domenica 21 settembre 2014

Ma carissimo Bersani é una parte del partito che non vuole rispettare i cittadini che hanno votato Renzi.

Jobs act, Matteo Renzi torna all'attacco della minoranza Pd. Bersani: "Ci rispetti come fa con Berlusconi e Verdini"

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BERSANI
Prima di partire per gli Usa Renzi manda la seconda bastonata in due giorni alla minoranza Pd. Sabato la lettera agli iscritti contro “la vecchia guardia che ci riporterebbe al 25%”, domenica un'intervista al Tg2 per dire che “quelli che vogliono sfruttare il 41% delle europee per mandarmi avanti come foglia di fico e poi continuare a governare loro, cascano male. Io voglio cambiare davvero, non fare ammuina”. Il premier sfotte la minoranza e Bersani alla fine non ci sta più. "Conservatore? Con la mia storia, conservatore no", dice al Tg1. "Vecchia guardia? - prosegue - Posso accettarlo, e chi lo è più di Berlusconi e Verdini? Vedo che loro vengono trattati con buona educazione e rispetto. Chissà che, prima o poi, non capiti anche a me...". Il rispetto dunque come linea invalicabile e fondamento di un duro contro-attacco.
E dire che l'ordine di scuderia tra i bersaniani era molto chiaro, anticipato dallo stesso ex segretario in un'intervista al Sole 24 Ore: niente rissa, nessuna provocazione. “Ci confronteremo nel merito in Senato sugli emendamenti, che toccheranno molti punti del programma del Pd alle europee e lo stesso programma di Renzi alle primarie”, assicura Alfredo D'Attorre” parlando con Huffpost. “La scissione è fuori dalla realtà. E poi bisognerebbe capire chi se ne va, visto che la stragrande maggioranza degli iscritti e degli elettori Pd la pensa come noi sul lavoro...”. “Scissione? Non scherziamo”, gli fa eco Miguel Gotor. Tra i bersaniani sta prendendo quota l'idea di sposare una proposta di Civati di alcuni giorni fa, e cioè un referendum tra gli iscritti sulla delega lavoro.
Di questo si discuterà martedì, al vertice mattutino alla Camera tra i leader delle minoranze, da Cuperlo a Civati, Bindi e Fassina e D'Attorre (Bersani non andrà). Sul tavolo anche gli emendamenti da presentare in Senato su tre-quattro punti qualificanti: reintegro, demansionamento, voucher, controllo sul lavoro a distanza. Martedì sarà una giornata da bollino nero in casa democratica: in mattinata anche la riunione del gruppo al Senato sulla delega lavoro, a ora di cena la riunione plenaria di Area riformista, aperta anche a tutti gli altri parlamentari anti-renziani, una sorta di “Pallacorda dei dissidenti”. Numeri ampi, che fanno impallidire la fronda dei Chiti e dei Mineo contro la riforma costituzionale d'agosto. Chiti è ancora uno dei capifila del dissenso, come sulla riforma del Senato: “Nessuno sottovaluti, è in gioco il futuro del Pd come grande forza di una sinistra plurale. Consolidare il 41% richiede una valorizzazione delle idee e non l'amputazione della sinistra...”.
Tra i bersaniani però le parole d'ordine sono “pragmatismo e merito”. Nessuno intende passare da retroguardia.“Io conservatore? Mi viene l'orticaria solo a pensarci” dice Bersani al Sole 24ore, ribadendo il suo sì al contratto a tutele crescenti. “Vogliamo dare una mano al premier perchè non ripeta gli errori di Monti, del resto se la gente voleva le ricette di Sacconi sul lavoro avrebbe votato Ncd, cosa che non è avvenuta...”, dice D'Attorre.
