Elezione Mattarella, il flop della strategia M5s: "Abbiamo preso una tranvata". 13 degli ex votano il neo Presidente
Pubblicato: Aggiornato:
"Come vivi questa giornata?". "E come la vivo? Pigliamoci quest'altra tranvata". Davanti all'ingresso dell'Aula dove si infilano i grandi elettori per scrivere il nome di Sergio Mattarella, il commento del senatore del Movimento 5 stelle sarebbe sufficiente a descrivere lo stato d'animo degli uomini di Beppe Grillo.
Non serve infilarsi tra i capannelli dei deputati per scattare la seconda fotografia. Basta aprire il blog di Beppe Grillo. Dove Aldo Giannuli, l'esperto che i grillini consultano per ogni aspetto dello scibile umano, così commenta l'elezione del neo Presidente: "L'esito non è affatto negativo e Mattarella è una persona rispettabilissima e, per certi versi, migliore anche di Prodi". L'unico difetto semmai è quello di essere "troppo signore" da opporsi ai diktat di Matteo Renzi.
Peccato che solo 24 ore fa, quando più di qualche voce nel M5s si era levata - checché ne dicano le smentite di rito - per proporre di convogliare i voti sull'ex democristiano già a partire dalla terza votazione, proprio il blog aveva pubblicato un post per spiegare il silenzio di Mattarella sulle morti causate in Sardegna dall'uranio impoverito ai tempi in cui guidava il ministero della Difesa. "Fantapolitica", il lapidario commento dell'ex ideologo Paolo Becchi.
Con anche una buona dose di schizofrenia. La rottura da parte del premier di quel patto (del Nazareno) - che le truppe stellate avevano sempre considerato inscalfibile a meno che l'azionista di maggioranza non si fosse rivolto a loro - bypassando completamente il supporto grillino ha consegnato i voti dei 5 stelle all'irrilevanza.
I cronisti che incrociano alcuni senatori che sciamano verso i trolley ripetono come un mantra lo stesso saluto: "Arrivederci, ci vediamo nel 2018". Probabilmente non sarà così, anche in ragione di una maggioranza al Senato tutt'altro che blindata. Ma l'incaponirsi su un nome di bandiera come quello di Ferdinando Imposimato oggi non appare come una scelta vincente.
"Non è un problema di non aver cambiato in corsa il candidato. Quello è il minimo. Il problema è che, quando Renzi ha giocato in difesa, noi ci siamo arroccati. Dovevamo tirare dritti e proporre Prodi già due giorni prima. Che senso ha tirare fuori Imposimato mezz'ora prima dell'apertura delle urne. E per di più dopo che Renzi aveva già fatto il nome del suo candidato?". Il ragionamento di un senatore solitamente annoverato tra i fedelissimi è indicativo. Anche perché assomiglia tanto a quello dell'eterodossa Serenella Fucksia: "Avremmo dovuto fare qualcosa di diverso, magari sostenendo Prodi. Imposimato non era adatto a fare il presidente della Repubblica, a questo punto meglio Mattarella". Paola Taverna si accascia su un divanetto accanto alla collega forzista Cinzia Bonfrisco. Facce non allegre. "Che ne penso? Che voglio andare a casa". Stop.
Il fatto è che, da ieri pomeriggio in poi, i voti della galassia M5s sono diventati completamente superflui, mettendo di fatto gli uomini di Beppe Grillo in un angolo. I gruppi parlamentari, a quel punto, non potevano fare altro che proseguire su Imposimato. La linea sintetizzata oggi da Giannuli: "Non ci siamo sporcati le mani". Le parole di Luigi Di Maio - "Dalla quinta votazione potremmo cambiare candidato" - sono sembrate più un gesto 'disperato' che non una reale speranza che Renzi potesse andare a sbattere nella quarta.
I fuoriusciti hanno continuato a contarsi. "Alternativa libera", il gruppo dei 9 che ha mollato gli ormeggi non più di qualche giorno fa, insieme a Massimo Artini e a sette senatori hanno continuato a votare Stefano Rodotà, pur manifestando apertamente la loro non contrarietà pregiudiziale all'elezione di Sergio Mattarella. Ivan Catalano, Fabiola Anitori e Lorenzo Battista hanno votato Mattarella come i gruppo nei quali nel frattempo sono confluiti (Autonomie-Psi alla Camera, Area popolare, Autonomie al Senato). Altri 10, iscritti al Misto, si sono diretti verso il presidente eletto: Tommaso Currò, Alessio Tacconi, Alessandro Furnari, Vincenza Labriola, Alessandra Bencini, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella, Monica Casaletto, Cristina De Pietro e Luis Alberto Orellana.
"Meglio così - ha commentato un esponente di Alternativa libera - sono quelli che vogliono costruire una nuova sinistra insieme a Sel, l'idea di noi 17 è diversa".
Ma è il gruppo rimasto fedele ai fondatori il più disorientato. Sono amare le parole del capogruppo a Montecitorio Andrea Cecconi: "È stata una mossa politica di Renzi che lascia un po' spiazzati, ci ha messo da parte volutamente. Non ci ha voluto far partecipare alla scelta del Presidente". Sono orgogliose quelle di Roberto Fico: "Noi rispettiamo gli impegni assunti con le Quirinarie davanti agli elettori. Abbiamo fatto tutto il possibile per aprire un dialogo, ma l'unica speranza sarebbe stata che la minoranza di Cuperlo, Bersani e Civati avesse avuto il coraggio di rompere lo schema del loro partito, ma non hanno avuto il coraggio e scelto la via più facile".
A guardar semplicemente le cose, qualcosa non ha funzionato nella "strategia Quirinale" dei 5 stelle. Per questo nelle prossime sarà inevitabile un confronto interno. Che metta in discussione chi decide cosa, quando lo decide e perché. E scusate se è poco. Un confronto necessario per non infilarsi nuovamente in un cul de sac come accaduto in questi giorni. E rialzare la testa. Prima del 2018.
Nessun commento:
Posta un commento