Chi è Sergio Mattarella, il candidato di Renzi
Dalla Dc alla storica riforma elettorale, Sergiuzzo è pronto per salire al Quirinale: Renzi ci pensa
C’è chi lo definisce un siciliano atipico «perché di favori non ne ha mai fatti a nessuno». E forse anche per questa sua avara imparzialità Sergio “Sergiuzzo” Mattarella, nato il 23 luglio del 1941 a Palermo, occhialini spessi e poche parole, è uno dei profili che più si addice per la successione al Quirinale. Una vita nella Democrazia Cristiana, storico Moroteo (corrente di Aldo Moro), giudice della Corte Costituzionale dal 2011. Il suo curriculum politico si snoda tra la prima e la seconda Repubblica. Già vice presidente del Consiglio del governo D’Alema, già ministro della Difesa, già ministro dell’Istruzione, già Ministro per i Rapporti col Parlamento del governo De Mita. Eppure alla storia del Paese Mattarella è passato per l’omonima riforma elettorale: il Mattarellum in vigore in Italia dal 1994 al 2001.
Il suo nome, ormai è cosa nota, è inserito nella lista di papabili che da qualche tempo il premier Matteo Renzi mostra ai pochi fedelissimi: i due sono per di più legati dalla stima comune per l'ex sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Si dice che sia il secondo, appena dopo Anna Finocchiaro, tra i preferiti del segretario del Pd. «Pugno di ferro in guanto di velluto. Decisione, determinazione e riservatezza in un amalgama di intelligenza e umorismo tagliente», lo ha definito il Sole 24 Ore. «In confronto a lui, Arnaldo Forlani era un movimentista», scrisse il Corriere della Sera diversi anni fa. «Gentile ma deciso» lo tratteggia Livesicilia, Mattarella ha attraversato la storia della Repubblica Italiana sempre con carattere e rispetto delle Istituzioni. Non a caso Paolo Mieli, storico e presidente di Rcs, lo ha già messo in pole position. «I giochi sono fatti, il presidente sarà Mattarella», ha detto in un’intervista a Sky.
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In realtà di certo non c’è ancora nulla. Lui non parla, resta in silenzio, chiuso alla Consulta. A scegliere il successore di Giorgio Napolitano, probabilmente, saranno le alleanze trasversali tra correnti e l’incognita dei franchi tiratori. Eppure almeno sulla carta tutti gli indizi portano a Mattarella. E' un uomo legato alla storia del Partito democratico, come chiede Renzi. Prima nella Margherita, poi tra i fondatori dell’Ulivo. E' un cattolico, come auspicano molti nel Palazzo. Soprattutto, è un servitore dello Stato. Un profilo adatto per la legislatura costituente che il premier ha in mente. Più volte ministro dei Rapporti con il Parlamento, membro della Consulta, padre della storica legge elettorale. Insomma, chi meglio di Mattarella potrebbe vigilare sulla grande stagione delle riforme? Sulla sua figura, infine, può saldarsi il Patto del Nazareno. Particolare non da poco. Pare evidente, infatti, che di fronte a un esponente della prima Repubblica gli esponenti del Movimento Cinque Stelle finirebbero per sfilarsi.
E poi ci sono gli sponsor. In Parlamento si racconta che le truppe mattarelliane siano state le prime a schierarsi. Un incontro neppure troppo nascosto, celebrato due sere fa in un ristorante di fronte al Pantheon. Al convivio avrebbero partecipato una sessantina di esponenti Pd, uniti quasi tutti da una comune provenienza popolare. Con loro, nel ruolo di osservatore interessato, anche il vice segretario del partito, Lorenzo Guerini. A detta di qualche presente, durante la cena sarebbe stato informalmente presentato al dirigente democrat un fronte unito e leale. Una rappresentanza rilevante della platea di grandi elettori che dal prossimo 29 gennaio inizieranno a votare per il prossimo presidente della Repubblica.
La chiave per portare Mattarella al Quirinale è anche la sua storia. L’ex ministro è innanzitutto figlio di un pezzo da novanta della Dc di Alcide De Gasperi, quel Bernardo Mattarella che partecipò come membro dell'ufficio di presidenza all’Assemblea Costituente dove si posero le basi della nostra Repubblica. Accusato negli anni ’60 di collusioni con la mafia siciliana, i processi per diffamazione gli diedero ragione confermando «in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso». E soprattutto fu la tragedia di Piersanti, fratello di Sergio, ucciso in un agguato mafioso nel gennaio del 1980, a confermare che la famiglia Mattarella si era sempre opposta alla mafia, con «onestà e coraggio», come spiegò l’ex procuratore Capo di Palermo Giancarlo Caselli. E ulteriore testimonianza è arrivata dall’attuale presidente reggente Pietro Grasso, che nel libro “Per non morire di mafia”, ha scritto che Piersanti Mattarella “stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un'autentica rivoluzione».
Eletto per la prima volta in parlamento nel 1983, fidato di Ciriaco De Mita, da sempre nella corrente più a sinistra della sinistra della Dc, cioè quella di Moro, una minoranza della minoranza, Mattarella è stato tra i protagonisti della nascita del Partito Popolare Italiano insieme con Beniamino Andreatta e Rosi Bindi. Uscito indenne da Tangentopoli, temuto, stimato. I nemici, scrisse Gian Antonio Stella, «non lo sopportano per quel "suo modo gesuitico di sussurrare" e non perdono occasione per ricordargli maligni la contraddizione tra l’essere cresciuto nella Dc di Lima e Ciancimino (che apparteneva alla corrente del padre, Bernardo Mattarella) e il portare insieme la croce da «Martirello». Di soprannomi ne ha pure troppi. Stefano Bartezzaghi nel tratteggiare quella legge elettorale «impasto di sottigliezza, intelligenza, fluidità, durezza e inafferrabilità siciliana» ne scrisse l’anagramma «O’ l’arte magistrale». O meglio la «mediazione del nulla».
Maggioranza e minoranza Pd. Il nipote Bernardo è un bersaniano di ferro in Sicilia. Il figlio Bernardo Giorgio, invece, guida l’ufficio legislativo del dicastero della Funzione Pubblica dove è ministro Marianna Madia. Non solo. Oltre a vantare ottimi rapporti con la magistratura, “Sergiuzzo” sarebbe «un imparziale presidente del Consiglio Superiore della Magistratura» assicura un togato. Ma certo, anche Mattarella ha il suo tallone d’Achille. Anzi, due. La sua levatura internazionale, minore rispetto ai profili di Giuliano Amato e Romano Prodi. E il rapporto umano con Silvio Berlusconi. Mattarella è noto perché nel 1990 si dimise dal governo Andreotti in polemica contro la legge Mammì, «troppo a favore di Fininvest».
Qualcuno ricorda anche le critiche a Rocco Buttiglione, che nel 1995 voleva allearsi proprio con l’ex Cavaliere. «El general golpista Roquito Butillone...», lo apostrofò, definendo quell’ipotesi «un incubo irrazionale». Abbastanza per un veto berlusconiano alla sua corsa verso il Quirinale? Forse no. Dopotutto si tratta di contrapposizioni antiche, ormai figlie di un’altra epoca. Mieli, che lo conosce bene, ha spiegato che Berlusconi potrebbe votare Mattarella anche «perché è stato antiberlusconiano nel passato, all’inizio. Quando l’antiberlusconismo non era ancora nato». Per il Quirinale, dopotutto, un lontano avversario è persino meglio di un ex comunista.
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