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SAN FRANCISCO - «Presidente Renzi, non cerchi di mandare missili su Marte. Si concentri sui punti di forza italiani». Glielo dice Francesco Lacapra, vicepresidente della Peaxy di San Jose, uno dei cervelli imprenditoriali italiani fuggiti nella Silicon Valley, che oggi incontrano il premier in visita qui. Un altro leader italiano viene ad abbeverarsi alla fonte, nel centro mondiale che tutti vorrebbero imitare, la culla di ogni rivoluzione tecnologica. Sede di Apple e Google, Facebook e Twitter (dove Renzi fa una visita oggi al quartier generale), Intel, Oracle, Yahoo, Ebay e tanti altri colossi dell’economia digitale. Un polo affascinante e temibile: perché qui finiscono per mettere radici tanti italiani di talento, ricercatori e ingegneri, imprenditori e designer, che non tornano più indietro. Secondo il censimento fatto dal console Mauro Battocchi, che ha organizzato la tournée di Renzi, «ci sono almeno 5.000 – 5.500 italiani solo nelle aziende tecnologiche o nelle professioni accademiche e di ricerca qui». Diversi governi italiani hanno provato a farli tornare in patria, con programmi di incentivi, dagli esiti deludenti.


A loro ho chiesto cosa diranno oggi a Renzi: negli incontri del presidente del Consiglio con la comunità italiana della Silicon Valley il tema sarà proprio questo, andare a fondo nelle debolezze di un paese che troppo spesso «caccia i migliori». Chi sta facendo ricerca o innovazione sul terreno, conosce le ragioni che lo hanno spinto all’esodo. Questi discorsi non sono astratti, vanno al cuore della crisi di competitività dell’economia italiana.
I talenti italiani immigrati qui in California non risparmiano le diagnosi severe sui mali che li hanno spinti a partire. «Da decenni – dice Lacapra – in Italia c’è un clima ostile nei confronti di chi si occupa di innovazione tecnologica. Lasciamo stare i paragoni con la Silicon Valley e impariamo almeno dall’India, su come migliorare la qualità dell’istruzione scientifica e tecnologica. Far tornare indietro i nostri cervelli finiti all’estero è irrealistico, basterebbe incentivare i giovani che sono ancora in Italia a non cercare soluzioni permanenti all’estero. Per contrastare le baronie universitarie di casa nostra, cominciamo anche a portare negli atenei italiani più ricercatori stranieri. E smettiamola di trattare i nostri ricercatori come degli stagisti con stipendi da fame». L’invito al realismo, a non darsi traguardi velleitari, lo ripete Fabrizio Capobianco, chief executive di Tok.tv a Palo Alto. La California è un altro pianeta ma un modello su scala più piccola che dovrebbe poter essere replicabile per l’Italia, sostiene lui, è Israele. «Quello è alla nostra portata: un modello che punta sul software, un’attività dove le barriere d’ingresso si sono ridotte, fare software costa pochissimo, si parte da un computer di 500 euro. Il software lo crei a casa tua, in un bosco, al mare. Non hai bisogno neanche di andare in ufficio. In Silicon Valley ci metti il tuo quartier generale come abbiamo fatto noi con Funambol, ma al tempo stesso diamo lavoro a cento giovani ingegneri a Pavia. Quartier generale in Silicon Valley per stare vicino ai giganti del settore, capitale di rischio americano, e cervelli in Italia: è quello fa Israele, possiamo e dobbiamo farlo in Italia, così molti cervelli potranno rimanere a casa».

Andrea Calcagno, chief executive della Cloud4Wi (sedi a San Francisco e Pisa) concorda che «l’unico progetto credibile per aiutare noi giovani è sviluppare modelli misti che utilizzano l’Italia come serbatoio di ricerca ». Ma ci vogliono riforme immediate: «Meno burocrazia, e un sistema fiscale che premi le aziende che assumono nel settore tecnologico. Al tempo stesso, imporre che il 30% degli acquisti della pubblica amministrazione sia rivolto alle nostre start-up».

Valeria Sandei, veneziana di 38 anni, è un altro caso di formula mista che subisce l’attrazione della Silicon Valley ma non impoverisce l’Italia: la sua società Almawave ha sede a San Francisco e in Italia, più Brasile e Sudafrica. Secondo lei è possibile estendere questo modello di “multinazionali leggere” coinvolgendo il nostro Mezzogiorno: «Nell’Italia del Sud abbiamo, per il mondo dei servizi in generale e anche per quelli tecnologici, delle buone competenze inutilizzate. Ma nel mondo del software i tradizionali handicap del Sud come l’arretratezza nella logistica, hanno scarsa importanza. E allora invece di inseguire la produzione di auto a Termini Imerese, perché non puntare su uno sviluppo nel software?». Tra le riforme che lei indica a Renzi come urgenti: «Fisco più leggero sul lavoro, sposti la pressione su forme di tassazione indiretta ».

A Renzi il console Battocchi oggi consegna una mappa delle risorse italiane nella Silicon Valley, frutto di un lavoro di ricognizione a cui hanno partecipato gruppi come the Business Association Italy-America (Baia) e la Mind the Bridge Foundation che organizza incubatori per le start-up italiane. Renzi trova qui un pezzo d’Italia vitale, dinamica e innovativa: da una parte è la riprova che le nostre università continuano a sfornare competenze di primissimo livello; d’altra parte è la conferma che queste competenze fioriscono meglio altrove. Gabriele Bodda, direttore di Baia, confessa una simpatia istintiva verso Renzi per ragioni anagrafiche: «Avere un presidente del Consiglio di 39 anni e con una grande voglia di cambiare l’Italia, è un passo nella direzione giusta. I giovani di talento, sia imprenditoriale che accademico, cercano ambienti limpidamente meritocratici, in cui sia possibile emergere senza che l’età, le origini, o le parentele possano essere d’intralcio». E lancia questa provocazione: anziché pensare solo al rientro dei talenti italiani, proviamo a rovesciare il problema. «Cambiamo prospettiva e chiediamoci perché giovani talenti stranieri non scelgano l’Italia come base per la propria carriera. Cosa attirerebbe più ingegneri e ricercatori indiani e cinesi, tedeschi e francesi e spagnoli? Le stesse cose che convincerebbero un italiano a restare». È un suggerimento da non sottovalutare. Nella speranza che un piano Renzi per affrontare la fuga dei cervelli non faccia la stessa fine dei quattro o cinque che l’hanno preceduto: strombazzati e dimenticati.
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