Allarme immigrazione: Zaia, Maroni, Toti: l'asse dei governatori di centro destra contro Renzi e Alfano
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"Una provocazione, con tre obiettivi: indebolire Alfano e quindi il governo Renzi; costruire il presupposto perchè a metà luglio venga ridiscusso il Piano nazionale di accoglienza. Ma soprattutto togliere a Mineo il gran business degli immigrati. E questo crea problemi a qualcuno, ma soprattutto a pochi". L'offensiva ligure-padana, leghista e forzista, dura lo spazio di quella manciata di ore necessarie perchè al Viminale chi ha la testa e il cuore sull'emergenza immigrazione possa lasciare un attimo il disastro in corso nel canale di Sicilia per calarsi nelle beghe nazionali. "Ma non era finita la campagna elettorale?" dice un alto funzionario della Direzione centrale della polizia dell'immigrazione.
Il governatore Zaia ha alzato la palla di prima mattina con un'intervista al Corriere della sera. Messaggio chiaro: "In veneto non prendiamo più nessuno. Non c'è più posto". Il governatore Maroni era già pronto sotto rete, a schiacciare la palla: "In Lombardia impediremo a sindaci e prefetti di prendere altri immigrati". Non solo: "Se i sindaci non obbediscono, la Regione taglierà i trasferimenti di fondi". A completare l'operazione, che sembra studiata a tavolino, arriva anche Toti, neoeletto governatore della Liguria. Anche lui "farà uguale". E, già che c'è, "anche qualcosa di più".
Gli strateghi del Carroccio non si riposano mai. Da venerdì notte tra le coste libiche e quelle siciliane quindici barconi e tremila persone alla deriva impegnano il sistema Triton già rafforzato di uomini e mezzi. La direzione di Frontex ha chiarito subito: saranno soccorsi ma se li piglia l'Italia. Tanto per chiarire come si trasforma nei fatti la tanto esaltata "condivisione europea del nodo immigrati".
Comunque, in questo ennesimo impasse, l'affondo di Maroni lascia perplesso il Viminale dove pure il governatore, ex ministro dell'Interno, gode ancora di stima e considerazione. "Un governatore non può ordinare di non prendere immigrati nè ai sindaci meno che mai ai prefetti. Credo che Maroni lo sappia benissimo" osserva Domenico Manzione, sottosegretario all'Interno con delega all'Immigrazione. Il premier Renzi sgombera il tavolo da ogni dubbio: "Auspico da parte dei Governatori del nord un atteggiamento istituzionale". Anche perchè, aggiunge rivolgendosi a Maroni, "qualcuno di loro era al governo quando sono state scritte le regole che non stanno funzionando". L'Italia, ha accusato Renzi, "ha scelto una strategia, e Maroni dovrebbe saperlo, che ha portato agli accordi di Dublino e alle attuali regole che non sono capaci di dare soluzioni, perchè lasciano l'Italia da sola". Amara e puntata l'ironia del ministro Alfano: "Vorrei tranquillizzare il mio predecessore Roberto Maroni: farò ciò che fece lui nel 2011 in piena emergenza immigrazione". Maroni dette il via a un piano straordinario di accoglienza per 50 mila immigrati che impose a sindaci e governatori. Solo che allora il governo dava 80 euro ad immigrato. Il governo Renzi ha tolto l'emergenza e dimezzato quella cifra. Che forse resta sempre troppo alta.
La provocazione dei governatori dura lo spazio di poche ore. Ma è quello che basta per solleticare la pancia di un paese stanco perchè solo davanti all'emergenza immigrati eppure consapevole di non potersi girare dall'altra parte e lasciar affogare migliaia di persone. È chiaro quindi che la mossa a tre -Zaia, Maroni, Toti - punta non tanto alla disobbedienza di sindaci e prefetti (sarebbe un reato). Come è chiaramente un ricatto impossibile quello di minacciare il taglio dei fondi ai sindaci. C'è altro sul tavolo di Maroni: stressare la struttura del Viminale e dei suoi organi periferici (le prefetture), indebolire il ministro dell'Interno (che ha già i suoi guai con il sottosegretario Castiglione) ma più di tutto, suggerisce un tecnico del Viminale, "far saltare gli accordi del Piano di accoglienza" e far scoppiare il bubbone Mineo.
Il Piano nazionale di accoglienza è stato firmato il 15 luglio 2014, quando il trend degli sbarchi si stava impennando. A quel tavolo, comuni (ANCI), province (Upi) e Conferenza stato- regioni hanno stretto un accordo basato su due pilastri: condivisione tra centro e enti locali della responsabilità dell'emergenza e del principio dell'accoglienza diffusa. "Quel patto si rinnova tacitamente - aggiunge la fonte del Viminale - ma è chiaro che ogni anno deve essere tarato in base ai flussi".
Al 15 luglio manca un mese. Ed è chiaro come Carroccio e Forza Italia vogliano mettere in discussione proprio i due pilastri decisi un anno fa. In quel caso, il primo effetto collaterale sarà proprio il ridimensionamento del Cara di Mineo che da centro di prima accoglienza è diventato un Centro richiedenti asilo, ospita tremila persone ed è, lecitamente o meno (vedremo cosa diranno le inchieste) una macchina da soldi (45 euro per ogni ospite fa circa quattro milioni al mese) per cooperative e consorzi. La Sicilia sopporta il 22 per cento (al primo posto Mineo) degli arrivi che significa anche, come sappiamo, un bel giro di soldi. Dopo la Sicilia c'è Lazio (12%), Lombardia (9%), Campania (8%), Puglia (7%), a seguire Piemonte e Calabria (6%), Emilia Romagna (5%), Toscana e Veneto (4%). Una suddivisione con evidenti asimmetrie.
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