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ROMA - "Al lavoro e alla lotta". Avanti con la protesta perché "non siamo tristi e non siamo scoraggiati. Nessuno, neanche questo governo potrà cancellare la voce del lavoro". Lo scontro sull'articolo 18 non si ferma qui, né si fermerà "con l'ennesima fiducia che l'esecutivo chiederà in parlamento". L'intenzione dichiarata a piena voce dinanzi a un milione di persone (le stime sono quelle degli organizzatori) è di procedere verso lo sciopero generale. E per sostenere "le richieste" inoltrate a Matteo Renzi in tema di lavoro e diritti, la Cgil oggi si dice pronta a "usare tutte le forme necessarie", perché noi "non difendiamo solo chi le tutele le ha già, ma chiediamo che" quelle esistenti "siano estese a tutti".

Dinanzi a una piazza che, quanto a numeri, ha risposto in maniera convinta - e da tutta Italia - alla chiamata lanciata dal sindacato contro un jobs act definito "paradossale" da alcuni esponenti dello stesso Pd che hanno voluto partecipare assieme alla Sel di Nichi Vendola e a difesa di un articolo 18 che dodici anni dopo la grande mobilitazione al Circo Massimo torna a scaldare gli animi (ma con attori, protagonisti, contesto e ruoli politici differenti), la leader Susanna Camusso ha spinto sull'acceleratore, consapevole che, dalla Leopolda di Firenze (l'edizione numero 5 bollata come "imbarazzante" dalla dem Rosy Bindi), occhi e orecchie stamani erano rivolti a piazza San Giovanni a Roma, nel tentativo di capire quanto il test sulla tenuta di un sindacato in forte crisi di rappresentanza fosse stato superato o no: "Sabato ci conteranno a uno a uno", aveva previsto la segretaria qualche giorno fa nonostante il premier avesse chiarito che era finito il tempo in cui una manifestazione poteva bloccare il governo. Oggi, tuttavia, il monito della segretaria: questa non è la passerella di nessuno, non è la conta di chi c'è e di chi non c'è, ha detto riferendosi a quella minoranza democratica (da Fassina a Civati a Cuperlo passando per Damiano, Epifani e Cofferati) che a San Giovanni c'era.

Salita sul palco dopo le testimonianze di tredici lavoratori, il flash mob improvvisato da un gruppo di giovani e il 'Nessun dormà intonato dall'Opera di Roma, la Camusso (anticipata da un video ironico in cui a imitarla è stato Maurizio Crozza) è partita in quarta. Ha esordito dicendo "qui non ci sono camicie bianche, qui ci sono i colori del lavoro". Poi ha attaccato in modo diretto Renzi che "ha usato toni non rispettosi di questa piazza" e non ha risparmiato neanche il finanziere Davide Serra, ospite peraltro alla Leopolda, "che si permette di dire che bisogna intervenire sul diritto di sciopero...Ma quel costo è del lavoratore, non dei finanzieri".

"Noi - ha ribadito con addosso la maglietta bianca e rossa di 'Io sono Marta' - non deleghiamo a nessuno il tema del lavoro. A chi è ossessionato dal numero 80 (i bonus, ndr) rispondiamo dicendo che noi siamo ossessionati dalle percentuali di disoccupazione. Bisogna fare delle scelte, questa piazza è di chi ama il lavoro, di chi lo soffre e di chi lo cura. Senza lavoro buono, con diritti, salario e certezza del futuro, si arretra".

A ruota, l'affondo è dedicato alla legge di Stabilità che "continua a essere costruita con qualche bonus in più ma che non basta. Troppo comodo non guardare a dove si annidano la corruzione e l'evasione. Noi siamo l'unico Paese europeo che non ha una tassa sulla ricchezza. Ci scontriamo con un governo che, per uscire dalla crisi, pensa sempre alla via più bassa. Non va bene che il premier dica all'Ue le cose che poi non fa in Italia. Cominciamo a costruire una strada per il Paese è a porre vincoli per investire in Italia. Bisogna avere il coraggio di non limitarsi a contrattare solo 0,3 decimi...". Ma non è tutto: "Matteo stai sereno", gli dirà poco più avanti, quando racconterà alla piazza di non avere "rimpianti" per la decisione presa dal premier di non usare più la sala Verde di Palazzo Chigi per il prossimo incontro sindacale di lunedì.

