La fine del capitalismo è quasi arrivata
di Simon Childs
Tutte le foto di Jake Lewis
Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!
Il capitalismo sta per finire e a distruggerlo sarà una generazione talmente iperconnessa da considerare più importante il proprio smartphone della classe sociale a cui appartiene.
Questo è quello che mi è rimasto dal mio incontro con Paul Mason, giornalista economico di Channel 4 News, collaboratore di VICE e autore di un nuovo libro che dovreste leggere, intitolato Postcapitalism – A Guide to Our Future.
Il libro è parecchio ambizioso, ma riassumendo dice questo: secondo Paul Mason, il capitalismo come lo conosciamo non è in grado di sostenere il peso del cambiamento tecnologico che ha innescato, specialmente a livello di informazione. Dovrà quindi essere sostituito da un altro sistema, che Mason ha denominato postcapitalismo.
Di recente, ho incontrato Paul in una piccola sala riunioni negli uffici di Penguin—il gruppo editoriale di cui fa parte il suo editore Allen Lane—a Londra. Non appena ci siamo seduti, il suo agente si è fermato a guardare un piccolo muro formato dalle copie del libro ammucchiate dietro la sua testa, un po' simili a quei pannelli pieni di loghi di sponsor davanti a cui i calciatori vengono intervistati dopo le partite. Probabilmente, quindi, quelli di Allen Lane si aspettano che compriate il libro dopo aver letto questo articolo—non sarebbero contenti se qualcuno ne facesse un pdf e lo mettesse in free download. Il che è un po' ironico, visto che la tesi di fondo de libro è proprio che l'inarrestabile diffusione dell'informazione facilitata da internet distruggerà il sistema capitalistico come lo conosciamo.
Prendete per esempio la questione del copyright: un pilastro fondamentale della nostra economia, esistente sin dal 18esimo secolo e che ha smesso di avere senso nel mondo di Pirate Bay e del download illegale. "Non penso che i Beatles abbiano registrato il loro primo album con l'intento di far pagare 99 centesimi a canzone perché continueranno a detenere i diritti su di esso anche quando saranno tutti e quattro morti," mi ha detto Mason. "Penso che l'abbiano composto con l'unico intento di scopare donne bellissime, drogarsi e spassarsela mentre erano giovani. È per questo che l'hanno fatto. È questo il motivo per cui tutti noi facciamo tutto quello che facciamo. Potrà sembrare una cosa sessista, ma è solo per questo che nel corso della storia sono state fatte cose creative: perché le persone che le facevano volevano un riconoscimento, volevano far sentire la loro voce. Penso sia stupido pensare che il copyright possa esistere per sempre. Dovrebbe essere regolamentato in modo più intelligente."
Probabilmente conoscerete già Paul per il modo in cui ha coperto, per Channel 4 News, la questione Greca, il referendum scozzese e tutti gli altri casi in cui le placche tettoniche dell'economia e della politica si sono trovate a collidere in giro per il mondo. Quando ci siamo incontrati, non ho potuto fare a meno di notare le sue spiccate doti comunicative—mi parlava gesticolando non solo con le mani, ma con tutto il corpo. Dietro il giornalista economico dall'approccio piuttosto classico c'è un intellettuale radicale il cui pensiero affonda le sue radici nella sinistra tradizionale—da giovane Mason faceva parte di Workers' Power, un'organizzazione trotzkista—che riesce a trovare spazio e sfogarsi solo negli editoriali che scrive per il Guardian e nei suoi libri, come il bestseller del 2012, Why It's Kicking Off Everywhere: The New Global Revolutions.