Nella minoranza dem c'è la convinzione che gli emendamenti a cui sta lavorando Cecilia Guerra, mirati ad allargare le tutele senza eliminare l'articolo 18, siano difficilmente aggirabili dal premier. Per questo resta aperto un canale di comunicazione con il ministro del Lavoro Poletti (assai a disagio con l'elmetto e molto scettico sull'ipotesi di un decreto) e il responsabile economico Filippo Taddei, che non è certo un ultraliberista. Nel merito, ripetono da entrambi i fronti del Pd, “una mediazione è ancora possibile”. “Io sto lavorando a questo, in Senato il gruppo è abituato a discutere e confrontarsi, come abbiamo fatto sulla riforma della Costituzione”, spiega Miguel Gotor. Civati però è convinto che il premier voglia lo scontro per poi tornare alle urne a primavera. E si prepara a questa evenienza, ragionando su un nuovo partito a sinistra del Pd. Anche tra i bersaniani c'è chi teme che lo scontro sia voluto dal premier, “per coprire i risultati negativi ottenuti in Europa”. Nel mirino c'è la legge di Stabilità, “è questo il vero problema, Renzi non ha ottenuto nulla da Bruxelles e non ha i soldi per tutte le promesse che ha fatto, e così butta la palla in tribuna insistendo sull'articolo 18”. Se davvero si arriverà allo scontro totale, in Senato i no potrebbero arrivare anche a trenta, e così la delega passerebbe con i voti determinanti di Forza Italia. “Un cambio di maggioranza”, ragionano nella minoranza. 
Uno scontro finale che per ora in pochi vogliono davvero. Anche perché un nuovo partito non si improvvisa in pochi mesi, e finora le minoranze Pd sono state molto divise e non in grado di esprimere una nuova leadership unitaria. L'anti-Renzi è ancora di là da venire. E tuttavia, al dunque, anche un moderato come Gotor spiega che “l'articolo 18 è già stato riformato due anni fa da Monti. Se Renzi vuole cancellarlo per concedere questo scalpo a qualcuno lo farà con i voti di Sacconi e Berlusconi, non col mio”. Bersani sul Sole 24Ore parla esplicitamente di “libertà di coscienza” nel voto in Aula sul lavoro. Un gruppo di deputati renziani guidati da Lorenza Bonaccorsi (new entry in segreteria) spiega che ”smontare la riforma del lavoro sarebbe un attacco al partito”.
Sul fronte sindacale, dopo le aperture della Cisl, Renzi incassa anche le parole del segretario Uil Luigi Angeletti, che si dice disposto a discutere anche di “dare un diverso sistema dai licenziamenti illegittimi a coloro che, o sono disoccupati, o hanno dei contratti per i quali non sono previste tutele”. Il dossier Cgil non è ancora chiuso. Al Nazareno hanno apprezzato l'abbassamento dei toni e la richiesta di discutere di merito. Si attendono le prossime mosse del sindacato rosso, che in settimana presenterà le proprie proposte di modifica dello statuto dei lavoratori. L'ipotesi di un incontro non viene esclusa. “Vedremo quando il premier rientra dagli Usa”, spiegano dal Pd. L'eventuale incontro con le tre principali sigle sindacali potrebbe tenersi dopo la direzione dem del 29 settembre: è quella la sede in cui Renzi intende chiedere e ottenere il mandato pieno da parte del suo partito. Ed è anche la sede in cui presenterà in modo più esplicito le sue proposte sulla riforma del lavoro. I suoi sherpa gli metteranno sul tavolo il prossimo weekend un ventaglio di ipotesi su come risolvere il nodo dei licenziamenti senza giusta causa. Un ventaglio tecnico che andrà dalle ipotesi più spinte verso Sacconi (dunque solo un indennizzo economico per i licenziati) a una mediazione che potrebbe essere commestibile da un'ampia parte della minoranza Pd. La scelta finale toccherà al premier. Ma i suoi assicurano che lo spazio per una mediazione con Cgil e vecchia guardia Pd, ad oggi, è molto stretto.

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