mercoledì 24 settembre 2014

Grillo ha capito bene chi lo può eliminare. Vai avanti Matteo.

Blog Grillo a minoranza del Partito democratico: "Compagni, è l'occasione per mandare a casa Renzi"

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GRILLO MINORANZA PD
"Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce?". E' quanto sottolinea un post sul blog di Grillo: la battaglia per l'art. 18 è "l'occasione per mandare a casa Renzi". "Lo scontro che si sta profilando" sul Jobs Act, si legge nel post firmato dall'ideologo del M5S, Aldo Giannulli, "impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell'azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame "riforma", quanto l'occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l'azione parlamentare e con l'azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade".
Anche perchè, si spiega nel post intitolato 'La battaglia per l'art.18', ora "quello che conta di più è il senso politico generale dell'operazione" del governo, "avviare una nuova offensiva di ampia portata contro il lavoro e le sue garanzie. Dopo verrà l'attacco all'illicenziabilità della Pa, l'ulteriore taglio dei salari, l'ulteriore dequalificazione della forza lavoro e la definitiva espulsione del sindacato alle aziende. Tappe che vedremo succedersi rapidamente, una volta ottenuta la legittimazione di una vittoria sulla questione dell'art. 18: quello che conta qui, più che la questione in sè, è la sua valenza simbolica".
IL POST INTEGRALE SUL BLOG DI GRILLO
"A primo colpo d’occhio, la questione dell’articolo 18 sembra una questione di poco conto, su cui si sta combattendo una battaglia del tutto sproporzionata, forse per obiettivi nascosti e ben diversi da quelli dichiarati. Considerato che, la norma, che tutela i lavoratori dipendenti da aziende private con contratto a tempo indeterminato, si applica alle unità produttive con più di 15 dipendenti (5 se agricole), quelle con meno di 15 dipendenti (5 se agricole) se l'azienda occupa nello stesso comune più di 15 dipendenti o se l’azienda ha complessivamente più di 60 dipendenti, c’è da chiedersi quanto siano i lavoratori interessati al mantenimento di questa norma. Considerato che, di assunzioni a tempo indeterminato, le aziende private ormai ne fanno con il contagocce, preferendo i ben più comodi contratti atipici, a tempo determinato, a progetto ecc, (come nell’azienda del papà di Renzi, dove erano tutti lavoratori Co co co, salvo, il figliolo Matteo che era l’unico a tempo indeterminato… ma si capisce!), considerato che siamo di fronte alla precarizzazione di massa di una intera generazione (i 20-45enni), e ci stiamo avviando a precarizzare una seconda generazione, considerato che le aziende hanno subito un processo di spezzettamento per cui è diventata una fatica trovarne che eccedano i limiti numerici fissati dalla norma, considerato, infine, che siamo in presenza di indici di disoccupazione massimi da mezzo secolo, quanti volete che siano i lavoratori a tempo indeterminato in aziende con quei parametri? E tutti si affannano a dimostrare che pochi “privilegiati” non possono ostacolare la via delle riforme compromettendo le sorti del paese. Primo fra tutti a guidare il coro è il Capo dello Stato che, nella sua delicata sensibilità costituzionale che lo vuole sereno arbitro super partes, mette i piedi nel piatto e si pronuncia esplicitamente per la tesi governativa, invitando a farla finita con corporativismi e conservatorismi e approvare la riforma a tamburo battente. Scusate la divagazione: ma come mai questo ex dirigente di quello che fu il maggior partito dei lavoratori italiani, trova che ad essere corporativi siano i lavoratori e solo loro? Lo avete mai sentito dare del “corporativi” o, “conservatori” ai banchieri, che prendono i soldi della Ue, per investirli in altri titoli finanziari. continuando a negarli ad aziende e famiglie? Ci sono i superpagati dipendenti del Parlamento che stanno facendo un casino d’inferno perché non accettano una spuntatura delle loro ricche retribuzioni, come, peraltro, avevano fatti i manager di Stato, gli alti magistrati ecc. qualche tempo fa: Napolitano ha mai denunciato questi privilegi e particolarismi? Possiamo dire solo una cosa: Presidente si vergogni! Tornando all’asse principale del nostro ragionamento: ma se la garanzia riguarda una percentuale tanto modesta di lavoratori, quali risolutivi benefici dovrebbero venire ai bilanci delle aziende? E, più ancora, quale sarebbe la ricaduta sull’economia generale del paese? Ed allora perché prenderla così calda?
Questo non lo dice nessuno, ma ci si limita, Renzi in testa, a sostenere che in questo modo si equalizzano i diritti e, poi, la “fluidificazione” del mercato del lavoro porterà a nuove assunzioni di giovani. Sull’equalizzazione dei diritti dobbiamo dire che Renzi ha ragione, solo che lui non vuole estendere i diritti esistenti a quelli che non li hanno, ma toglierli a quelli che li hanno. Geniale!
Quanto poi agli effetti benefici del circolo virtuoso per cui a minori garanzie per i lavoratori corrisponderebbe una dinamizzazione del mercato, con nuove assunzioni, ci limitiamo a dire che è la stessa litania che sentiamo sin dal “pacchetto Treu” (altro regalo del “centro sinistra”) che liquidò una bella fetta delle conquiste degli anni settanta: sul piano occupazionale avete visto niente? A me risulta che i giovani sono sempre più precari, l’occupazione è in caduta libera, i consumi hanno ristagnato a lungo prima di crollare. Questa “riforma” (almeno, la chiamassero per quello che è: “controriforma”) servirà solo a licenziare un po’ di lavoratori “garantiti”, magari quelli sindacalmente più attivi, per costituirli con altrettanti precari sottopagati. I giovani continueranno ad essere precari come sempre e senza neppure il miraggio di una assunzione a tempo indeterminato che, a questo punto, non avrebbe più alcuna differenza dall’attuale regime precario. Ma quello che conta di più è il senso politico generale dell’operazione: avviare una nuova offensiva di ampia portata contro il lavoro e le sue garanzie. Dopo verrà l’attacco all’illicenziabilità della Pa, l’ulteriore taglio dei salari, l’ulteriore dequalificazione della forza lavoro e la definitiva espulsione del sindacato alle aziende. Tappe che vedremo succedersi rapidamente, una volta ottenuta la legittimazione di una vittoria sulla questione dell’art. 18: quello che conta qui, più che la questione in sé, è la sua valenza simbolica.
La Cgil oggi se ne lamenta, e si può capire, ma in fondo raccoglie quel che ha seminato: per tre anni è stata complice assidua delle sciagurate politiche rigoriste di Monti e di Letta, poi ha servito Renzi con zelo degno di miglior causa, sostenendolo massicciamente anche nelle ultime elezioni europee. Adesso riscuote il prezzo dei suoi servigi: viene licenziata come una colf, senza neanche i sette giorni di preavviso e da un Presidente del Consiglio che è anche il segretario del partito che loro votano. 
Ma lo scontro che si sta profilando impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell’azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame “riforma”, quanto l’occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l’azione parlamentare e con l’azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade. Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, lui, segretario del Pd, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?
Questo sarà uno scontro generale che avrà conseguenze che andranno molto oltre la questione in sé, esattamente come si pensa di fare dall’altra parte della barricata."

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