Cita la Thyssen, la Camusso, e rincara la dose a difesa dell'articolo 18 puntando il dito contro Confindustria: "Nessuno in buona fede può dire che licenziando si crea occupazione. Stiamo forse organizzando il festeggiamento delle imprese? La funzione di un governo è stare dalla parte di chi è più debole". Nel mirino - in un passaggio rapido - anche la riforma della giustizia: che riforma è, chiede, se non contempla il falso in bilancio?

A fornire manforte a una Cgil che negli ultimi tempi è finita sotto tiro per gli errori commessi negli anni dinanzi all'incalzare drammatico di giovani disoccupati e precari, c'era la Fiom di Maurizio Landini: in mattinata, tra bandiere, slogan, canti e tanti balli, il numero uno delle tute blu e la Camusso hanno raggiunto separatamente il corteo partito con largo anticipo da piazza della Repubblica (due quelli organizzati per l'occasione) ma nelle loro dichiarazioni hanno condiviso il messaggio da lanciare: "Un governo che si dice di sinistra - ha sottolineato Landini che non parlerà dal palco ma solo a margine della 'sfilatà - non può fare politiche di destra. Questa piazza unisce e non divide, la divisione l'ha cercata Renzi. E' una manifestazione enorme, il governo ci ascolti, non faccia accordi solo con Confindustria".

Forte la presenza dei giovani che hanno aperto la manifestazione e fatto da "testa" a tutto il corteo: i pensionati dello Spi si sono piazzati ai lati del 'serpentonè quasi a sottolineare una scelta di campo dovuta (compresa la presenza dei 'nonni per il lavorò al grido di 'largo ai giovani'). E proprio sulla questione, Camusso dal palco ci tiene a difendere il sindacato e a ribadire che non vanno bene "le logiche indistinte in cui siamo tutti responsabili". Oggi con "il lavoro si giocano i destini delle persone ma anche del governo".

Un evento, quello di oggi, imponente: in 150 mila sono arrivati da tutta Italia organizzati con 2500 pullman, dieci treni speciali, una nave e due voli charter dalla Sardegna. Certo, non era facile bissare il successo della manifestazione del 2002, quando Sergio Cofferati portò al Circo Massimo tre milioni di persone che protestarono contro la modifica dell'articolo 18 ai tempi del governo Berlusconi. Ma la Camusso ha espresso soddisfazione: "E' una manifestazione bella, grande, con tanta gente che vuole lavoro e chiede di estendere i diritti".

Al corteo, dietro lo striscione dei poligrafici dell'Unità, c'erano anche Stefano Fassina, Pippo Civati e Gianni Cuperlo, che ieri ha pubblicato un appello a partecipare sul sito di Sinistradem, la corrente della minoranza Pd. "Il lavoro è sotto attacco da tanti anni - ha detto Civati durante il corteo -  ma questa volta è sotto attacco da parte del Pd. Siamo in piazza contro politiche sbagliate, non contro il governo". E si è chiesto: "Renzi vuole fare le cose che voleva Berlusconi?". Per Cuperlo "questa piazza va ascoltata. Mi auguro che in Parlamento ci siano le condizioni e la volontà per migliorare la delega sul lavoro". Mentre Fassina ha ribadito: "Qui c'è un pezzo importante del Pd. Questa manifestazione serve a riportare il partito sulla strada giusta". In un fuorionda, nella soddisfazione generale per la buona partecipazione popolare, Camusso ha confessato a Fassina "Ora possiamo respirare bene".

A sfilare c'erano anche il deputato Alfredo D'Attorre, Sergio Cofferati e Cesare Damiano - tessera numero 1 della Cgil nel 1970 - che hanno assicurato di non voler "picconare" il premier. E mentre oggi parte della minoranza dei democratici è scesa in piazza, a Firenze Renzi e mezzo governo hanno continuato i lavori della Leopolda. Kermesse definita "contromanifestazione imbarazzante" da Rosy Bindi, che ha partecipato al corteo e subito dopo ha litigato in diretta tv su Sky tg24 con Debora Serracchiani, in collegamento dalla stazione fiorentina. Da parte sua, il presidente del Consiglio ha affermato di non temere la piazza: "Rispetto il sindacato - ha detto ieri sera a La7- ma una manifestazione non ci fermerà". Non c'era, invece, Pierluigi Bersani. E anche altri bersaniani che, pur avendo firmato documenti di sostegno a quella piazza, hanno deciso di non partecipare alla protesta sindacale.

Toccante l'esibizione dei coristi e di alcuni musicisti del Teatro dell'Opera di Roma, che saranno licenziati a gennaio 2015 e che hanno eseguito la celebre romanza "Nessun dorma" dalla Turandot di Giacomo Puccini.