domenica 23 agosto 2015

Questa è disperazione. Questa è una situazione mai avvenuta. E coinvolge tutta l'Europa.

Immigrazione, reportage tra i profughi nell'isola greca di Samos: "L'Europa ha chiuso gli occhi, ma indietro non si torna"

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Un miglio di mare per lasciarsi alle spalle la guerra, l'Isis del terrore, ma soprattutto l'assenza di futuro. È in quelle poche bracciate d'acqua che dividono Samos dalla Turchia che Kamil, Bilal e Salima adesso guardano con qualche speranza: nell'isola di Pitagora ed Epicuro, la culla verde del vino dolce raccontata anche da Erodoto, loro come tanti dei due milioni di profughi siriani accalcati lungo il confine, sono sbarcati all'alba. Un tragitto breve, in gommone, là dove l'Egeo si restringe al punto che la Grecia quasi sfiora la costa turca: Posidonio, uno dei tanti attracchi dell'isola, da un lato i turisti che ancora affollano le spiagge, dall'altro la processione silenziosa e composta di chi è scappato dal proprio paese e cerca scampo altrove. 
La Grecia è solo un corridoio, un ponte verso altre mete, e Samos che ancora non ha lanciato l'allarme - anche se il numero di immigrati presenti cresce a dismisura - onora la filoxenia dei suoi avi: perché non si può restare indifferenti e voltarsi dall'altra parte di fronte al convoglio umano che attraversa ormai tutti i giorni una fetta dell'isola, dicono gli abitanti di qui. Da Posidonio appunto al porto di Vathi, Samos città: 14 km sotto il sole ch Kamil e gli altri percorrono in fila lungo il ciglio della strada costeggiata di uliveti. Ci sono le donne, Salima, ma anche Amira, strette nei jeans e coperte dal velo, quelle giovani, sono madri, studentesse a caccia di una vita.
Ci sono le anziane, come Aidha, abito nero e bastone di fortuna a cui sostenersi in questo ennesimo pezzo di esodo: non ci sono gli uomini maturi, sono rimasti a casa, ma sono tanti i bambini. Stringono la mano delle mamme, sorridono, senza giochi, un lecca lecca in bocca, con l'infanzia sospesa: dalla Siria hanno portato via poco, praticamente nulla, e sta tutto in qualche sacchetto di plastica. "Noi siamo qui solo di passaggio - dice Kamil - vogliamo salire su una nave e arrivare lontano. Questo calvario dovrà finire. Ma siamo grati a chi ci ha accolto". Puntano alla Macedonia che ormai ha aperto le frontiere: "indietro non torniamo - dicono - abbiamo donne e bambini stremati da un viaggio senza fine. Scappiamo non perché non amiamo il nostro paese, ma perché lì non c'è più speranza".
Alle tre del pomeriggio il gruppo di kamil è al porto di Samos: qui li attende un'alta sosta, che rischia di durare qualche giorno ormai. Il numero cresce, non ci sono barche in partenza a sufficienza e la polizia deve sbrigare le pratiche per farli partire. E così il piazzale e il viale del porto si trasformano in dormitori a cielo aperto: lungo le reti di recinzione panni stesi, negli anfratti bagni di fortuna. Ma l'attesa cresce e le condizioni anche igieniche peggiorano. A Samos è scattata la solidarietà, nonostante la crisi che ha messo in ginocchio l'intero paese, il braccio di ferro con l'Europa dei più ricchi, il referendum, le dimissioni di Tsipras, e quella voglia di non mollare che qui si respira ovunque. "Non sono poveri loro, anzi: i siriani arrivano qui senza niente ma con i portafogli pieni di contanti - racconta George, che con sua moglie gestisce appartamenti da affittare nel villaggio a cartolina di Kokkari durante la lunga stagione di vacanza - hanno tablet di ultima generazione e smart phone super, ma poi hanno bisogno del necessario che hanno dovuto lasciare a casa. Tutti gli abbiamo portato vestiti e resto".
"La Germania l'Olanda, l'Europa ha chiuso gli occhi di fronte a questo dramma - dice Ioannis che dal suo distributore di benzina lungo la strada che porta a Samos città ogni giorno vede passare la carovana di profughi - anche qui tra poco sarà emergenza. L'isola è piccola, non li può accogliere tutti. Come in Italia, l'unica ad aver mostrato solidarietà in questi anni, penso a Lampedusa... ma non si puó restare indifferenti. Questa gente fugge perché è disperata, ma noi da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo già tanti problemi... e gli altri paesi pensano a tirar su muri". Ormai è l'imbrunire, Kamil e gli altri sanno che li attende ancora una lunga sosta. C'è da dormire in strada, da pensare ai bambini: l'eco del caos macedone qui ancora non si sente. Sulla banchina del porto ci sono gli altri, quelli sbarcati prima. La polizia li fa passare a piccoli gruppi, un'altra processione, poi seduti a terra per un'altra attesa. Quella della prima nave che verrà.
Kamil sorride: "ci siamo, tra poco toccherà anche a noi...". E non sarà solo quel miglio di mare che dalla Turchia li ha portati qui.
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Tra i profughi di Samos
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LaPresse

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