domenica 30 novembre 2014

E pensare che i grillini e Civati hanno sempre pensato a patti segreti. Della serie .... quando uno non capisce che Renzi non è D'Alema.

Renzi a Berlusconi: “Prima si vota Italicum, poi Quirinale”

Il premier parla di Ilva e non esclude una soluzione di intervento pubblico per il salvataggio. La riforma dell'articolo 18, invece, per Renzi, servirà a "sbloccare la paura"
ROMA – Il presidente del Consiglio Matteo Renzrilascia una lunga intervista a Claudio Tito per Repubblica. Intervista in cui manda messaggi precisi ad alleati e avversari. A Silvio Berlusconi che ieri 29 novembre è tornato in piazza, per esempio, dice chiaramente che prima si vota l’Italicum e poi si parla di Quirinale. Alla sua opposizione interna, la sinistra Pd, spiega che la scelta è tra il Jobs Act, la sua riforma del lavoro e quella della Troika. A Beppe Grillo, invece, Renzi non ha nulla da dire se non constatare che è stato “divorato dal Pd”.
Il premier, poi, si sbilancia sull’Ilva di Taranto. E non esclude, anzi sembra indicarla come strada principale,  l’intervento di un soggetto pubblico per salvare il colosso dell’acciaio.
Alcuni passi dell’intervista
Legge elettorale prima di tutto, insomma. Spiega Renzi a Repubblica
“L’Italicum è in aula a dicembre” e Berlusconi “si è impegnato con noi a dire sì al pacchetto con la riforma costituzionale entro gennaio. Io resto a quel patto”. 
Sulla elezione del nuovo capo dello Stato, invece, Renzi ricorda che Napolitano è al suo posto e non fa nomi:
“I nomi si fanno per sostenerli o per bruciarli. È sempre la stessa storia dal 1955. La corsa è più complicata del palio di Siena. E i cavalli non sono nemmeno entrati nel campo”. Quindi sul metodo per la futura elezione: “È bene che il presidente della Repubblica si elegga con la maggioranza più ampia possibile. E dico ‘possibile’”.
Questione Ilva. Renzi ribadisce che per lui l’acciaio va gestito dai privati ma che, in questa fase è possibile intervenire con un soggetto pubblico per “non far saltare Taranto”.
«A Taranto, ad esempio, stiamo valutando se intervenire sull’Ilva con un soggetto pubblico. Rimettere in sesto quell’azienda per due o tre anni, difendere l’occupazione, tutelare l’ambiente e poi rilanciarla sul mercato. Non vivo di dogmi ideologici, non sono fautore di una ideologia neoliberista. Il dibattito sull’articolo 18, invece, è quanto di più ideologico. Il sindacato che non ha scioperato contro Monti e la Fornero, lo fa adesso contro il governo che ha fissato i tetti degli stipendi ai manager, ha dato gli 80 euro e ha tagliato i costi della politica. Noi stiamo sul merito, non sull’ideologia: sono sicuro che molti di loro cambieranno idea quando vedranno i decreti del Jobs act».
Facciamo un passo indietro. Che intende per intervento pubblico sull’Ilva?
«Ci sono tre ipotesi. L’acquisizione da parte di gruppi esteri, da parte di italiani e poi l’intervento pubblico. Non tutto ciò che è pubblico va escluso. Io sono perché l’acciaio sia gestito da privati. Ma se devo far saltare Taranto, preferisco intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato ».
È la teoria sostenuta da molti economisti, a partire da Krugman, negli ultimi anni.
«La vera partita si gioca in Europa. Il Piano Juncker è un primo passo ma al di sotto delle mie aspettative. Glielo diremo al prossimo consiglio europeo. Il paradigma mondiale dovrebbe essere la crescita. Su questo sono d’accordo destra e sinistra: Obama e Cameron, Brasile e Cina. Al G20 in Australia molti di noi lo hanno sostenuto, ma non tutti».
Sul fronte sindacale Renzi ribadisce di non voler cambiare l’Italia contro il sindacato. E dell’articolo 18 spiega: servirà a sbloccare la paura

Sarà pure inesistente ma il segretario della Cgil, Susanna Camusso, l’ha attaccata pesantemente.
«Il segretario della Cgil ha la necessità di tenere alta la tensione e i toni in vista dello sciopero generale. È legittimo e comprensibile. Ma la mia priorità è un’altra: tenere la discussione sul merito delle cose. Capisco la Cgil ma nel frattempo noi dobbiamo cambiare l’Italia e quindi non cado nella polemica».
Lei si pone l’obiettivo di cambiare l’Italia. Ma a volte sembra che voglia farlo contro il sindacato.
«No. Io lo faccio contro chi frena. Se il sindacato ha voglia di cambiare e dare una mano, ci siamo. Ma se pensano di bloccarci, si sbagliano di grosso. Il tema vero oggi è creare lavoro, non farci i convegni. Affrontare crisi industriali come quelle di Taranto, di Terni, quella dell’Irisbus. Dare nuove tutele a chi lavora e non la polemica ideologica. Questo è il governo che ha dato 80 euro a chi ne guadagna meno di 1500 al mese, che punta sui contratti a tempo indeterminato. È semplicemente quel che deve fare una sinistra moderna ».
Lei davvero crede che il Jobs act possa essere risolutivo?
«Risolutivo no. Però so che quella legge dà garanzie a chi non ne aveva, come le mamme con un contratto precario. Estende gli ammortizzatori sociali a tutti. Annulla i co.co.co, co.co.pro e quella roba lì. Dunque, si fa. Però non bastano le regole: l’occupazione si rilancia scuotendo il Paese, facendo la lotta alla burocrazia, alla corruzione, all’evasione. Semplificando l’accesso al credito. Tutto questo è il compito di una sinistra moderna».
Anche l’abolizione dell’articolo 18 è un compito della sinistra moderna?
«La nuova norma servirà a sbloccare la paura. Molte aziende non assumono perché preoccupate di un eccesso di rigidità. Mancava certezza nelle regole. Noi stiamo rimuovendo gli ostacoli. È anche un elemento simbolico perché si dimostra che l’Italia può attirare gli investimenti».
Non tutti pensano che sia proprio una riforma di sinistra.
«Per molti è una coperta di Linus. Bisognerebbe rileggersi un intervento di Luciano Lama del ‘78, allora cambierebbero idea. Essere di sinistra è anche garantire agli imprenditori di fare impresa e creare posti di lavoro. Senza steccati ideologici».
Infine una battuta secca sull’opposizione interna al Pd. Renzi sembra indicare la porta a chi troppo mugugna

Veramente c’è chi minaccia anche la scissione.
«Nel Pd ci sta chi ne ha voglia. Chi minaccia la scissione un giorno sì e un giorno pure, deve chiarirsi solo le idee e capire se crede a un partito comunità. La regola dello sgambetto al governo non funziona più».

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