La copertina del nuovo libro di Paul Mason
Le recenti lamentele di Paul McCartney sulla paternità dei diritti di Sgt. Pepper mostrano bene uno dei modi in cui la tecnologia distrugge le fondamenta del capitalismo. Come si fa a mettere d'accordo domanda e offerta quando l'offerta di un film mp3 è infinita? Non si può, ed è questo ciò che porta a quello che Mason ha denominato il "vortice del prezzo-zero." In questo vortice finiscono per cadere anche beni tangibili—il valore di un paio di scarpe, per esempio, dipende "più da un'idea e dal modo in cui essa si diffonde nella società (il brand) che non da costo fisico di produzione." Se a questo aggiungiamo la distruzione totale della relazione tra il costo di un bene e i soldi che guadagnano dal produrlo le persone che lo producono vediamo qual è il vero problema fondamentale del capitalismo? Il sistema può sopravvivere se tutto diventa gratuito?
Secondo Mason non può e le avvisaglie del passaggio al postcapitalismo sono già visibili in quelle che chiama "reti individuali"—i giovani iperconnessi che, proprio come i Beatles prima di loro, vogliono solo scopare. Ma questi giovani possono non limitarsi a Tinder e Happn e usare le tecnologie a loro disposizione per molte altre cose—devono solo accorgersene.
"Se inizieranno a capire il potere della cooperazione e a considerarlo alla stressa stregua delle loro capacità personali, saranno in grado di utilizzare quel potere in modi molto più interessanti."
Mentre dice questo, non posso fare a meno di pensare allo stereotipo della generazione di giovani cresciuti con internet e diventati dei cutester che vanno nei bar che servono solo cereali e mettono le foto di quello che mangiano su Instagram. Secondo Mason, sono dei leader rivoluzionari in potenza.
Paul fa l'esempio dei lavoratori delle fabbriche cinesi, che in Occidente sono percepiti come produttori di smartphone e non come utilizzatori avidi di quello stesso dispositivo: "Seguono un regime molto rigido, e durante le ore di lavoro non gli è permesso nemmeno toccare il loro smartphone. Ma nel loro tempo libero e nelle pause—per dire, anche quando vanno in bagno—la prima cosa che fanno è usare il cellulare e scriversi a vicenda,'Quanto ti pagano? Il mio amico del villaggio X che vive nella bidonville Y viene pagato Z, a te pagano tot, a me pagano tot—non è giusto."
Ma non si tratta delle rivoluzioni fatte su Twitter da gente arrabbiata che ha sfruttato un nuovo mezzo per far sentire la sua voce—la questione riguarda il modo in cui definiamo noi stessi. "Il fatto è, che persone vogliono essere? Quando i sociologi li intervistano dicono sempre la stessa cosa, 'Guarda, quando esco dalla fabbrica vado all'internet cafè ed è lì che vivo. È lì che esisto, la fabbrica è un non-luogo.'" Essere sempre interconnessi ha cambiato profondamente la nostra identità, afferma Paul, dandocene una nuova che è molto più importante, a suo dire, della consapevolezza di classe.
"È una sublimazione del proletariato—che è un termine marxista ed è ottimo per descrivere questa situazione. Significa che il proletariato è stato distrutto ed è rinato dalle sue ceneri—un po' come la Khaleesi con i suoi draghi, hai presente?" mi dice facendo un riferimento a Game of Thrones che ho poi dovuto cercare su Google.
Non che lui apprezzi questo cambiamento. "È una cosa particolarmente importante per me, che vengo da una città industriale e sono stato cresciuto in un ambiente in cui eri il lavoro che facevi. Questi lavoratori cinesi sono quello che fanno nel momento in cui riescono ad andare in bagno e guardare il loro smartphone."
Il cambiamento di identità è ancora più marcato nel primo mondo, dove l'identità lavorativa tradizionale si sta sfaldando sempre più.
"La maggior parte dei lavoratori non pensano nemmeno più come dei lavoratori. Non hanno più la mentalità collettivistica e l'impostazione a considerare il lavoro la prima cosa e tutto il resto un accessorio; di fatto, tendono a vivere le loro vite nella direzione opposta. I sindacalisti se ne stanno accorgendo: c'è uno scarto che è proprio anagrafico. I lavoratori sotto i 35 anni non vedono motivo di iscriversi al sindacato, mentre quelli sopra i 35 è la prima cosa a cui pensano dopo l'assunzione." Si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo.
