giovedì 25 settembre 2014

Ma deve essere così. Il PD deve diventare una grande forza di rinnovamento democratico e deve avere il coraggio di mandare a casa i nullafacenti del sindacato e gli incredibili incapaci grillini.

Alla fine anche la minoranza Pd tende la mano a Renzi

Tanto rumore per nulla. L’opposizione è morbida e sull’articolo 18 la spunta ancora il segretario
(ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

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C’erano i venti di scissione, i tentativi di Pier Luigi Bersani di nuovo al centro delle trattative nel riprendersi il Partito Democratico, le minacce di un voto anticipato, i toni belligeranti del leader della Cgil Susanna Camusso, ma nel giro di una manciata di giorni la minoranza democratica è tornata a discutere, alla mediazione con il premier e segretario Matteo Renzi. Dice Gianni Cuperlo a proposito del famigerato Jobs Act: «È possibile una soluzione di buon senso. Io credo che sia dovere del Pd discutere per trovare una posizione unitaria per fare della riforma del lavoro una riforma importante per il paese». Toni più riconcilianti, in netto contrasto con le minacce della scorsa settimana che lanciano una tregua in vista della direzione del 29 settembre al Nazareno. 
Del resto - secondo chi ha partecipato lunedì 22 settembre all’incontro a Montecitorio - la famigerata riunione dei ribelli «più che contro Renzi è stata una resa dei contri all’interno della stessa minoranza». Troppe anime belligeranti, troppi solisti. La quadra è difficile da trovare. C’è chi parla di Armata Brancaleone, per una battaglia contro un premier sempre in alto nei consensi difficile da vincere. I problemi sono gli stessi di sempre. Bersani, tornato non a caso in questi giorni a ricoprire un ruolo di punto di riferimento per gli anti-renziani, ha avuto il suo bel da fare. Ha incontrato tutti, da Giuseppe Pippo Civati, fino a Beppe Fioroni. La sintesi si è trovata. Di guerre non se ne parla, di scissioni benchè meno. «Ma alla fine» spiega un giovane turco «diciamo che in questo pacchetto di minoranza c’è sempre stato un 60% che spingeva per il dialogo con Renzi, un 25% che avrebbe usato toni un po’ meno morbidi ma disposto a trattare e infine un 15% che voleva la guerra nucleare». 

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Ma la bomba atomica negli ultimi giorni è arrivata solo dal Corriere della Sera tramite un editoriale del direttore Ferruccio De Bortoli. Tema che i renziani di ferro come Paolo Gentiloni hanno subito rispedito al mittente. «Quello che trovo fuori luogo è che l’editoriale faccia riferimenti più o meno oscuri e minacciosi alla massoneria» ha spiegato l’ex ministro delle Comunicazioni del governo Prodi. Nel Pd se n’è parlato a lungo in queste ore. C’è chi dice che si sia rotto qualcosa con alcuni poteri italici, ma nessuno vuole uscire allo scoperto. La minoranza non ha cavalcato la questione, anche se proprio Bersani aveva insistito nei giorni scorsi sul rapporto tra Denis Verdini e Renzi. «Il problema», per dirla, come un dalemiano di ferro «è che non siamo più ai tempi degli scontri tra D’Alema e Cofferati sull’articolo 18, questa volta i sindacati non si sono mossi, non ci sono stati scioperi, anzi...».
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Cgil, Cisl e Uil si sono dimostrati più deboli che in passato. Raffaele Bonanni ha persino lasciato il ruolo di segretario, mentre Susanna Camusso è stata pure lei disponibile al dialogo. Di sicuro un atteggiamento mai visto nella sinistra italiana, stigmatizzato da Antonio Polito sul Corriere della Sera di giovedì 25 settembre. «Perché l’articolo 18 la dilania da più di un decennio» scrive l’ex direttore del Riformista «ma anche letteralmente perché, è meglio non dimenticarlo, le ultime vittime delle Brigate Rosse sono stati due giuslavoristi di sinistra, ammazzati per aver osato discutere lo Statuto dei lavoratori». Il punto sulla tregua lo ha messo lo stesso Bersani a Montecitorio: «Se un segretario del partito vuole trovare una sintesi, come penso dovrebbe, non solo secondo me è possibile ma anche abbastanza agevole: basta volerlo».

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I sostenitori della «bomba atomica», tra cui c'è chi individua Stefano Fassina, al momento rimangono in disparte. E anche Pippo Civati negli ultimi giorni è tornato a chiedere al partito di trovare una posizione unitaria. Ora la palla torna a Renzi. Ma allo stesso tempo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti usa toni distensivi sulla direzione di lunedì: «Ci sarà una discussione franca e lineare sulla delega lavoro e una discussione sullo sviluppo dell'Italia e credo che sia una discussione importante. Noi ascoltiamo tutti quanti, sentiamo le opinioni di tutti, poi alla fine governo e Parlamento decidono», ha risposto a proposito dell'apertura del leader della Cgil, Susanna Camusso, sugli anni di 'sospensione' dell'articolo 18 per i neoassunti. Renzi, in sostanza, l'ha spuntata ancora. 

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