentrata su ciò che accade all’interno dei nostri confini nazionali, piuttosto che, come invece dovrebbe essere, su quella del governo continentale europeo. Frontex nel primo quadrimestre del 2015 aveva fornito stime significative: 23mila ingressi attraverso il Canale di Sicilia, e 34mila verso la Slovenia e l’Ungheria. Al primo settembre Iom (International Organization for Migration) aggiornava i dati: 351.314 migranti (e 2643 morti) transitanti per il Mediterraneo, di cui 234.778 arrivati in Grecia per proseguire verso la Macedonia e la Serbia. Questi dati dimostrano la centralità della via Balcanica per migranti provenienti da Siria, Iraq, Libano e Turchia».
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L’esodo che ora preme anche alle frontiere dell’Ungheria e sta creando panico e caos in tutta l’Europa, non è solo dovuto al fatto che si tratta di una rotta più sicura per non affidarsi ai trafficanti libici, che riempiono le stive di carrette fatiscenti per “smaltire” - termine cruento ma purtroppo veritiero - la “merce umana” che si è concentrata in Libia in attesa di partire. O costretta a salire sui barconi dagli stessi miliziani/trafficanti per decongestionare l’affollamento nei magazzini clandestini in cui vengono tenuti soprattutto i migranti sub sahariani, provocando l’aumento di vittime, morte per annegamento e per asfissia. Ora la pressione verso i Balcani è prodotta anche dalla Turchia, dove si trovano quasi 2 milioni di profughi, e dove si sta cercando di «fluidificare i flussi», sottolinea Lombardi.
«I Balcani occidentali rappresentano un’area dove gli scarsi controlli hanno favorito i circuiti di criminalità organizzata per poi diventare un bersaglio della strategia di espansione dello Stato Islamico»
Inoltre, a differenza della rotta mediterranea, pattugliata dalle navi militari italiane e degli altri paesi europei, quella balcanica desta anche un serio allarme per la sicurezza: «I Balcani occidentali rappresentano un’area geografica travagliata, dove gli scarsi controlli hanno favorito i circuiti di criminalità organizzata per poi diventare, considerate le tensioni etniche e religiose che l’attraversano, un bersaglio della strategia di espansione dello Stato Islamico» , spiega Lombardi. Infatti il 5 maggio 2015, l’Is ha divulgato attraverso la sua casa di produzione al-Hayat media center un video rivolto ai musulmani balcanici, per esortarli alla guerra santa, a punire miscredenti, piazzando esplosivi sotto le loro macchine, o avvelenando il loro cibo. Titolo del video propagandistico: “Honor is in Jihad. A message to the people of the Balkans”. E le intelligence balcaniche sono convinte che nel flusso migratorio, difficile da controllare e da gestire, ci siano anche islamisti, provenienti dalla Siria del Califfato islamico per estendere la loro influenza nei paesi che compongono la frammentata rotta balcanica.
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Tornando ai flussi migratori, il sociologo Marco Lombardi, ne è convinto: l’imperativo oggi più che mai è quello di fermare i trafficanti con la creazione di corridoi umanitari laddove si genera il traffico: in Turchia, in Libano, e nelle regioni sub sahariane che ingrossano le file dell’esodo dei migranti diretti in Libia: «Bisogna poterli identificare, con una missione internazionale umanitaria e di polizia prima che partano - conclude -. Per dividere i profughi che devono essere accolti e protetti dai migranti economici. Quando arrivano qui, è troppo tardi per rimandarli indietro. E invece, purtroppo l’unica politica europea comune a tutti gli stati membri è la fluidificazione dei flussi per scaricare verso i paesi limitrofi il peso delle migrazioni. Se l’Europa avesse optato per i corridoi umanitari, oggi non saremmo qui, col cuore in mano, a piangere la morte di Aylan, dei tanti piccoli Aylan, né ad analizzare la rotta balcanica. La governance dei flussi migratori deve essere costruita con la testa, non sulla base dei sentimenti di indignazione o di paura».
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