"Vai in India—vedrai un sacco di bandiere comuniste, un sacco di gente che lavora nella fattorie di cotone, una sorta di proletariato vecchio stampo. Vai dai sindacalisti, che hanno tutti circa 50 anni. Chiedigli 'Qual è il problema principale del sindacato oggi?' Vedrai che ti risponderanno, 'Le persone con meno di 35 anni non vogliono iscriversi perché non possono permetterselo o perché non hanno più fiducia in questo modello.' Tutto ciò ti fa capire che non sono solo i giovani di Soho e Shoreditch non si iscrivono al sindacato. È proprio una questione generazionale."
Si tratta di affermazioni eretiche per la persona di sinistra media, che pensa che questo proletariato sia la classe che cambierà il mondo rovesciando i Donald Trump e i Philip Green che lo governano adesso. Invece, secondo Paul un nuovo tipo di sharing economy crescerà sotto la superficie del capitalismo fino a distruggerlo dall'interno. La domanda su come avverrà questo cambiamento dipende più da come lo stato ha creato il capitalismo che non da coloro che intendono distruggerlo.
"Lo stato dev'essere ripensato in quanto motore di transizione," afferma—intendendo che va considerato un catalizzatore del cambiamento e non un bastione dello status quo. "E la transizione sarà piuttosto lunga—non stiamo parlando di un paio di anni, stiamo parlando piuttosto di 50," mi ha detto Paul.
"E scordiamoci la possibilità di difendere alcune parti del vecchio sistema. Pensate a come può cambiare la società in 50 anni. Pensate al modo in cui possono cambiare, in 50 anni, i suoi problemi principali—il cambiamento climatico e l'invecchiamento—e a qual è il potenziale della tecnologia. Se pensate a tutto questo, potete capire che bisogna fare esattamente quello che ha fatto la Gran Bretagna all'inizio dell'Ottocento. Si sono detti, 'Lo scopo di questo paese è spianare la strada al progresso'—costruendo ferrovie, fabbriche, e così via. Proprio letteralmente: lo stato arrivava e diceva, 'Bene, ci serve una ferrovia da qui a qui, chi se ne frega di quelli che vivono in mezzo.'"
E oggi bisognerebbe fare lo stesso. Secondo Mason, lo stato dovrebbe promuovere un nuovo sistema oltre il capitalismo, che lui chiama "progetto zero"—perché, scrive, "i suoi obiettivi dovranno essere l'eliminazione delle emissioni serra, la produzione e la fornitura di servizi con zero margine di profitto e la riduzione del tempo destinato al lavoro che dovrà avvicinarsi il più possibile allo zero."
A questo punto ero un po' confuso. Quindi non è vero che la tecnologia, invece che distruggere il capitalismo, lo sta trasformando in qualcosa di diverso? "Punto primo, è un sistema che si basa meno sui soldi," mi dice Paul. "Punto secondo, sempre più persone mettono in comune oggetti e servizi—e questa tendenza non può essere monetizzata. È come l'economia del dono. Un piccolo imprenditore degli anni Trenta cercava di fare i soldi a discapito di tutto e di tutti, soprattutto di fornitori e clienti. Oggi le cose sono cambiate ed c'è più interdipendenza, è palese che se le cose vanno bene per gli altri vanno bene anche per te.
I greci protestano contro il nuovo salvataggio greco. Per Paul Mason, i partiti della sinistra tradizionale come Syriza avrebbero bisogno di evolversi per avere successo. (Foto di Panagiotis Maidis)
"In città come Barcellona e Atene ci sono un sacco di spazi autogestiti, un sacco di persone che si organizzano e collaborano al di fuori del loro lavoro. Gli chiedi che lavoro fanno e ti rispondono, 'Il cameriere, ma è solo il mio lavoro, non me ne frega niente di fare il cameriere—quello che mi interessa è questo.'" La chiave sta nel non vedere più questi spazi come dei luoghi dove rifugiarsi nei tempi lasciati liberi dal capitalismo, ma come dei modelli in grado di rimpiazzarlo.
