mercoledì 24 settembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Jobs act, Renzi: discutere, poi tutti si adeguino. Grillo alla minoranza Pd: “Mandiamolo a casa”. Camusso: “Discutiamo quanti anni senza art.18”

Il premier:”«Lunedì le mie idee in direzione”. Sul blog del leader M5S accuse al governo: «Vogliono precarizzare una generazione». Marchionne: «L’articolo 18 crea disuguaglianze»
ANSA
Matteo Renzi e la moglie Agnese con Barack e Michelle Obama

24/09/2014
La Cgil apre sull’articolo 18, Beppe Grillo corteggia la minoranza del Pd e Matteo Renzi, da New York, assicura: la riforma del mercato del lavoro «non è rinviabile». Il premier insiste sull’importanza del Jobs act, da portare a casa in tempi stretti, e dopo la spaccatura interna al Pd sancita dai sette emendamenti presentati dalla minoranza, in Senato, chiarisce che «parliamo con tutti» ma anche che, dopo il voto della direzione, tutto il Pd dovrà adeguarsi. «Lunedì presenterò in direzione le mie idee» sulla riforma del lavoro, che «sono condivise», poi «ci sarà un dibattito: si discute e alla fine si decide, si vota e si fa tutti nello stesso modo, si va tutti insieme». 

Il dibattito sull’articolo 18 resta acceso, non solo sul fronte politico. Da un lato, l’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, sostiene che l’articolo 18 «sta creando disagi sociali e disuguaglianze: questa - dice - non è giustizia» e che la riforma del mercato del lavoro è un segnale. Dall’altro, il numero uno della Cgil, Susanna Camusso, continua a difendere il diritto al reintegro, convinta che cancellare l’articolo 18 significhi rendere il lavoro «più servile», ma apre sulla possibilità di discutere il numero degli anni in cui lasciarlo “sospeso”: «Capisco che ci sia una stagione» in cui «l’articolo 18 non vale» ma è necessario «che sia transitoria», perché «tre anni e sette anni non sono la stessa cosa». Dopo, però, tutti devono avere una tutela piena. 

All’interno del Pd, intanto, si intensificano i contatti tra le diverse anime, proprio in vista dell’appuntamento di lunedì, per arrivare ad una mediazione sul Jobs act. L’attesa è per il ritorno del premier dagli Usa ma qualche esponente dei “Giovani turchi” assicura che si avvertono i primi segnali positivi dal governo e dal partito. Tra i senatori della minoranza Pd firmatari degli emendamenti presentati ieri (tra cui quello di garantire la piena tutela dell’articolo 18 dopo tre anni ai neoassunti con contratto indeterminato a tutele crescenti), Maria Grazia Gatti sottolinea che, rispetto a possibili mediazioni e punti di caduta, «ancora non c’è alcun punto di avanzamento significativo», ma che «c’è la disponibilità a trovare una soluzione, però il reintegro deve esserci. Possiamo ragionare sulle condizioni e sui tempi». 

Nel tardo pomeriggio ha preso il via l’esame della delega nell’Aula del Senato. Gli emendamenti complessivamente presentati sfiorano quota 700 (689 per l’esattezza), di cui oltre 500 da Sel (353) e Movimento 5 stelle (158). Da Fi e Lega, per entrambi, 48 proposte di modifica. Il Pd, nel suo complesso, ne ha presentati 31; 9 a firma Sc. Nessuno, così come annunciato, da Ncd. Tra quelli di Sinistra ecologia e libertà, la proposta di limitare il periodo «senza tutele» ad un massimo di sei mesi-un anno, oltre il quale c’è poi per tutti l’articolo 18; le cui garanzie, anzi, vanno estese alle imprese di qualunque dimensione (non solo oltre i 15 dipendenti). 

Cogliendo lo strappo interno, il blog di Beppe Grillo in un post si rivolge alla minoranza Pd: «compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce?». E ancora: la battaglia per l’articolo 18 è «l’occasione per mandare a casa Renzi». Una «stupida provocazione», commenta il deputato del Pd e leader di Sinistradem, Gianni Cuperlo: «Far cadere Renzi sarebbe da irresponsabili». Sulla questione del lavoro «discuteremo nel Pd e troveremo una soluzione unitaria e utile a riformare il mercato del lavoro in modo positivo e moderno». «Caro Grillo è il tuo populismo il vero nemico della sinistra», dice Roberto Speranza. «Grillo è un piccolo Ayatollah e non sa cosa sia un partito e il valore prezioso del dibattito interno», rincara Miguel Gotor.  

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