Dall'altra parte, a fare da contraltare alle comunità autogestite di Barcellona e Atene, ci sono Twitter, che in questo periodo sta cercando di introdurre delle regolamentazioni per il diritto di autore delle battute—"Non è ridicolo?" mi ha detto Paul, "voglio dire, è folle"—e Facebook, che fa soldi vendendo i dati dei suoi utenti. Per ogni Wikipedia che distrugge il mercato della pubblicità nel settore delle enciclopedie online, c'è anche un Ello—il social network senza pubblicità che avrebbe dovuto distruggere Facebook ma non c'è riuscito.
Che impatto hanno davvero le versioni user-friendly dei servizi sulle loro alternative? Quant'è diminuita la pirateria nel mondo della musica e del cinema oggi che esistono Spotify e Netflix?
"Probabilmente un po' è diminuita, ma io penso che il problema sia che non si può più andare avanti a monetizzare la proprietà. Probabilmente se potessi chiedere a Facebook, 'Di cosa potreste fare a meno?' loro mi risponderebbero, 'Di tutta questa storia degli amici, degli stati e delle conversazioni tra contatti.' Direbbero, 'Quello che ci interessa davvero sono le pubblicità e i video.'
A un certo punto, afferma Paul, le varie Wikipedia del mondo diventeranno grandi quanto Facebook. "Penso che il punto di rottura nella transizione verso il postcapitalismo arriverà quando il mercato e il non-mercato avranno più o meno le stesse dimensioni."
Mentre continuiamo a parlare, mi sento sempre più conscio di tutto ciò che non so e sempre meno conscio di tutto quello che so sui termini in cui potrebbe avvenire il passaggio al postcapitalismo. Che le predizioni di Paul siano accurate o meno, non sono totalmente convinto che la prospettiva che immagina sia desiderabile. Nel suo ruolo di "motore" della prima rivoluzione industriale, ammette Paul, "purtroppo lo stato non si è fatto scrupoli in termini di salari, orari di lavoro, lavoro minorile." Come facciamo a sapere che nella transizione verso il postcapitalismo non succederà la stessa cosa? Se lo stato ha smosso mari e monti per creare il capitalismo, cosa gli impedirà di fare lo stesso per assicurare la sopravvivenza del sistema arrivando a creare una specie di tecno-fascismo—diventando meno un "motore" della transizione e più un censore in grado di distruggere i germogli di ogni sistema economico diverso non appena si manifestano? E che dire della "sharing economy" di Uber e Airbnb, che sta creando una classe di sottoproletari disperati—e in cui dovremmo riporre le nostre speranze, perché secondo quanto scrive Paul "dato che l'abbondanza è la sua condizione di partenza, il postcapitalismo porterà spontaneamente, in una certa misura, la giustizia sociale"? L'abbondanza c'è già—abbiamo un sacco di cose ma non le usiamo nel modo giusto. Ma ci sono un sacco di persone che fanno lavori di merda, e la tecnologia non ha ancora cambiato la loro condizione.
Ci sono un sacco di "se" da considerare—non si può cercare di interpretare il presente e predire il futuro senza che sorgano necessariamente migliaia di domande. Eppure, il libro di Mason merita di essere letto—se non altro, per provare noi a riflettere su quelle stesse domande, a meno di non voler passare la vita a domandarci sempre come mai le cose cambiano intorno a noi. È una previsione convincente del destino delle forze macroeconomiche che governano le nostre vite. Per cui compratelo—non aspettate che qualcuno lo scannerizzi e lo metta in free download su internet.
Segui Simon su Twitter: @SimonChilds13
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